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Per Robyn Laidlaw, head of Distribution di Vanguard Europe, la normalizzazione del quadro macro non intaccherà la gestione passiva. L’auspicio è che la rotazione dei portafogli verso l’obbligazionario continui. Ma a favorire la democratizzazione sarà soprattutto il digitale. Anche in Italia
La gestione passiva si è dimostrata in grado di tenere il passo anche in questi ultimi anni segnati dalla crisi. Con il calo dell’inflazione e l’allentamento delle politiche delle banche centrali, il 2024 sembra però destinato a riportare una normalità che ai mercati finanziari mancava da tempo. Non stupisce dunque che una parte crescente degli operatori si chieda se gli Exchange traded funds, massima espressione di questo stile di gestione, saranno intaccati dal mutare delle condizioni macro oppure ne usciranno indenni. Robyn Laidlaw, head of distribution di Vanguard Europe, crede che il settore rimarrà solido. E, anzi, prospetta un futuro roseo in scia ai megatrend.
Robyn Laidlaw, head of distribution di Vanguard Europe
Pensa che il comparto non sarà intaccato?
La situazione è ancora troppo incerta per prevedere con sufficiente chiarezza cosa accadrà davvero l’anno prossimo e, in ogni caso, penso sia fondamentale per chi investe in strumenti passivi mantenere una prospettiva di lungo periodo. Per accrescere il valore del proprio capitale e raggiungere gli obiettivi prefissati, gli investitori devono ragionare in termini di anni e decenni anziché settimane e mesi e devono investire o rimanere investiti soprattutto nelle fasi difficili, perché è proprio in tali momenti che la frenesia di vendere li conduce a perdere maggiore denaro.
C’è poi un tema di caratteristiche dello strumento, perché uno dei maggiori indicatori del successo futuro sono le commissioni pagate. Chi si avvale di un Etf per implementare la propria strategia di portafoglio è cioè consapevole di acquistare un prodotto agile e a basso costo, che aumenterà le opportunità di ritorno a parità di altre condizioni: tali qualità non verranno di certo meno in presenza di una normalizzazione del e quindi gli Etf continueranno ad attrarre pubblico.
I dati più recenti hanno mostrato una rotazione dei portafogli (anche passivi) verso l’obbligazionario. È questa la direzione e come le prospettive macro, specialmente la dinamica dei tassi, possono influire sul trend?
Quest’anno abbiamo registrato molti flussi verso i nostri Etf a reddito fisso, tanto che la distribuzione dei capitali in ingresso tra obbligazionario ed equity si attesta ormai stabilmente attorno al 50-50. È evidente che gli investitori abbiano sfruttato la variazione dei tassi di interesse e l’aggiustamento dei prezzi dei bond per riposizionare i portafogli verso un’asset class in grado di offrire loro ritorni maggiori in un periodo di forte volatilità. Quanto al futuro, soprattutto per il segmento retail, l’auspicio è che il trend continui perché il reddito fisso rappresenta la garanzia di un ritorno stabile e una valida fonte di diversificazione rispetto al capitale di rischio. Di un semplice auspicio, tuttavia, pur sempre si tratta: sia perché non è semplice prevedere come si muoveranno le banche centrali sia perché i dati dimostrano l’importanza di assumere una decisione strategica e mantenerla, così da attraversare i vari cicli e le crisi che i mercati dei capitali produrranno nel lungo termine su una base di rendimento reale.
Quali sono i trend che interesseranno l’industria europea degli Etf nel medio-lungo termine?
Un primo fenomeno già in corso, ma che deve ancora consolidarsi, è la “democratizzazione” degli Etf. Sappiamo infatti che questi strumenti erano stati concepiti come un prodotto per investitori istituzionali, ad alta qualità e prezzi bassi, ma ora anche gli investitori retail europei dimostrano di apprezzare sempre di più tali caratteristiche. Specialmente in paesi come Italia e Germania, dove la partecipazione dei risparmiatori alla gestione attiva è ancora molto dispendiosa.
Da qui, anche il secondo trend che intravediamo all’orizzonte: la diffusione delle piattaforme digitali. Esse rappresentano un canale di distribuzione destinato a diventare capillare proprio per la presa sugli investitori non professionali, in quanto canali diretti che riducono le barriere all’ingresso. In Paesi come gli Stati Uniti esistono da tempo canali di investimento diretto che offrono investimenti passivi. In Germania si sta facendo lo stesso: secondo le nostre stime, abbiamo fino a un milione di clienti tedeschi che ogni mese investono nei nostri ETF tramite piani di risparmio in Etf per contribuire ai propri obiettivi finanziari. In ultimo, siamo convinti che il mercato degli strumenti passivi sia destinato a crescere molto anche in aree del mondo dove questi strumenti ancora non hanno raggiunto il livello di diffusione degli Usa.
Come vede il fenomeno dei cosiddetti Eft attivi? Pensa si possa dire che ormai sono diventati una realtà consolidata? E perché l’Europa è ancora indietro rispetto agli Stati Uniti, dove questi strumenti rappresentano una quota significativa del mercato?
Li considero come un’alternativa a disposizione dei gestori attivi per collocare i propri prodotti e questo suggerisce che possano crescere in termini sia di gamma sia di masse. Guardando però alla struttura del mercato europeo, con l’80% delle masse ancora rappresentato da asset attivi, continuo a ritenere che la vera ascesa si registrerà sul fronte dell’indicizzazione. Questo perché la questione non va inquadrata in termini di ‘attivo contro passivo’ ma di ‘conveniente contro costoso’ o anche di ‘efficace contro inefficace”. I nostri Etf LifeStrategy, ad esempio, sono completi perché permettono di acquistare un solo strumento e ottenere un portafoglio diversificato composto di Etf azionari e obbligazionari che si ribilanciano automaticamente in funzione del profilo di rischio prescelto, ad esempio con il 60% di azioni e il 40% di obbligazioni. Caratteristica che attenua la necessità di domandarsi ogni giorno come evolveranno i mercati alla luce delle turbolenze macroeconomiche e geopolitiche. Quanto al gap dell’Europa rispetto agli Usa, ma anche all’Australia o al Regno Unito, questo dipende dal maggior costo imposto dalle commissioni sulla vendita di prodotti di investimento.
Quali sono le iniziative in cantiere per Vanguard Europe nell’ottica di affrontare un 2024 che riserva ancora elementi di incertezza? Quali, invece, i piani a medio-lungo termine?
Stiamo continuando a investire nella nostra offerta dedicata ai consulenti finanziari e il modo in cui vogliamo lavorare con questo segmento è quello della partnership. Si tratta di collaborazioni pensate per fornire alle controparti non solo un’eccellente gamma di prodotti a basso costo, ma anche altre forme di benefici: dal supporto nella costruzione di portafogli al confronto tra prodotti, dalla gestione delle strategie alla consulenza nella relazione con i clienti. Quanto all’Italia, a gennaio festeggeremo il quinto anniversario dalla quotazione del primo Etf a Piazza Affari, ma non abbiamo intenzione di smettere di investire nello sviluppo della rete locale perché riteniamo che si tratti di un mercato strategico insieme a Germania, Svizzera e Regno Unito. L’area è infatti molto importante soprattutto per quanto riguarda l’entità dei patrimoni e quindi per l’attività di wealth management.
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