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Inflazione e precarietà lavorativa vanificano l’intenzione di mettere soldi da parte e investire di Millennial e GenZ: il 79% vorrebbe, ma solo il 54% ce la fa. Il sondaggio Gimme5
Inflazione e precarietà lavorativa vanificano l’attitudine al risparmio dei giovani italiani. Nonostante infatti quasi quattro su cinque (il 79%) considerino fondamentale mettere soldi da parte per il futuro, solo poco più della metà (il 54%) riesce effettivamente ad accantonare con costanza. È quanto rivela un sondaggio condotto da Gimme5 su un campione rappresentativo di clienti Millennial e GenZ, secondo cui pesano anche la scarse disponibilità economiche, dovute alle esigue retribuzioni, e la mancanza di pianificazione finanziaria.
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Inflazione prima nemica del risparmio dei giovani
In particolare, è l’aumento dei prezzi il primo fattore a ostacolare il risparmio individuale delle giovani generazioni. Tanto da essere indicato dal 50,8% degli intervistati. Seguono le emergenze finanziarie impreviste (34,1%), l’assenza di disponibilità economiche (31,4%), il mancato controllo delle spese (21,3%) e, infine, gli acquisti d’impulso (16,3%). A fare più fatica sono i GenZ (42%), cioè i giovani fino a 27 anni, e le donne (32%), le più penalizzate da divario retributivo di genere e discontinuità lavorativa. Il 46% del campione accantona poi solo saltuariamente: il 26% se necessario, il 20% raramente o mai.
Pesa la precarietà lavorativa
L’analisi evidenzia che, a differenza delle generazioni che li hanno preceduti, Millennial e GenZ si trovano a fare i conti con un mercato del lavoro complesso, caratterizzato da contratti precari e di breve durata, compensi bassi e scarse opportunità di crescita professionale. Un quadro che, unito al contesto economico instabile e all’aumento dei prezzi, si traduce in una forte instabilità economica, nella difficoltà di far fronte alle spese quotidiane e, di conseguenza, nell’impossibilità di risparmiare e investire per il futuro. A questo va aggiunto che l’Italia si trova al terzo posto in Europa per tasso di disoccupazione giovanile, che supera il 18% contro una media europea inferiore di ben quattro punti percentuali. Non solo. Da noi l’occupazione dei giovani non è solamente più bassa rispetto agli altri Paesi europei, ma è anche più precaria: nel 2023 i contratti a tempo determinato hanno interessato il 16,1% del totale dei dipendenti, quasi 3 milioni di persone. Un fenomeno che riguarda soprattutto le nuove generazioni, con il 33,4% dei lavoratori tra i 15 e i 34 anni impiegati con contratti a termine. L’ultimo ‘Osservatorio sul precariato‘ dell’Inps mostra come, dei 3,16 milioni di contratti attivati nel corso del 2023 in favore di lavoratori al di sotto dei 30 anni, quasi l’80% è stato temporaneo (a tempo determinato, stagionale, in somministrazione, a chiamata e simili).
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Stipendi troppo bassi
Non va meglio dal punto di vista delle retribuzioni. In termini di reddito lordo pro capite, la media europea si aggira intorno ai 40mila euro annui, contro i 33mila di quella italiana. Nell’ultimo decennio, mentre l’Europa ha assistito a un incremento della retribuzione media annua, l’Italia ha registrato una riduzione del 4,5%. Ai salari bassi si aggiungono poi gli effetti dell’inflazione record: a partire dal 2021 l’aumento generalizzato dei prezzi ha causato un crollo del 6,4% del potere d’acquisto dei giovani italiani.
“La precarietà economica delle giovani generazioni è una questione complessa che va affrontata mediante un approccio integrato che coinvolga datori di lavoro, aziende e istituzioni e miri a promuovere un mercato del lavoro più stabile e inclusivo”, conclude la ricerca Gimme5. Evidenziando come il Fintech e gli strumenti smart di finanza personale possano offrire un supporto concreto nella gestione delle spese, incentivando la sistematicità del risparmio.
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