Un’età dell’oro per i mercati emergenti: generare alfa grazie ai dati
In che modo gli investitori possono utilizzare l'analisi dei dati per migliorare le loro possibilità di successo nei mercati emergenti?
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Tra le molte tendenze finanziarie del 2021 troviamo sicuramente una rinnovata attenzione per il mondo emergente, dovuta in parte alla debolezza del dollaro americano e in parte alla formidabile reazione di alcuni dei paesi che compongono questo universo d’investimento alla pandemia Covid19.
Come sappiamo, questa asset class è molto eterogenea al suo interno, visto il gran numero di mercati che ne fanno parte, le diverse esposizioni geografiche, settoriali e la peculiarità dei rischi cui fanno riferimento. Per prima cosa occorre distinguere per bene quando si parla di azionario o di obbligazionario dei mercati emergenti. Vediamo perché.
“Gli ultimi dieci non sono stati particolarmente favorevoli per chi avesse deciso di investire sui mercati emergenti”, spiega Roberto Rossignoli, portfolio manager di Moneyfarm. La performance del MSCI Emerging markets index, che comprende ormai un gruppo molto eterogeneo di paesi, è rimasta stagnante.
Rossignoli mette l’attenzione sulla progressiva divergenza che negli ultimi dieci anni si è palesata tra la performance dell’Asia e quella dei paesi emergenti europei (indice dominato dalla Russia che ha sofferto il crollo del prezzo del petrolio) e sudamericani. “Questa divergenza si è accentuata ancor di più nel 2020 – spiega il portfolio manager – quando le economie asiatiche hanno gestito la crisi legata alla pandemia in modo piuttosto ordinato e la relativa maturità di queste economie le ha rese più preparate a uno scenario recessivo globale”.
La dinamica di prezzo si è accompagnata a un significativo scostamento della composizione dell’indice emergente, un’etichetta che inizia a essere forse troppo eterogenea e poco idonea a rappresentare la realtà dei fatti. “L’indice MSCI Emerging markets è ormai composto per oltre l’80% da paesi asiatici. A livello settoriale, i comparti tradizionali (financials, materials, energy) che pesavano quasi il 60% nel 2010 e giustificavano il raggruppamento di questi paesi in un’unica asset class, a oggi occupano solo il 25% dell’indice, a vantaggio di settori growth e dei tecnologici. In un certo senso la dinamica in atto nell’indice emergente di MSCI è simile a quella dell’azionario americano, dove poche società muovono l’intero indice”, spiega Rossignoli. Quali sono queste società? Alibaba, Tencent, Taiwan Semiconductor e Samsung – per citare i nomi più blasonati – pesano per il 23% dell’intero indice.
Anche S&P Global Rating lancia un endorsement alle opportunità post-Covid in quest’area d’investimento: “Le condizioni esterne rimangono favorevoli per i mercati emergenti grazie alla resilienza della domanda di manufatti e materie prime, compensando parte della debolezza della domanda interna. Il lancio del vaccino, sebbene sarà probabilmente più lento nei mercati emergenti che nei mercati sviluppati, migliorerà la fiducia delle imprese e dei consumatori, sostenendo la domanda interna verso la seconda metà di quest’anno”, scrivono gli analisti dell’agenzia di rating nel report “Emerging Markets Monthly Highlights: A Bump On The Path To Recovery”.
Ma tornando al tema di come alla crescita economica non sempre corrisponda una crescita dei corsi azionari, Rossignoli riflette: “Si impone una riflessione su quanto sia effettivamente utile considerare questo indice come un asset class univoca. Come gestori, siamo impegnati a ragionare su questa area geografica riconoscendone prima di tutto le diversità e le complessità ma siamo convinti che questo blocco di paesi ricoprirà un ruolo più importante nei portafogli multi-asset, soprattutto oggi che le geografie tradizionali sembrano offrire spunti di rendimento attesi limitati”.
Il discorso di cui sopra è ancor più vero per il variegato universo dei bond. Su questo fronte S&P è meno ottimista: “Le condizioni economiche avverse nel primo trimestre saranno particolarmente stressanti per i governi dei paesi emergenti. Con un debito elevato e poco spazio per una risposta politica aggiuntiva e per le società con ricavi bassi e margini limitati per tagliare ulteriormente le spese. Pertanto, sono probabili ulteriori downgrade e default tra le entità con rating inferiore”, ragiona l’agenzia.
È pur vero però – prosegue S&P – che l’aspettativa di una solida ripresa nel 2021 e le condizioni monetarie accomodanti stanno stimolando i flussi di capitali verso questi paesi, migliorandone le condizioni di finanziamento. “Prevediamo che molti emittenti (società e governi) continueranno a trarre vantaggio dai bassi tassi di interesse per migliorare i loro profili di debito. Tuttavia, non ci aspettiamo un debito incrementale per i nuovi investimenti nel breve periodo” chiosa la nota dell’agenzia.
Pictet Asset Management invita a considerare che nonostante le turbolenze economiche a cui abbiamo assistito nel 2020, le obbligazioni societarie dei paesi emergenti hanno registrato il tasso di default più basso tra tutte le principali tipologie di emissioni creditizie. “Solo il 3,5% degli emittenti societari high yield dei mercati emergenti è stato insolvente nel 2020, secondo i dati di JPMorgan. Per contestualizzare, tale tasso è in linea con la media di lungo termine ed è solo la metà di quello registrato dal mercato obbligazionario high yield statunitense nel 2020”, sostiene Alain-Nsiona Defise, head of emerging corporates.
L’esperto invita a valutare i solidi fondamentali delle società di questi paesi, la loro oculata gestione della liquidità e le ampie opportunità di rifinanziare il debito in scadenza. “Nel 2020 oltre il 60% delle obbligazioni high yield in dollari di nuova emissione è stato utilizzato per il rifinanziamento del debito, rispetto al 40% del periodo 2014-2017”, dice il fund manager. In sostanza, chiosa Defise, a parità di rating creditizio, “lo spread sul credito high yield dei Paesi emergenti è ancora più ampio di quello sull’high yield statunitense, prevediamo un ulteriore restringimento del divario, a vantaggio del credito dei mercati emergenti”.
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