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Ne ha parlato Alexandra Christiansen, portfolio manager e membro del Sustainable Thematic Team di Nordea Asset Management in questa intervista esclusiva con FocusRisparmio: “La corsa all’investimento nei leader climatici ha provocato una significativa fuga di capitali da quei settori considerati a rischio nella transizione verde”
Nel mondo degli investimenti Esg si è spesso parlato di bolla green, in relazione alla concreta possibilità che questo megatrend possa produrre un effetto collaterale indesiderato: gonfiare i prezzi delle società già di per sé virtuose penalizzando di fatto quelle che ne avrebbero più bisogno, vale a dire quelle società – vuoi per il settore di appartenenza, vuoi per il modello di business – rimaste indietro nei processi di trasformazione tecnologica ed ecologica.
È stato il tema sul tavolo di una conversazione che FocusRisparmio ha avuto con Alexandra Christiansen, portfolio manager e membro del Sustainable Thematic Team di Nordea Asset Management. “La corsa all’investimento nei leader climatici – spiega l’esperta – ha avuto anche rovescio della medaglia: c’è stata una significativa fuga di capitali da quei settori considerati a forte emissione e potenzialmente a rischio nella transizione verso un’economia verde”.

È per questo motive che la fund house ha da poco lanciato un nuovo prodotto, il Global Climate Engagement Fund, una strategia che si pone in linea di continuità con il noto Global Climate and Environment Fund, il maggiore fondo Articolo 9 SFDR in Europa con più di dieci miliardi di masse in gestione e chiuso a nuove sottoscrizioni (soft closed) dal 26 febbraio scorso per il raggiungimento della piena capacità dimensionale.
“Vediamo come una grande opportunità individuare quelle aziende che sono state scartate dal mercato in generale semplicemente perché colpevoli di appartenere a quella categoria”, spiega Christiansen a FR. “Ci accorgiamo – prosegue – che ci sono molte aziende che vengono percepite non ancora allineate al processo di transizione energetica, ma che, a nostro avviso, hanno il l’ambizione e il potenziale per essere rilevanti o addirittura fondamentali per la transizione energetica. Hanno solo bisogno della spinta nella giusta direzione esercitata dalle nostre attività di engagement”.
Quali sono i principali punti in comune e quali i punti di discontinuità rispetto alla strategia Nordea 1 – Global Climate and Environment Fund? Ci sono alcune aziende che fanno o faranno parte di entrambi i portafogli?
“Mentre la strategia Climate and Environment si è concentrata sull’investimento nei leader climatici, la nuova strategia Climate Engagement si focalizza su quelle aziende che dimostrano di avere quella che chiamiamo “climate ambition”. L’obiettivo è non solo eliminare (o quantomeno minimizzare) la pressione negativa che grava su queste aziende, ma anche ridurre le emissioni di carbonio nel mondo reale, dal momento che ci rivolgiamo direttamente ai settori che emettono di più e che contribuiscono maggiormente alle emissioni nel mondo reale. C’è una piccola sovrapposizione tra le due strategie, nella misura in cui vediamo alcuni fornitori di soluzioni per il clima che non sono ancora stati pienamente riconosciuti come tali dal mercato in generale e per i quali è necessario compiere maggiori sforzi per decarbonizzare i loro modelli di business. Le società di gestione dei rifiuti o i gas industriali ne sono un esempio.”

Ad affiancare Alexandra Christiansen nella gestione della strategia ci sarà Robert Madsen, anche lui parte del “Sustainable Thematic Team” guidato da Thomas Sørensen e Henning Padberg, gestori del Global Climate and Environment Fund. Questo team – spiegano – è a sua volta parte della boutique “Fundamental Equity” di Nordea AM (NAM), che conta 27 gestori di portafoglio e analisti. Il nuovo fondo, inoltre, sarà ulteriormente supportato dal “Responsible Investment Team” di NAM, composto da 25 professionisti, tra cui specialisti dedicati all’analisi dell’impatto e alle attività di engagement.
In che maniera i due team “Fundamental Equity” (27 gestori e analisti guidati da Hilde Jensen) e “Responsible Investment Team” (25 professionisti) si integrano nelle analisi e nella scelta dei titoli da inserire in portafoglio?
“Sebbene molti investitori oggi sostengano di condurre programmi di engagement su questioni Esg con le società presenti in portafoglio, questa strategia si differenzia perché pone l’engagement al centro di ogni ipotesi di investimento. Il nostro obiettivo è quello di generare alpha riducendo il rischio dei business non ancora allineati alla transizione climatica attraverso l’engagement, spronandoli a essere più sostenibili e determinanti in un futuro a basse emissioni di carbonio. Il team di Investimento Responsabile e i portfolio manager e analisti del team Fundamental Equities lavorano quindi a stretto contatto, dalla generazione dell’idea fino all’esercizio dell’azionariato attivo. Abbiamo un team di riferimento dedicato a questa strategia, composto da 4 membri del team Responsible Investment e 6 membri del team Fundamental Equities e ci avvaliamo della generazione di idee e dell’analisi fondamentale di gruppi più ampi. Questo aspetto è particolarmente importante nelle nostre attività di engagement, in quanto vengono condotte in tutte le nostre partecipazioni per portare avanti ogni idea d’investimento.”
Fra le aziende presenti nel portafoglio ce ne sono alcune che volete menzionare citando gli aspetti positivi dell’equity story che più vi hanno impressionato?
“La prima società che vorrei citare è ArcelorMittal, uno dei maggiori produttori di acciaio al mondo. La produzione di acciaio è un’attività ad alta intensità di carbonio e l’industria siderurgica è responsabile fino al 9% delle emissioni globali. Questo è un esempio di un settore che è stato considerato in maniera negativa secondo i criteri Esg proprio per via del suo profilo a emissioni elevate. Per questo motivo, spesso non rientra in molte strategie di investimento. Nonostante sia classificata come un’industria ad alta intensità di emissioni, il settore siderurgico è un partner strutturale della transizione energetica e un importante fattore abilitante. Non possiamo decarbonizzare il mondo ignorando l’acciaio. Ad esempio, un parco eolico offshore o un impianto fotovoltaico possono richiedere fino a 10 volte più acciaio per megawatt rispetto a un impianto convenzionale a carbone o a gas. Anche la produzione di veicoli elettrici, le tecnologie “carbon capture” e le reti elettriche richiedono un volume considerevole di acciaio. Quindi, se l’acciaio è fondamentale per la transizione energetica, dovremmo impegnarci come società per rendere la sua produzione il più possibile a bassa intensità di carbonio. ArcelorMittal è allineata con questo obiettivo, perché i costi del carbonio aumenteranno in futuro e quindi anche i costi di produzione e logistica, a meno che l’azienda non riesca a ridurre significativamente le proprie emissioni. Per questo motivo, la società si è impegnata a raggiungere obiettivi di decarbonizzazione e sta già investendo in tecnologie verdi per produrre acciaio a basse emissioni.
La seconda azienda che vorrei menzionare è Xcel Energy. Si tratta di una holding che possiede quattro aziende di servizi pubblici regolamentati nel Midwest americano e nell’area occidentale degli Stati Uniti, che forniscono principalmente servizi elettrici ma anche fornitura di gas. Con circa 45 milioni di tonnellate di emissioni dirette di carbonio (scope 1), Xcel rientra tra le 30 maggiori compagnie responsabili delle emissioni di carbonio al mondo. Attualmente Xcel possiede e gestisce impianti a carbone che contribuiscono a circa un quarto della produzione totale del gruppo. La “carbon intensity” del business, quindi, rappresenta un ostacolo all’acquisto delle azioni di questa società da parte di molti investitori. Tuttavia, l’azienda è sulla strada della decarbonizzazione. Xcel è stata la prima grande utility company statunitense a fissare un obiettivo di neutralità climatica (o net zero). Tra il 2018 e il 2020, la produzione di elettricità da carbone della società è scesa dal 44,8% al 26% e la quota derivante da fonti rinnovabili è aumentata da circa il 10% al 24%. I territori serviti da Xcel sono tra i più interessanti degli Stati Uniti per quanto riguarda la forza eolica e l’intensità dell’energia solare, il che rende economicamente vantaggioso abbandonare il carbone per passare alle energie rinnovabili.”
Perché ritenete che attraverso un percorso condiviso e di lungo periodo queste aziende possano liberare potenziale di sostenibilità oggi sottovalutato dal mercato?
“Nel caso di ArcelorMittal, nonostante gli impegni di decarbonizzazione dell’azienda, la tabella di marcia di questo piano rimane poco chiara. Finora l’azienda ha impiegato una quantità limitata di investimenti nella produzione di acciaio “green” (solo pochi progetti selezionati) perché il management ritiene che manchino le condizioni necessarie per diffondere la tecnologia in tutti i suoi impianti di produzione, ossia il sostegno delle politiche pubbliche, i finanziamenti governativi, l’accesso all’energia verde e alle infrastrutture a prezzi accessibili. Vogliamo impegnarci con loro per capire quali sono gli ostacoli da superare e sostenerli nell’accelerare la conversione della loro produzione in acciaio a basse emissioni.
Riguardo a Xcel, la società ha già approvato piani per il ritiro di otto impianti a carbone entro il 2030, il che dimezzerà la capacità produttiva a carbone dell’azienda. Il ritiro degli asset tradizionali sarà sostituito da crescenti investimenti nelle energie rinnovabili e nel trasporto associati a questo cambiamento del mix energetico (miglioramenti della rete, supporto alla tensione e lavori di interconnessione). Sebbene Xcel abbia già compiuto progressi significativi nel processo di dismissione del carbone, c’è scetticismo sulla possibilità che l’azienda possa raggiungere i suoi obiettivi di emissioni di carbonio senza procedere a una completa eliminazione del carbone e a un’accelerazione degli investimenti nelle energie rinnovabili. Vogliamo accelerare i progressi sulle proposte di estendere il ritiro ad altri quattro impianti a carbone. Riteniamo che ciò non solo renderebbe meno rischioso il percorso di decarbonizzazione dell’azienda, ma aumenterebbe anche il margine di spesa della sua base tariffaria per le energie rinnovabili e il trasporto. Vogliamo inoltre incoraggiare Xcel a richiedere l’approvazione dei suoi obiettivi di riduzione delle emissioni da parte della Science Based Target Initiative, in quanto riteniamo che ciò validerebbe il livello di ambizione e la qualità degli obiettivi.”
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Alla ricerca di Alpha è la rubrica di FocusRisparmio.com dedicata ai fund manager. Ogni lunedì, con l’aiuto degli esperti del settore, vengono messi sotto la lente i fatti recenti più significativi e gli impatti sui portafogli da essi gestiti con una visione impostata sul medio e lungo termine.
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