Per David Miller, gestore di Morgan Stanley IM, l’asset class sta colmando il vuoto lasciato dai prestiti bancari e diventerà parte integrante dei portafogli. Soprattutto in sostituzione dei titoli di Stato. Dal focus sul mid-market alla qualità, ecco come costruire un’esposizione vincente
Con il progressivo ritiro delle banche dai prestiti al mid-market e mercati dei capitali pubblici sempre più orientati alle grandi aziende, un’asset class che promette di imporsi nei portafogli è il credito privato. Forte di una crescita che lo ha portato a valere 1.500 miliardi di dollari all’inizio del 2024 dai mille miliardi di quattro anni prima, il segmento ha infatti già imboccato una chiara parabola ascendente e c’è chi crede possa perfino superare la soglia dei 2.800 miliardi entro il 2028. Uno di questi è David Miller, global head of Private Credit & Equity di Morgan Stanley Investment Management. La redazione di FocusRisparmio lo ha raggiunto per approfondire la sua view.
Cosa guiderà la crescita che lei e altri vi aspettate?
Nella crescita esponenziale che si prevede per questo mercato, i fattori a giocare un ruolo chiave potrebbero essere molteplici. Le dimensioni del middle market, cioè lo spazio composto da società con Ebitda entro i 10 milioni di euro, rappresenta sicuramente una prima e solida base di opportunità. In secondo luogo, non si possono non citare le riserve di capitale accumulate da fondi di private equity, che hanno raggiunto livelli record e sono pronti per essere impiegati dopo due anni di relativo immobilismo. Infine, crediamo che gli elevati volumi di rifinanziamento e i vantaggi strutturali per i mutuatari continueranno a sostenere l’espansione di questa asset class.
Come il quadro macro potrebbe influire sul settore nel 2025?
Se considerato nel contesto di altri mercati, il credito privato dimostra di avere un notevole spazio di crescita. L’utilizzo del direct lending per finanziare investimenti di private equity nel segmento del middle market è ad esempio rimasto relativamente stabile nel primo semestre del 2024, in parte sostenuto dalla domanda di finanziamenti incrementali o aggiuntivi. Il settore ha inoltre ottenuto risultati estremamente positivi nel recente contesto inflazionistico, in gran parte grazie alla tenuta dell’economia sottostante e ai primi segnali sull’efficacia della politica monetaria in materia di contenimento dei rincari. Guardando al 2025, le prospettive non possono quindi che apparire solide. Rimaniamo ottimisti sul fatto che la nuova attività di leveraged buy-out del middle market possa accelerare nel corso del prossimo anno, con una maggiore visibilità sulla traiettoria dei tassi e con il private equity che resta pronto a restituire il capitale agli investitori.
Sotto che luce gli investitori devono guardare al segmento?
Il direct lending fornisce un’alternativa potenzialmente più redditizia alle tradizionali strategie a reddito fisso, in particolare alle obbligazioni governative. È inoltre meno correlato ai public markets rispetto ad altre asset class: ciò significa che contribuisce a ridurre la volatilità del portafoglio e a migliorare i ritorni corretti per il rischio, offrendo anche un premio per l’illiquidità e un conseguente differenziale di rendimento rispetto ai titoli di Stato per compensare la natura non negoziabile degli investimenti. In Morgan Stanley Investment Management offriamo sia strategie illiquide che semi-liquide.
Quali sono le dunque migliori strategie per investire?
Nel mercato del direct lending, le strategie di investimento più efficaci si basano su una accurata preparazione della documentazione contrattuale e su una concessione del credito rigoroso oltreché sull’analisi del rischio. Soprattutto in un ambiente competitivo come quello attuale, sono questi gli elementi chiave di un approccio buy-and-hold capace di garantire erogazioni strutturate in modo tale da proteggere realmente gli investitori. Per quanto ci riguarda nello specifico, invece, abbiamo scelto di sviluppare un focus sul middle market americano ed europeo così come su società in crescita di alta qualità in settori non ciclici.
Proprio considerando i rischi potenziali, i professionisti sollevano due preoccupazioni: la mancanza di trasparenza e la possibilità che i tassi di interesse non scendano come previsto, aumentando i default. Questi problemi stanno avendo un impatto?
Una lunga serie di requisiti normativi ma anche legali, contabili e di altro tipo impone ai gestori di attenersi a rigorose politiche di valutazione. Queste politiche sono in genere a più livelli e si avvalgono sia di modelli di valutazione interni sia di società di analisi esterne. Si tratta insomma di giudizi che, sebbene emessi con una frequenza relativa alla struttura del fondo in cui sono detenuti i prestiti, tengono tipicamente conto dei risultati fondamentali dell’azienda e dei fattori di mercato. Per quanto riguarda il costo del denaro, è vero che una politica monetaria più restrittiva del previsto potrebbe contribuire a un graduale aumento dei default ma gli attuali livelli dei fallimenti si confermano inferiori a quelli del passato.
Quali sono i trend per questa asset class nei prossimi anni?
Nei prossimi anni ci aspettiamo una continua ripresa dell’attività di finanziamento al middle market, sostenuta da una costante domanda di erogazioni aggiuntive o complementari. Il miglioramento della visibilità sull’andamento dei tassi di interesse potrebbe poi favorire l’intensificarsi delle operazioni di leveraged buy-out. Dal punto di vista della performance, anche se i tassi di insolvenza sono attualmente inferiori alle medie storiche, non escludiamo che possano tornare su livelli più tradizionali nel caso in cui i tagli dei tassi da parte delle banche centrali si rivelassero meno profondi di quanto previsto dagli investitori.
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