Le ultime tendenze su rinnovabili e tecnologia, ma anche su disruption delle catene di approvvigionamento e persino farmacie. I trend canonici e quelli meno ovvi spiegati da Gianfranco Saladino (Swiss Life Asset Managers)
“Preferisco un rischio di prezzo o di volume pur di trovarmi in un settore che stia vivendo una crescita esponenziale”. Un’affermazione da perfetto value-add investor quella di Gianfranco Saladino, che per Swiss Life Asset Managers è responsabile di questo stile di investimento declinato nel mondo delle infrastrutture. Nel comparto, l’asset manager svizzero può contare su una piattaforma con asset in gestione che a fine 2022 ammontavano a quasi 10 miliardi di franchi.
In che cosa consiste oggi il ruolo di un investitore in infrastrutture value-add oltre alla selezione delle realtà imprenditoriali con la migliore prospettiva di crescita nell’asset class?
Siamo un financial investor e il nostro compito è mettere a disposizione di aziende interessanti un capitale da utilizzare in funzione di crescita. La nostra attività principale inizia però dopo che abbiamo perfezionato un investimento, nel momento in cui agiamo a supporto del management team in tutte le funzioni strategiche. Si va dalla definizione degli obiettivi aziendali e delle milestones per raggiungerli, fino ad arrivare allo sviluppo della capacità di financing o di operare fusioni e acquisizioni. Per noi è poi fondamentale la massimizzazione delle potenzialità in termini di sostenibilità. In SwissLife Asset Managers Esg, questo non significa solo mitigazione del rischio ma anche creazione di valore. Come investitori siamo convinti che essere un Esg champion aggiungerà sempre più valore finanziario in futuro.
In quali settori sono presenti le migliori opportunità nel panorama attuale delle value-add infrastructure?
Uno dei temi più ovvi è quello energetico, sempre declinato in funzione di decarbonizzazione. Il mercato si muove molto velocemente e va dai più canonici parchi eolici ai carburanti sostenibili, fino a realtà fuori dalla grande scala come le aziende di energy as a service, che offrono soluzioni a 360 gradi per la gestione di micro-impianti civili e industriali. C’è poi il settore della tecnologia: consideriamo la fibra ormai un tema di core infrastructure, mentre i data centers rimangono ad alto valore aggiunto. La rivoluzione portata dall’intelligenza artificiale sta avvenendo e cambierà anche l’architettura esistente, con il dato che dovrà essere custodito, per motivi di sicurezza e regolamentari, molto più vicino al suo luogo di origine e utilizzo.
Altro tema importante è quello della new mobility. Abbiamo recentemente effettuato un investimento nell’italiana Powy, che applica un approccio destination charging, combinando la presenza di stazioni di ricarica all’avanguardia con quella di esercizi di largo interesse. Un trend globale e particolarmente forte in Italia è, inoltre, quello dell’invecchiamento della popolazione. La demografia è strettamente legata agli aspetti infrastrutturali e lo vediamo anche in relazione ad un’attività come quella delle farmacie: si tratta, infatti, di un settore con prezzi regolamentati la cui profittabilità dipende fortemente dall’ottimizzazione delle catene logistiche. Il comparto è in forte crescita per effetto sia dell’aumento dell’età media che del maggior utilizzo di medicinali a base biologica rispetto a quelli a base chimica, da cui derivano maggiori necessità di infrastrutture di stoccaggio e trasporto a temperatura controllata. Proprio la disruption delle catene logistiche è, infine, un tema relativamente nuovo che include questioni ambientali, geopolitiche e di sviluppo dei modelli di business.
Cosa si intende esattamente per disruption delle catene di approvvigionamento e come è possibile concretamente investire in questo trend?
La supply chain logistica ha subito cambiamenti molto significativi durante e dopo il Covid. Prima di tutto per i blocchi e i disequilibri causati dalla pandemia e poi per la necessità delle grandi aziende di decarbonizzare la propria catena di fornitura. Ciò significa essere in grado non solo di conoscere la carbon footprintdi ogni componente ma anche quella di trasporto e stoccaggio. L’opportunità più interessante è rappresentata dal trasporto intermodale, ossia dal trasferimento da gomma a rotaia. Un cambiamento di cui si parla da anni ma che è ancora agli inizi, se pensiamo che più dell’80% della merce resta trasportato da camion causando il 20% circa delle emissioni globali.
Esistono ancora pochi terminal in grado di spostare i container da camion a ferrovia per effettuare poi il trasporto su lunga distanza. Questo perché il costo degli impianti più tradizionali che utilizzano gru per il sollevamento dei container e il loro posizionamento sui vagoni è molto alto. Noi abbiamo effettuato un investimento in Helrom, azienda tedesca che ha messo a punto un sistema brevettato di carico e scarico tramite scivoli in grado di rendere superfluo il dispendioso utilizzo di gru. Questo tipo di soluzioni sarà sempre più utilizzato dai grandi manufacturer, tra cui ad esempio l’industria automobilistica, in ottica di decarbonizzazione, controllo dei costi e dei tempi di consegna.
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