La corsa di Fed e Bce entra nel vivo con una serie di riunioni su cui si concentrano attenzioni e preoccupazioni degli investitori. Fino a dove possono spingersi per controllare l’inflazione? FocusRisparmio ne ha parlato con Pascal Blanqué, presidente di Amundi Institute, alla luce di quello che l’esperto definisce “un netto cambio di regime macroeconomico”
“Siamo tornati ad un contesto simile a quello vissuto fra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’90”. Pascal Blanqué, presidente di Amundi Institute, tra i primi a parlare (già nel 2019) di ritorno dell’inflazione, ha il tono di chi sta descrivendo non una fase, ma un cambio di regime. Il passaggio da un’era ad un’altra. Un cambio epocale.
“Nella prima parte del 2022 il grande tema è stata l’inflazione mentre nella seconda parte del 2022 il focus è, e sarà, sulle paure di recessione”, afferma, enunciando il primo dei tre fondamentali elementi da tenere a suo avviso in considerazione per comprendere l’attuale contesto di investimento. “Dobbiamo tenere conto del ritorno alla frammentazione dell’economia globale, con la Cina che sta procedendo per la propria strada mostrando una sempre maggiore emancipazione dal ciclo economico mondiale e dalle politiche monetarie della Fed”, aggiunge. “Terzo elemento del contesto di investimento è il ritorno della correlazione positiva di azionario e obbligazionario. Cosa che non ci deve sorprendere perché in un contesto inflazionario è sempre accaduto che i rendimenti bond si muovessero anticipando di circa 5 mesi i corrispondenti movimenti nell’equity. Un fenomeno non più sperimentato negli ultimi decenni”, completa.
Pascal Blanqué, presidente di Amundi Institute
In questo quadro quali sono i fattori di maggiore criticità che possono orientare l’andamento dell’economia e dei mercati?
Prima di tutto l’evoluzione del policy mix. La politica monetaria è molto commentata, meno il complesso delle politiche che tiene conto anche degli interventi sul piano fiscale. Questa unione è particolarmente importante dato che ha rappresentato negli ultimi 20 anni il fattore determinante delle dinamiche economiche. La grande sincronia di banche centrali accomodanti e budget fiscali in espansione è finita. Siamo in una situazione critica, in cui il picco degli investimenti da parte delle organizzazioni nazionali e sovranazionali è alle nostre spalle e in cui le banche centrali non sono più disposte ad esporsi in maniera significativa.
Se pensiamo al contesto macro vissuto in quella che possiamo definire la recente era economica gli elementi che spiccano maggiormente sono l’eccesso di risparmio da parte delle famiglie e l’eccesso di utili per quanto riguarda le aziende. La meccanica di sistema che comporta che al diminuire della spesa fiscale inizi l’erosione tanto dei risparmi quanto dei profitti è già in atto.
Quali sono gli scenari che si aprono a questo punto?
Il primo, che è anche il peggiore per la crescita e per i mercati, è che le politiche monetarie perseguano una normalizzazione ad ogni costo, guardando solo ed esclusivamente al controllo dell’inflazione, e che contemporaneamente non ci sia nessuno stimolo fiscale addizionale. In questo caso il risultato sarebbe estremamente pesante per l’economia.
Al lato opposto troviamo una soluzione in stile anni ’70, in cui matura la consapevolezza che è indispensabile un compromesso, consistente nell’adozione di politiche monetarie moderatamente accomodanti e un certo grado di stimolo fiscale concentrato sulla gestione della crisi per chi ne è maggiormente colpito e su settori specifici da cui dipende una transizione sistemica del sistema economico, come energia e clima.
Verso quale dei due opposti ci stiamo muovendo? Dove atterreremo?
La verità con ogni probabilità sta nel mezzo e, come testimoniato dai toni da falco a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane, ci aspettiamo di vedere, almeno in questa fase, poca propensione al dialogo da parte delle Banche centrali, impegnate nel tentativo di recuperare autorevolezza. I mercati, in questo momento, stanno effettivamente prezzando la prosecuzione di politiche monetarie ultra-restrittive e i connessi rischi di recessione.
È davvero questa la direzione definitiva?
Le Banche centrali oggi non sono quelle del periodo volckeriano (Paul Volcker fu presidente della Federal Reserve dal 1979 al 1987, ndr). Il loro DNA è cambiato. Il contesto fatto di attori omogenei che si concentravano su uno o due obiettivi condivisi con un unico principio guida, “seguire la Fed”, non c’è più. L’ultima volta che la banca centrale americana ha provato ad agire in quell’ottica è stato nel 1994 con effetti devastanti sul mercato obbligazionario.
Oggi l’equazione è molto più complessa. Abbiamo assistito negli ultimi decenni ad azioni asimmetriche, ad una netta preferenza per la crescita rispetto al rischio di inflazione e ad una ipersensibilità rispetto al passato a ciò che accadeva sui mercati. La mia conclusione è che non assisteremo ad un comportamento da banche centrali nell’accezione volckeriana ma che prima o poi, inevitabilmente, si fermeranno.
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