FocusRisparmio | Gen – Feb 2025
Dazi, tassi, tech (e crypto). Quale portafoglio nel mondo modellato dalla seconda volta del tycoon alla Casa Bianca
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L’anno appena passato ha visto lo stravolgimento del paradigma dell’ultimo decennio, caratterizzato da banche centrali determinate a scongiurare la deflazione e a sostenere la crescita. Il 2023 potrebbe segnare il ritorno alla normalità, ovvero il superamento della condizione identificata con repressione finanziaria. Ne è convinto Andrea Delitala, head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management, secondo cui il fattore di svolta sarà la ritrovata capacità di prevedere le mosse di Fed & Co.
Andrea Delitala, head of Euro Multi-Asset di Pictet Asset Management
Nel 2022 gli sbilanciamenti tra domanda e offerta causati da Covid, guerra e paralisi della Cina sono stati portatori di forti pressioni inflazionistiche che le banche centrali hanno inizialmente sottovalutato, per vedersi poi costrette a intraprendere uno dei cicli di rialzi più serrati della storia: 425 punti base in soli 10 mesi negli Stati Uniti. Gli istituti hanno disatteso le proprie stime in quasi tutte le riunioni dell’anno, dichiarando tra l’altro l’abbandono della forward guidance che ci aveva accompagnato nell’ultimo decennio e arrivando a contemplare il sacrificio della crescita pur di garantire il ritorno alla stabilità dei prezzi: un atteggiamento che ha gravato su quasi tutte le principali asset classes con estremo disappunto degli investitori. Nel 2023, torneremo invece a un mondo in cui è possibile seguire il pensiero di Fed & Co. e quindi cercare di creare valore interpretando i loro messaggi e il comportamento del mercato.
Sul fronte Usa, due dei tre elementi cardine dell’inflazione sono sulla giusta via: i beni durevoli, grazie al rientro delle strozzature delle catene di fornitura, e la componente legata all’immobiliare, che è naturalmente in ritardo rispetto alle chiare dinamiche di rallentamento del settore. Il terzo elemento riguarda il comparto dei servizi, dove il costo principale è quello dei lavoratori: sotto questo profilo, sebbene la correzione dei salari orari dal 5,1% di novembre (poi rivisto al 4,8%) al 4,6% dicembre abbia determinato un chiaro cambio di tono sui mercati, riteniamo che la Fed vorrà vedere un andamento chiaramente indirizzato verso il 3,5% circa prima di ritenere vinta l’allerta inflazione. Ciononostante, la stessa banca centrale americana ha dichiarato che proseguirà con più cautela negli ultimi rialzi rimasti così da poter osservare gli effetti delle sue azioni sull’economia reale.
Ci attendiamo in sostanza, almeno per la Fed, un 2023 più prevedibile e una comunicazione più razionale. Riteniamo che il mercato non stia prezzando correttamente le intenzioni di mantenere i tassi fermi più a lungo, una volta arrivati al punto terminale (stimato tra maggio e giugno e di qualche punto sotto le previsioni). Lo scostamento di circa 25 punti base del punto di arrivo tra Fed e mercati pensiamo non sia un fattore troppo preoccupante, come invece lo è il disallineamento sui tempi di permanenza a quel livello, che crediamo siano più lunghi delle attese di mercato.
Quanto alle Banca Centrale Europea, riteniamo invece che il mercato abbia prezzato abbondantemente le sue intenzioni mentre il clima mite che sta favorendo il sentiment europeo potrebbe regalare qualche sorpresa sul lato inflazione, riducendo il rischio che l’Eurotower debba andare oltre quanto comunicato.
Le banche centrali hanno spinto verso l’alto i tassi reali attesi (di circa 2% sui bond a 10 anni) in un movimento che si è trasmesso ai rendimenti attesi di tutte le attività finanziarie. L’effetto di prezzo è stato devastante in particolare su azioni e obbligazioni globali e la mancanza di diversificazione ha tradito molte abitudini su cui si basavano gli investimenti dell’ultimo decennio post crisi finanziaria globale. La brutalità dell’azione monetaria del 2022 ha però avuto anche un risvolto positivo: ha riportato valore nell’asset class obbligazionaria, che di fatto mancava da parecchi anni (ricordiamo che, alla fine del 2019, circa un terzo del debito globale investment grade registrava rendimenti negativi). Questo comporta l’avvicinarsi di una grande fonte di diversificazione man mano che le preoccupazioni e le soprese dall’inflazione vengono meno. L’altro aspetto che ha gravato nel 2022, cioè l’isolamento della Cina tra chiusure e turbolenze interne, sembra ormai alle spalle E così si prepara a tornare un’altra importante fonte di diversificazione che è stata assente negli ultimi mesi: politiche economiche non più pienamente sincronizzate a livello globale. Non avendo fatto uso spregiudicato della politica monetaria negli anni del Covid, Pechino potrà infatti mantenere condizioni accomodanti, dando un aiuto importante alla crescita globale e viaggiando in controtendenza con il resto delle economie sviluppate.
Per un fondo di asset allocation come il nostro, il ritorno in auge del reddito fisso dopo un anno all’insegna delle perdite rappresenta una buona notizia. Resta però importante mantener un atteggiamento cauto in vista delle tante sfide all’orizzonte: dalle attese sui dati economici americani, che dovrebbero guidare le decisioni della Fed, alle incognite sulla tenuta della crescita di Eurolandia, che se confermata indurrebbe la Bce a proseguire in un approccio hawkish con i rialzi pienamente prezzati dai mercati.
Siamo posizionati sulle parti brevi e medie del mercato europeo per un peso intorno al 30%, in modo da garantire un buon rendimento al portafoglio, e intanto ci stiamo anche allungando sulla parte lunga della curva dei titoli della Commissione Europea. Negli Stati Uniti, dove le attese di inflazione si sono riportate al ridosso dell’obiettivo del 2%, restiamo investiti per circa il 10% sulla parte lunga della curva dei governativi con una quota di titoli indicizzati al carovita. Crediamo poi che gli emergenti saranno i grandi beneficiari della ripresa cinese e del raggiungimento del picco dei tassi e del dollaro Usa, quindi a tendere cercheremo di averli in portafoglio per una quota tra il 10% e il 12%. Ritorniamo più costruttivi sul credito del Vecchio Continente riducendo le copertura sui Cds mentre sul lato valutario, attraverso coperture opzionali, abbiamo ridotto l’esposizione al dollaro americano al 3%.
Sull’azionario crediamo ci sia spazio per portare l’investimento verso il 30-35% una volta sciolti alcuni nodi di scenario. In particolare, le previsioni degli analisti per gli utili americani ed europei indicano ancora profitti in aumento rispetto al 2022. Sul fronte della crescita mondiale, le ultime notizie sono positive ma è lecito attendersi ancora qualche revisione al ribasso, mentre sorprese gradite potrebbero arrivare dagli Emergenti. Iniziamo dunque l’anno più cauti, con un peso più basso intorno al 25% e qualche protezione in più sugli Usa, dove le valutazioni non sono particolarmente interessanti. Favoriamo l’Europa, in particolare il settore dei finanziari e dei materiali e, in ottica strategica, gli Emergenti e la Cina.
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Alla ricerca di Alpha è la rubrica di FocusRisparmio.com dedicata ai fund manager. Ogni lunedì, con l’aiuto degli esperti del settore, vengono messi sotto la lente i fatti recenti più significativi e gli impatti sui portafogli da essi gestiti con una visione impostata sul medio e lungo termine.
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