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L’analisi Fabi: nel 2021 solo il 46% dei proventi dai finanziamenti. E in 11 anni il fatturato da prestiti è sceso di 15 miliardi. Il futuro? Passa da rialzo dei tassi e wealth management
Addio credito, avanti tutta sui prodotti finanziari. Il modello di business delle banche sta cambiando radicalmente, trasformando sempre più quelli che non a caso si chiamano istituti di credito in negozi finanziari. A dirlo sono i numeri, quelli dei bilanci, che mostrano come tra i due principali ambiti di attività del settore non ci sia ormai più partita, dal momento che la maggior parte dei ricavi arriva dalle commissioni.
Nel 2021 i ricavi da commissioni sono saliti al 53,6% del totale
A fare i conti è stata la Fabi, il sindacato dei bancari italiani, secondo la cui analisi l’anno scorso, sul totale di 82 miliardi di euro di ricavi, quelli legati alle commissioni hanno raggiunto il 53,6% del totale, rispetto al 46,4% dei proventi riconducibili ai finanziamenti concessi a imprese e famiglie. Che in euro fa 44 miliardi contro 38 miliardi.
Nel 2020, il distacco era stato inferiore a un punto percentuale (50,4% contro 49,6%): 39,5 miliardi contro 38,7 miliardi. Ne deriva che in soli 12 mesi, il divario tra commissioni e prestiti è passato da 688 milioni a 5,8 miliardi. In termini percentuali, il distacco è salito da meno di un punto a oltre 8 punti percentuali. Una rivoluzione, insomma.
Secondo l’analisi, con i big di Internet che sono già entrati da anni nel mercato dei pagamenti digitali e che ora muovono i primi passi nel campo del credito al consumo, aggredendo quote di mercato alle banche, il settore si sta profondamente trasformando e il cambiamento tocca da vicino sia i dipendenti sia la clientela. Il 2021 ha dunque visto crescere i ricavi del settore bancario italiano, in aumento di oltre 4 miliardi con una crescita del 5,2%. Ma la la chiave di successo del conto economico degli istituti, secondo la Fabi, passa sempre di più per l’aumento delle commissioni pagate dalla clientela. Il rischio è che, in assenza di interventi, la situazione possa portare a contrapporre due fragilità, da un lato i dipendenti delle banche, dall’altro la clientela.
In 11 anni il fatturato da prestiti è sceso di 15 miliardi
Allargando l’orizzonte temporale, l’analisi mostra che negli ultimi 11 anni l’intero circuito bancario italiano ha bruciato più di 15 miliardi di quella parte di fatturato legato ai prestiti (margine d’interesse) a beneficio degli “altri ricavi”.
I cambiamenti repentini di strategia, anche in risposta ai livelli ancora contenuti dei tassi, assieme al maggiore coinvolgimento degli istituti di credito in attività più redditizie, hanno “ridotto l’appeal per i prestiti in favore dei servizi bancari basati su commissioni”, evidenziano i tecnici Fabi.
Il futuro? Passa da rialzo tassi e wealth management
Stando quindi al report, la possibile ricetta futura sul fronte dei ricavi potrebbe passare per la risalita attesa dei tassi e per un sempre imponente ruolo del wealth e asset management, ambito nel quale la consulenza richiederà competenze ampie, diversificate e valorizzate.
Perché l’obiettivo non sarà la “sola gestione del risparmio bensì l’impiego delle masse liquide accumulate sui conti correnti, in investimenti sempre più redditizi e durevoli nel tempo”, conclude l’analisi.
Sileoni: con prodotti finanziari e assicurativi rischi ridotti a zero
“I nostri dati ci consentono di fare diverse considerazioni – commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni -. La prima è che le banche, ormai, stanno rinunciando a fare credito e questo dipende principalmente dal fatto che i prestiti rappresentano un’attività poco profittevole e sempre più complessa, soprattutto a causa delle stringenti regole della Banca centrale europea che non vuole i bilanci appesantiti da nuove sofferenze; insomma, molti costi e tanti rischi, ma poca redditività. Di qui la scelta di spostare l’attenzione, progressivamente, sulla vendita di prodotti finanziari e assicurativi, ambito nel quale i rischi sono di fatto ridotti a zero, ma i ritorni economici, invece, sono assai importanti”.
“La seconda considerazione – conclude Sileoni – deriva dagli effetti, a mio avviso pericolosi, derivanti dall’ingresso di grandi operatori di internet nel mercato e nel business delle stesse banche: dopo i pagamenti, adesso, è il caso di Apple, c’è il credito al consumo e tutto questo esaspererà la concorrenza sfrenata fra i gruppi bancari italiani, con ripercussioni negative anche per la clientela”.
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