4 min
Family office, istituzionali, private banking. Quali sono gli attori che si affacciano all’investimento in Bitcoin&Co. Con quali strumenti e con quali probabilità di successo secondo gli esperti?
Più di un family office su quattro investe in criptovalute: è quanto emerge dalla ricerca The European Family Office Report 2021 condotta da Campden Wealth e sponsorizzata da Deloitte Private a livello globale su 385 strutture in tutto il mondo, di cui oltre un quarto in Europa.
Secondo il report, il 28% dei family office del Vecchio Continente punta sulle criptovalute e ha l’aspettativa che possano diventare una asset class rilevante. Attualmente, dice la ricerca, rappresentano solo l’1% del portafoglio medio dei family office europei e l’1% dei portafogli dei peer globali. Anche se il 17% dei family office europei prevede di allocare di più alle criptovalute nel 2022, questa cifra risulta inferiore rispetto ai peer in Nord America (24%) e Asia-Pacifico (35%). Questo si riflette anche sul fatto che le criptovalute sono viste come investimento promettente per il 33% dei family office europei, mentre le percentuali sono maggiori sia in Nord America (43%) che Asia-Pacifico (53%).
L’Italia è allineate al resto d’Europa? Non essendo disponibili dati di dettaglio per i singoli Paesi abbiamo preso contatto con diverse strutture italiane o estere con business in Italia attive nella gestione di grandi patrimoni.
Primi amori fra investitori private e criptovalute
“In quanto family office la nostra missione è quella di essere a disposizione dei clienti e quindi siamo strutturati e in grado di intermediare criptovalute”, commenta Andrea Caraceni, amministratore delegato di CFO Sim. “Detto questo il nostro bias strutturale sulle criptovalute intese come asset su cui investire è molto negativo – aggiunge – Nel caso in cui ci fosse un quadro normativo chiaro e un’adozione delle valute su base blockchain a livello di istituzioni finanziarie e banche centrali è indubbio che potrebbero derivarne dei vantaggi in termini di efficienza, ma siamo molto lontani da questa situazione. Questo non esclude che un’esposizione su tali strumenti al fine di ottenere rendimento sia una cosa sbagliata, anche se l’estrema volatilità e la strutturale insicurezza circa la possibilità di recuperare il capitale investito sono per noi fattori troppo critici per consigliare questo genere di allocazione”.
“Esistono diversi tipi di criptovalute, che però, ad oggi, non sono sottoposte ad una chiara regolamentazione. Per questo motivo, Lombard Odier non suggerisce o investe direttamente in criptovalute per il momento. Ma siamo convinti sia importante capire l’industria ed esserne coinvolti, e lo facciamo sia attraverso investimenti privati in aziende che si occupano di blockchain o di tokenizzazione, sia implementando nuove strategie di investimento”, sottolinea Alberica Brivo Sforza, managing director per le attività di Private Banking in Italia di Lombard Odier.
“Se proprio necessario – afferma Caraceni – consigliamo di investire tramite strumenti quotati, liquidi e facilmente scambiabili a prescindere dal sottostante. Ciò consente quantomeno di non essere direttamente in contatto con criptovalute e con i rischi conseguenti”.
“Al momento le nostre evidenze sono in linea con i numeri del report di Campden Wealth”, spiega Loris Calabrò, responsabile della sezione digital & crypto in Frame Asset Management. “Fra i nostri clienti c’è un cauto avvicinamento al mondo cripto – racconta – si tratta per lo più di clientela imprenditoriale private. Le nostre indicazioni sono improntate sempre alla massima cautela e verso investimenti attraverso Etp su bitcoin o ethereum a replica fisica, mai sintetica”.
“Nel medio-lungo termine l’investimento medio in criptovalute tenderà ad aumentare – aggiunge Calabrò – A determinate condizioni di tolleranza al rischio non escludo che l’asset class posa arrivare a rappresentare un 20% del portafoglio totale reale, a patto che vengano creati prodotti in grado di tenere sempre più sotto controllo la volatilità del sottostante e che la regolamentazione riesca a tenere il passo dell’innovazione”.
Istituzionali interessati ma non investiti. Gli investitori istituzionali, sia in Italia che in Europa, non sono presenti su questo mercato: “Ne parlano e si informano, ma, al contrario di quanto già fanno gli investitori statunitensi, siamo ancora lontani da un vero interesse”, afferma Calabrò.
Bill Miller, ex presidente e Cio di Legg Mason e fondatore di Miller Value Partners, noto per il suo lungo track record nel sovraperformare il mercato, ha moltiplicato la sua esposizione a bitcoin lo scorso anno, quando la criptovaluta ha bruciato oltre metà del suo valore. Ma all’investitore medio, l’esperto, suggerisce di puntare solo l’1% del portafoglio.
Leggi anche Il guru Miller investe metà del patrimonio personale in bitcoin
Boom di prodotti
Secondo Bloomberg i veicoli di investimento sulle valute digitali, quasi esclusivamente Etp, sono passati dai 35 di fine 2020 agli 80 attuali e sono raddoppiate anche le masse gestite: da 24 miliardi di dollari a 63 miliardi.
Per quanto riguarda il tipo di prodotto, l’esperto di Frame AM sostiene che ad oggi gli Etp sono i veicoli più efficienti per investire in criptovalute ma pensa che in futuro l’innovazione di prodotto arriverà anche qui. “Si andrà prima oltre la circoscrizione dell’universo cripto ai soli bitcoin ed ethereum e verranno distribuite strategie e tecniche finanziarie sempre più evolute che permetteranno di contenere la volatilità”, afferma. “Per far fronte a questa carenza stiamo lavorando al lancio di una gestione patrimoniale lussemburghese in cui andremo ad investire in criptovalute attraverso tecniche evolute che vanno proprio in questa direzione”, annuncia.
Oggi gli operatori presenti sono prevalentemente nuovi provider iper-specializzati sul mondo cripto, mentre si nota l’assenza da questo segmento dei grandi player per masse gestite a livello globale.
“La strutturazione di prodotti in criptovalute richiede competenze tecniche molto differenti da quelle della finanza classica. Alcuni prodotti che vengono lanciati oggi hanno richiesto ai provider più di un anno di lavoro per la strutturazione. Per i grandi asset manager i rischi e le complessità prevalgono sui potenziali benefici. Di certo in futuro entreranno in questo mercato anche loro, certamente quando anche il quadro regolamentare sarà più chiaro e univoco”, completa Calabrò.
“Fintantoché non sarà creata una chiara regolamentazione sulle criptovalute”, aggiunge sul punto Brivo Sforza di Lombard Odier, “è improbabile che queste possano proliferare nel private banking”. “Riconosciamo che – conclude – la tecnologia sottostante permette, ad esempio, una semplificazione nei processi amministrativi, o una facilitazione per i diversi canali di distribuzione, o ancora potrà permettere la diversificazione dei portafogli, rispetto ai tradizionali portafogli azionari e obbligazionari. Investire in azioni frazionate di beni reali, può a nostro avviso, creare molte opportunità. Ma allo stato attuale, vediamo due ostacoli da superare: da un lato regolatorio, in quanto l’industria finanziaria deve uniformarsi a molte più regole e norme di tanti altri settori; e dall’altro tecnologico perché per far sì che la blockchain possa diffondersi capillarmente dovrà essere semplificata e divenire automatica”.
.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.