Usa, Pil meglio del previsto mentre sale il rischio default
Nel primo trimestre l’economia cresce dell'1,3% e batte le attese. Ma lo stallo sul tetto del debito può costare un downgrade del rating minacciano. La view dei gestori
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Un rallentamento della stretta è possibile, ma il tasso finale sarà probabilmente più alto. Si stanno valutando gli effetti ritardati dell’inasprimento monetario sull’economia ma non sono previste pause. La danza di tip tap (come l’ha definita Jon Maier, cio di Global X) messa in scena dal presidente della Fed, Jerome Powell, al termine dell’atteso meeting di ottobre, ha avuto come risultato principale quello di spiazzare i mercati. Con i gestori che già guardano a dicembre nella speranza di capire meglio che percorso intende seguire la banca centrale Usa.
“La Fed potrebbe decidere di modificare il percorso di rialzi nella riunione di dicembre e prolungarlo oltre il primo trimestre del 2023 – osserva Maier -. Powell ha infatti dichiarato esplicitamente che l’attesa di una pausa nel ciclo di rialzi è prematura. Ciò spingerà potenzialmente il tasso terminale oltre il 5%. Il mercato valuta ora la probabilità di un rialzo di 50 punti base a dicembre al 65%, rispetto al 44% precedente”.
Dello stesso parere gli analisti di Goldman Sachs, le cui stime indicano una stretta di mezzo punto a dicembre e di un quarto di punto tra febbraio e marzo, con il costo del biglietto verde che potrà raggiungere la soglia 5%.
Anche Tiffany Wilding e Allison Boxer, economiste di Pimco, prevedono che la Fed si fermerà tra il 4,5% e il 5%. Ma stimano anche una recessione negli Stati Uniti all’inizio del 2023. “Recessione che – precisano – a nostro avviso limiterà la propensione della Fed a ulteriori rialzi dei tassi, nonostante un’inflazione ancora elevata. Tuttavia, riteniamo che la Fed non taglierà i tassi fino a quando l’inflazione non inizierà a scendere nel corso dell’anno”.
Per Salman Ahmed, global head of macro & strategic asset allocation di Fidelity International, resta elevata la probabilità di hard landing nel 2023, man mano che gli effetti del ciclo di inasprimento si riflettono all’interno del sistema. “I nostri indicatori segnalano una probabilità di recessione del 55% entro la metà del prossimo anno. La riduzione del ritmo dell’aumento dei tassi di interesse sarà un passo importante per entrare nella ‘fase finale’ dell’inasprimento, ma per ora la Fed rimane attenta al rischio di un’inflazione elevata in un’economia che è ancora forte quando si tratta di dati concreti”, precisa.
Insomma, tra recessione e inflazione, la Fed continua a identificare nella seconda il nemico numero uno. “Sebbene l’economia statunitense stia iniziando a decelerare, l’inflazione rimane persistentemente alta e il mercato del lavoro è ancora molto rigido”, evidenzia Paul O’Connor, head of multi-asset di Janus Henderson, stando al quale è improbabile che Powell assuma un atteggiamento più accomodante finché non avrà le prove di una svolta sul fronte dei prezzi.
Anche per Keith Wade, chief economist & strategist di Schroders, le parole di Powell hanno sì aperto la porta a un rialzo dei tassi più contenuto a dicembre, di 50 punti base, ma implicando che saranno necessari dati più morbidi sull’inflazione e sul mercato del lavoro. “Ci saranno due stampe di ciascuna di queste variabili prima della prossima decisione della Fed del 14 dicembre. Sembra che la Fed abbia disinserito il pilota automatico, ma non è ancora convinta di essere arrivata a destinazione”, spiega.
Intanto, i prezzi dei futures indicano che il Fomc aumenterà i tassi di circa 50 pb a dicembre e di un importo simile nel primo trimestre 2023, fino a un picco di circa il 5%. “Con le aspettative sui tassi di interesse che sembrano ormai realistiche, vediamo che la duration obbligazionaria sta riacquistando un ruolo utile nei portafogli multi-asset. Ulteriori rialzi dei rendimenti obbligazionari saranno probabilmente autolimitati, il che suggerisce che gli asset a lunga scadenza dovrebbero essere acquistati sui ribassi. La pazienza rimane la chiave per quanto riguarda gli asset di rischio. Le valutazioni azionarie appaiono ancora costose rispetto ai rendimenti obbligazionari reali e le stime degli utili restano a rischio, dato che la politica monetaria morde e la crescita continua a rallentare”, conclude O’Connor.
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