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Articolo pubblicato su FocusRisparmio (Marzo – Aprile 2022). Accedi e scaricalo gratuitamente a questo link.
La crescente penetrazione dei fondi cross border sul mercato tricolore ha determinato una maggior apertura dei portafogli dei risparmiatori italiani ai mercati internazionali. Dai dati dell’Osservatorio sui sottoscrittori di Assogestioni è possibile analizzare il look through dei fondi italiani ed esteri puri per stimare il posizionamento complessivo delle famiglie
Dalle evidenze contenute nell’Osservatorio sui sottoscrittori di fondi, che per la prima volta include nel perimetro di analisi i fondi cross border, è possibile estrapolare le scelte di asset allocation dei fondi comuni e stimare la composizione dei portafogli delle due tipologie più estreme dei prodotti analizzati, cioè gli italiani e gli esteri puri.
I dati sono aggiornati al 31 dicembre 2020 ma offrono interessanti indicazioni utili per capire il posizionamento generale delle famiglie italiane rispetto alle asset class – consideriamo in questa sede sia l’azionario che l’obbligazionario – e verso le diverse macro-aree geografiche: Stati Uniti, mercati emergenti ed Europa (compreso il Regno Unito), con il dettaglio sull’Italia.
Nei fondi italiani prevale l’investimento in titoli europei
Nei fondi italiani prevale l’investimento in azioni di società situate in Europa (circa 9% del portafoglio aggregato), di cui il 4% investito in aziende domestiche italiane. Una percentuale, quest’ultima, superiore anche all’investimento nei mercati emergenti (poco più dell’1%). Il 5,2% del patrimonio è investito nei mercati azionari Usa.
Tali proporzioni vengono più o meno rispettate anche sul versante obbligazionario dove le preferenze dei gestori italiani sono indirizzate sui titoli del debito europei (42%), più della metà afferenti a titoli italiani (26% sul totale del portafoglio). Nel caso degli investimenti sul mercato continentale, i gestori italiani preferiscono le obbligazioni corporate mentre, al contrario, nell’investimento sul mercato domestico vengono preferiti i titoli governativi.
Lato fixed income i mercati emergenti hanno un ruolo prevalente rispetto agli Stati Uniti affermandosi nei portafogli con il 4,3% contro il 3,9% di Treasury e corporate bond d’Oltreoceano. La parte residuale dei portafogli è investita in altre aree geografiche come Canada, Australia, Giappone, mercati di frontiera e così via.
Questa fotografia è in linea con le politiche d’investimento dei fondi italiani, tipicamente prodotti flessibili e obbligazionari, caratterizzati per mandato da una preponderanza della componente fixed income e un profilo di rischio prudente.
Una forte spinta alla componente investita in Italia, sia lato equity che fixed income, è arrivata con il lancio dei prodotti Pir nel 2017 che avevano come obiettivo della politica d’investimento il sostegno e la partecipazione al rilancio dell’economia reale del Paese.
Nei fondi cross border cresce la componente Mercati emergenti
Come è facile attendersi, per loro natura i fondi di diritto estero hanno da sempre offerto un ampio accesso ai mercati internazionali. Spicca quindi la forte presenza della componente equity Usa, al 24% del portafoglio aggregato, mentre sale all’8% la presenza di azioni riconducibili a mercati emergenti. Mantiene un importante presidio (14%) la componente di azioni europee, con l’Italia in posizione residuale pari a circa l’1%.
Tali dinamiche sono meno accentuate guardando ai mercati del debito. Qui la parte del leone è giocata dall’Europa (17%) con l’Italia che vale il 2,3% del totale. Le scelte preferite degli asset manager internazionali si confermano essere i titoli corporate del Vecchio Continente mentre in posizione più defilata i governativi della periferia dell’Eurozona. Al contempo, si riduce il divario fra debito statunitense (7,7%) e mercati emergenti (6,3%), un’area sulla quale l’interesse degli investitori obbligazionari alla ricerca di rendimento è cresciuto con costanza negli ultimi anni. Anche in questo caso, come sopra, la parte residuale dei portafogli è investita in altre geografie come Canada, Australia, Giappone, mercati di frontiera e così via.
“I dati mostrano una propensione a investire nel mercato domestico per gli operatori locali”, spiega Luca Tobagi, investment strategist di Invesco. “In linea con questo – aggiunge -, riteniamo che l’Italia e l’Europa dovrebbero avere il peso che meritano in virtù dei propri fondamentali, delle valutazioni e delle prospettive (ad esempio per l’Italia più positive che in passato, ma all’interno di un contesto europeo vulnerabile al conflitto Russia-Ucraina). Vale la pena ricordare che una corretta diversificazione può portare benefici al portafoglio, soprattutto in fasi di incertezza”.
In merito agli elementi più rilevanti nelle scelte di allocation complessiva di una casa d’investimento, Tobagi spiega che nella maggior parte dei casi le scelte sono effettuate a partire da un’analisi dello scenario macroeconomico corrente e prospettico, a livello globale e per le singole aree geografiche. “Le dimensioni considerate sono la crescita e l’inflazione ed eventuali variabili demografiche, geopolitiche, di politica fiscale e monetaria”. E conclude ricordando che “a seconda della fase del ciclo economico, le decisioni di asset allocation e le preferenze per un’asset class rispetto a un’altra possono variare”.
Fondi esteri e “internazionalizzazione” dei portafogli
Come è stato possibile analizzare in articoli precedenti, negli ultimi venti anni la crescente penetrazione delle fund house estere è un fenomeno che ha determinato una maggior apertura dei portafogli dei sottoscrittori italiani ai mercati internazionali. In poco meno di due decenni, infatti, il business delle case estere in Italia è passato da valori trascurabili (meno del 5% nel 2003) a più del 40% del patrimonio complessivo.
Ci sono ampi margini di crescita. Infatti, oggi il business dei fondi cross border è prevalentemente orientato ai canali istituzionali: il 70% dei fondi esteri puri trova spazio in misura prevalente nei portafogli istituzionali – fondi pensione e assicurazioni – mentre il restante 30% è collocato alle famiglie, prevalentemente attraverso le reti di consulenti.
Un’opportunità per i sottoscrittori italiani per diversificare ulteriormente il portafoglio e allargare gli orizzonti dell’investimento a mercati in via di sviluppo o di frontiere attraverso l’investimento in fondi internazionali.
*Senior research analyst Assogestioni
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