Un modello di business unico nel mondo dell’asset management, spiegato dal fondatore della società francese. Partnership con eccellenze gestionali, business development e capacità di visione laterale in un’industria matura dove solo la qualità (delle strategie e del modello di business) permette di fare la differenza
Philippe Couvrecelle, ceo e fondatore di iM Global Partner
“Siamo una delle pochissime compagnie al mondo che scelga sistematicamente di essere azionista di minoranza, fornendo risorse per lo sviluppo del business all’azionista di maggioranza”. Philippe Couvrecelle, ceo e fondatore di iM Global Partner, parte da questo fondamentale dettaglio per raccontare una storia unica di passione per il mondo della gestione. Un coinvolgimento che si percepisce chiaramente conversando sulla genesi della società francese che si propone sul mercato come network di asset manager di eccellenza nel campo della gestione attiva liquida.
Che cos’è un gestore attivo e che cosa significa lanciare una sfida imprenditoriale incentrata proprio su questo modello negli anni dell’esplosione degli ETF e dei fondi passivi?
Un gestore attivo è prima di tutto qualcuno che pensa al di fuori della media. Ho sempre creduto a questa parte dell’industria, fin dall’inizio della mia carriera più di 30 anni fa.
Con mercati che crescono a doppia cifra ogni anno è ovvio che posizionarsi sui passivi non sia una cattiva scelta. Ma tutti devono sapere che questo non può succedere tutti gli anni e che la gestione attiva fa la differenza laddove i mercati sono più sfidanti. È quello il momento in cui è essenziale fare selezione. Oggi abbiamo circa il 20% dei gestori attivi in grado di giustificare le maggiori fee rispetto ad una gestione indicizzata. Ma è proprio lì che si trova l’eccellenza ed è lì che andiamo a costruire le nostre partnership.
In più, un vero gestore attivo, molto spesso, è un imprenditore, ovvero un professionista che vuole costruire una propria compagnia in cui gestire i portafogli per come vedono realmente i mercati.
Partendo da queste convinzioni ho iniziato a pensare come costruire un modello di business che poggiasse su questi due pilastri, permettendo ai gestori in grado di creare alpha di realizzare il proprio sogno. È così che nasce iM Global Partner, un network di asset manager che si prefigge di creare efficienza, preservando l’indipendenza dei portfolio manager attraverso sole partecipazioni di minoranza.
Che tipo di società ricercate e quale tipo di relazione instaurate una volta entrati nel capitale?
Cerchiamo società che vogliano crescere molto e velocemente. Il solo argomento che abbiamo nel momento in cui ci approcciamo a queste boutique di gestione attiva consiste nell’offrire la nostra forza distributiva, garantendo inoltre che il dipartimento sales distribuirà solo ed esclusivamente i prodotti dei partner di iM Global. Evitiamo, inoltre, di creare competizione tra i nostri partner cercando di essere quanto più complementari possibile in termini di strategie di investimento.
Veramente fondamentale nel nostro modello è il mantenimento di una posizione di minoranza nell’azionariato. Questo, oltre a garantire libertà gestionale in termini di investimento, determina una responsabilizzazione che si traduce in controllo del rischio. Il ragionamento applicato di solito è opposto, ma è totalmente sbagliato. Una stringente e approfondita due diligence e la fiducia nelle società in cui si investe sono le basi di un modello sano. Più del controllo totale e del vincolo dato dalla proprietà.
Quante partnership avete in questo momento e quali sono i risultati ottenuti?
Abbiamo costituito otto partnership dall’inizio della nostra attività, sette negli Stati Uniti e una in Europa. È questa la migliore dimostrazione dell’attrattività del nostro modello. Si tratta di società che non erano alla ricerca di liquidità e nel caso in cui ne avessero avuto bisogno avrebbero potuto scegliere qualsiasi investitore.
Da un punto di vista di strategie, al momento siamo abbastanza esposti al mercato statunitense e globale in particolare lato equity e stiamo quindi cercando di trovare nuove boutique di investimento specializzate nel campo del reddito fisso, nei liquid alternative e negli emerging market.
Il nostro approccio si concentra sulla qualità e su asset manager non troppo aggressivi. Il tipico profilo degli asset manager a cui puntiamo è quello di società con strategie con un track record di almeno 10 anni che abbiano una grande capacità di contenere il downside e una buona, ma non necessariamente straordinaria, capacità di catturare l’upside del mercato.
Abbiamo ad oggi 35 miliardi di asset e più di 100 professionisti. Lo scorso anno grazie alla nostra attività di business development siamo stati in grado di raccogliere 1,3 miliardi per i nostri partner. Cinque anni fa quando ho lanciato questo progetto sono sicuro che molti hanno pensato che non avrebbe funzionato. Oggi nessuno dice più che è troppo complicato.
Al di là dei numeri, da un punto di vista qualitativo, qual è la risposta del mercato?
Vediamo recettività da parte dei clienti in merito alla possibilità di interloquire con una sola persona della nostra squadra di strategie provenienti da differenti società di eccellenza. Diventiamo immediatamente un punto di riferimento con ampie possibilità di manovra; in grado, ad esempio, di mettere in contatto il fund manager di una società con un investitore in mezza giornata. Siamo connessi, siamo azionisti e lavoriamo insieme. Un modello altamente efficiente dato dalla quotidianità del lavoro che facciamo con i nostri partner. Organizziamo roadshow, siamo presenti sul territorio, permettendo ai nostri partner di non dover pensare allo sviluppo del sales team, in particolare per le società statunitensi per cui è estremamente costoso e complicato predisporre una presenza di vendita in Europa.
L’Italia è un mercato in cui siete presenti con un team guidato da Marco Orsi. Qual è la sua visione sul nostro Paese?
Ci piace molto il mercato italiano perché è un mercato molto competitivo. Significa che è necessario selezionare le migliori società lavorando sodo in termini di due diligence e una volta risolta la questione qualitativa, centrale per il settore dell’asset management, è il mercato a giudicare la tua offerta. E per questo ci sentiamo più che pronti.
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