Secondo il CEO dell’Associazione degli analisti di investimenti alternativi, educazione finanziaria e innovazione devono accelerare perché tutte le tipologie di investitori abbiano le stesse opportunità in un contesto estremamente sfidante
Bill Kelly, CEO di CAIA
“Se pensiamo a che cosa significa investire, la risposta è abbastanza semplice. Tutto può essere ridotto al concetto di gestione del rischio e a quello di ritorni aggiustati per il rischio. Il difficile arriva con la fase di esecuzione perché la tendenza principale è quella di essere orientati al breve periodo. Un atteggiamento che in questo momento non ci possiamo permettere”.
Bill Kelly, CEO di CAIA, approfondisce per FocusRisparmio tutti i fattori che hanno determinato e determinano la crescente attenzione per gli investimenti alternativi a livello globale. Tra queste il contesto di investimento e la connessa ricerca di rendimento, ma le motivazioni non risiedono unicamente nei movimenti dei fondamentali delle singole asset classes. Cambiamenti sociali, ambientali, di politica economica e di business dell’industria dell’asset management spingono verso la necessità di un maggiore orientamento al lungo periodo e alla diversificazione.
Nel 2004 gli alternativi ammontavano a circa 4.800 miliardi di dollari, rappresentando circa il 6% del valore globale dei fondi d’investimento. Nel 2018 raggiungevano i 13.400 miliardi di dollari per un 12% degli investimenti globali. Stando alle previsioni degli associati CAIA la crescita da qui in avanti sarà inarrestabile: dal 18% al 24% degli investimenti globali solo nei prossimi cinque anni. Che cosa è cambiato in questi anni?
Gli interventi delle banche centrali hanno comportato una totale riprezzamento del rischio. Qui le prospettive storiche sono importanti. Se riportiamo indietro le lancette dell’orologio fino a prima della grande crisi finanziaria del 2008, i ritorni per investimenti considerati free risk si attestavano tra il 5%, 6% o anche 7%. In quel mondo gli investitori pretendevano un ritorno per i loro investimenti dell’8% circa. Ora le politiche monetarie delle banche centrali hanno azzerato i ritorni per i risk free assets, introducendo inoltre la variabile di un’inflazione negativa, ma gli investitori continuano a pretendere l’8% annuo. Ottenere questo risultato oggi comporta l’accettazione di un tasso di rischio completamente diverso rispetto al passato e questo è uno stato di cose che deve essere compreso fino in fondo. Abbiamo rispetto al passato la necessità di trovare nuovi campi di investimento. O meglio, rendere maggiormente accessibili a tutti gli investitori le opportunità esistenti.
La questione dei rendimenti in un mondo a tassi estremamente bassi è certamente centrale, ma quali sono gli altri fattori in gioco?
Le conseguenze del cambio del contesto di investimento sono ovunque, basti pensare al mondo della previdenza, dove le strategie garantite sono pressoché estinte. Inoltre, la longevità, parliamo dunque di fattori demografici e trend secolari, costituisce un rischio da gestire da un punto di vista finanziario.
L’accesso ai soli mercati pubblici, considerando i differenti livelli di rischio/rendimento di oggi, costituisce un elemento di disparità per gran parte degli investitori. Gli studi sulle masse in gestione a livello globale mostrano all’incirca 100 miliardi di dollari di investito e se guardiamo ai trend relativi a chi detiene tale ricchezza notiamo che il peso degli investitori istituzionali sta progressivamente decrescendo e corrispondentemente aumenta la quota retail, nell’accezione più allargata possibile del termine. Dobbiamo perciò impegnarci perché tutti abbiano la possibilità di accedere a tutti i mercati.
I mercati privati sono però un’opzione di investimento particolarmente complessa. Come coniugare la possibilità di accesso alla consapevolezza delle caratteristiche di questa tipologia di allocazione?
Questo è un punto molto importante. Nei bei vecchi tempi, private debt, private equity e hedge funds erano asset classe molto meno complesse. Oggi sono industrie enormi in cui la dispersione dei rendimenti può essere radicale; parliamo di centinaia di basis point tra la media e il primo quartile. La morale è che è necessario studiare molto ed essere consapevoli nel momento in cui si entra nello spazio degli alternativi.
Per CAIA l’educazione finanziaria è una missione centrale. Dobbiamo dire agli investitori in modo chiaro che questo è il momento di essere ancora più informati e prudenti. Guardare agli investimenti alternativi semplicemente dal lato dei ritorni attesi non è il giusto approccio perché significherebbe l’assunzione di quote di rischio non completamente comprese.
La grande sfida per i mercati privati, collegata all’allargamento della base di investitori, è sul bisogno di liquidabilità delle posizioni. Premio di illiquidità e di complessità sono concetti portanti per i private markets ma ciò non significa che non si debbano ricercare soluzioni per rendere l’investimento più liquido e accessibile.
Un aiuto potrebbe arrivare dall’applicazione di nuove tecnologie nella costruzione delle soluzioni di investimento? Quali sono le vostre attese in termini di innovazione?
Ovviamente le tecnologie rappresentano un fattore da tenere in considerazione, ma non devono essere viste come una panacea. Il punto davvero importante risguarda l’educazione degli investitori. Non si può essere preoccupati della liquidabilità dell’investimento nel momento in cui si allocano delle risorse per la propria pensione e si hanno 25 anni. Eppure, è quello che accade.
La tecnologia, in particolare tutto quello che può essere riferito alla tokenizzazione dei fondi alternativi, può aiutare a creare mercati secondari che contribuiscono ad una maggiore liquidabilità delle quote di investimento. L’intera industria deve concorrere in questa fase a ricercare soluzioni perché gli investimenti alternativi entrino in un’età adulta per portare benefici alla maggior quota di investitori possibili.
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