5 min
Dalla fine della globalizzazione all’intelligenza artificiale, passando per il ritorno in grande stile dei bond e il nodo del social investing. La visione del country head Italia della casa di gestione e le strategie con cui punta ad affrontare la complessità
Inflazione, tassi di interesse e recessione stanno catalizzando l’attenzione della finanza ormai da due anni. Ma, quando il quadro macroeconomico si sarà finalmente assestato, altre forze prometteranno di dare forma ai mercati del futuro. Luca Tenani, country head Italia di Schroders, è convinto che si tratterà di forze dirompenti e strutturali, alle quali sia gli investitori sia gli asset manager dovranno adeguare portafogli e strategie per non essere travolti. Dalla fine della globalizzazione all’intelligenza artificiale, passando per il ritorno in grande stile dei bond e il nodo del social investing, la sua visione del domani e le strategie con cui punta ad affrontare uno scenario sempre più “3D”.
Luca Tenani, country head Italia di Schroders
Quali saranno i driver dei mercati nei prossimi anni?
La globalizzazione sta volgendo al termine, rendendo Paesi e imprese meno preoccupati dell’efficienza e più della sicurezza energetica o delle forniture: ecco quindi che le catene globali del valore si riorganizzano, accorciano e avvicinano. Altre dinamiche importanti sono quelle demografiche, tra cui l’invecchiamento della popolazione nelle economie avanzate: un fenomeno che costringerà a fare i conti con una minore disponibilità di forza lavoro qualificata, favorirà pressioni al rialzo sui salari e vedrà freni geopolitici ai flussi migratori. In questo quadro, la risposta per aumentare la produttività non potrà che essere trovata nella tecnologia, nella robotica e nell’intelligenza artificiale. Il tutto mentre a fare da cornice ci sarà la lotta al cambiamento climatico, che già oggi sta rivoluzionando ogni settore economico in maniera trasversale e richiede investimenti da capogiro. Per concludere, deglobalizzazione, demografia e decarbonizzazione sono forze che, nel loro insieme, eserciteranno una pressione inflazionistica costante, imponendo alle imprese maggiori costi e facendoci abituare a tassi di interesse più alti più a lungo ma anche a maggiore volatilità. Insomma, uno scenario da guardare con attenzione per chi deve mettere a fuoco le opportunità di investimento.
La ricomparsa di rendimenti interessanti dopo anni di tassi a zero ha alimentato un grande entusiasmo per il comparto obbligazionario. Quali saranno le sorti di questa asset?
Dopo l’annus horribilis del 2022, l’obbligazionario in generale – e il corporate in particolare – sta tornando in grande stile nei portafogli degli investitori. Se con i tassi a zero bisognava affidarsi a titoli dal merito creditizio più basso per ottenere rendimento, lo scenario attuale restituisce infatti alle obbligazioni il loro duplice ruolo: da una parte, fonte di cedole che non si vedevano da tempo; dall’altra, elemento di bilanciamento ed efficientamento. Senza dimenticare che ritorni più elevati consentono anche di controbilanciare i tassi di default nell’ambito di un portafoglio corporate diversificato oltre ad accrescere il potenziale delle strategie multi-asset. In generale, anche se il contesto macroeconomico si presenta accidentato e resta difficile propendere nettamente per un atterraggio soft dell’economia piuttosto che uno hard o anche un no landing, la componente obbligazionaria ha sempre qualcosa di interessante da offrire. A patto di essere agili nelle scelte di investimento e optare per una diversificazione sia settoriale sia geografica.
Quali le strategie da privilegiare, invece, sul mercato azionario?
Lo scenario altamente volatile in cui ci troviamo impone strategie molto diversificate e necessariamente attive. In termini di esposizione core, riteniamo che un approccio globale, capace di spaziare tra settori, stili e aree geografiche, interpreti al meglio la situazione attuale, affidando la selezione dei titoli al team di gestione. Una selezione focalizzata sulla ricerca di gap di crescita, ovvero di aziende la cui stima degli utili non è ancora percepita dal mercato. A questo metodo possono essere affiancate, con un approccio più satellite, soluzioni tematiche che facciano leva su trend come la tecnologia e il net zero. Questo non significa focalizzarsi su specifici settori economici ma capire l’impatto delle innovazioni sulle catene del valore e andare a individuare vincitori e vinti in maniera trasversale. Nell’ambito di un portafoglio orientato al futuro, infine, non si può ignorare la Cina. Il Paese è affannato da problematiche immobiliari ma non dobbiamo lasciare che il rumore di breve sovrasti il potenziale di lungo periodo: va piuttosto interpretato come occasione di acquisto. Stiamo infatti parlando non solo della seconda economia al mondo ma anche di un gigante tecnologico, nonché del primo detentore di terre rare e di una nazione all’avanguardia sul fronte green.
Qual è il ruolo della transizione energetica nelle vostre strategie orientare all’equity?
Ha un ruolo di primissimo piano. Va detto che il 2023 si sta rivelando piuttosto impegnativo per molti titoli dell’universo della transizione energetica e il sentiment ne ha risentito. Una debolezza da ricondurre a forze cicliche come le pressioni inflazionistiche e le interruzioni negli approvvigionamenti, ma anche l’inasprimento delle condizioni finanziarie e un calo della domanda sottostante legata ai rischi di recessione. Tuttavia, consideriamo questi venti contrari di natura del tutto transitoria e comunque non in grado di mettere in discussione il potenziale di rendimento di un trend epocale. Gli spazi di crescita per gli utili e i flussi di cassa delle società coinvolte nel fenomeno si confermano solidi nel lungo termine, così come la relativa domanda di prodotti e servizi. Il nostro approccio si estende a tutta la catena del valore dell’energia: dalla produzione di rinnovabili alle infrastrutture di stoccaggio e trasmissione, passando per la mobilità alternativa. E sull’intera catena andiamo a ricercare società che abbiano precise caratteristiche in termini di prospettive di cashflow, sostenibilità del business e valutazioni ragionevoli.
Non solo Esg ma anche impact investing. Come interpretate questa filosofia e quanto sta prendendo piede in Italia? Si tratta ancora di una nicchia o è possibile parlare di trend?
È un tema che ci sta particolarmente a cuore. Lo dimostrano i numerosi fondi impact che annoveriamo nella nostra offerta e la nostra quota di maggioranza in BlueOrchard, una società fondata nel 2001 su iniziativa dell’Onu e riconosciuta come primo gestore commerciale al mondo di investimenti nel microdebito. Teniamo presente che l’impatto non ha a che fare solo con l’ambiente. Con i titoli dei giornali focalizzati sul cambiamento climatico, si tende infatti a mettere in secondo piano la dimensione sociale quando invece l’aumento dell’inclusione finanziaria e il sostegno alle comunità dei Paesi più colpiti dal riscaldamento globale sono esempi virtuosi di come contribuire a un concetto di sostenibilità a 360°.
Andando poi oltre la generazione di green o social alpha, individuo il vero volano del trend, che in Italia ha ancora molti spazi di crescita, in una questione di attribuzione e concretezza. A livello di gruppo, da anni lavoriamo nella costruzione di strumenti di misurazione quantitativa e qualitativa degli aspetti Esg. E grazie ad essi siamo oggi in grado di costruire portafogli ad hoc sulla base di specifiche esigenze in termini di Obiettivi per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, ad esempio per clienti istituzionali. Poter dimostrare in maniera concreta e misurabile gli impatti specifici generati da un investimento (oltre che il rendimento) può incentivare ulteriormente la credibilità e l’adozione di soluzioni impact anche nel nostro Paese.
I mercati privati faticano a ripartire e, in Italia, si ritrovano a scontentare una serie di barriere strutturali ma anche culturali. Come siete posizionati in questo senso e come vede la situazione del nostro Paese?
Crediamo nei mercati privati al punto da aver creato una divisione specializzata, chiamata Schroders Capital, che raccoglie al suo interno competenze su numerosi ambiti. Si tratta infatti di un universo che racchiude mercati molto diversi tra loro e per questo la sfida è duplice: da una parte, trasferire queste enormi potenzialità in soluzioni commerciabili; dall’altra, preparare il mercato ad accoglierle. Questo vale a maggior ragione per il nostro Paese, dove servono tempo ed educazione finanziaria. Così come occorre lavorare sull’oliare certi meccanismi di messa a terra in modo che i distributori possano offrire prodotti “plug and play” facili da attivare. C’è da dire che i progressi ci sono stati e ci sono tuttora, grazie a innovazioni di prodotto e novità regolamentari. Nel nostro caso, da tempo offriamo soluzioni di private equity semi-liquide per la fascia alta di investitori anche non professionali, e sempre in ambito private equity abbiamo quest’anno lanciato il primo Eltif. Il focus dei nostri investimenti di private equity è sulle piccole e medie imprese europee, spesso a conduzione familiare o di proprietà del fondatore: è lì che riteniamo ci sia un elevato potenziale di trasformazione aziendale, con multipli di ingresso interessanti e un più veloce dispiegamento del capitale. La strategia di coinvestimento rappresenta inoltre un distintivo punto di forza. I coinvestimenti offrono l’opportunità di investire direttamente nelle aziende al fianco di General Partner, ovvero società di private equity specializzate. La solidità delle relazioni che Schroders Capital ha sviluppato con diversi General Partner ci consente di accedere a operazioni molto selezionate e a condizioni privilegiate.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.
.