Secondo uno studio Equita-Bocconi, gli istituzionali italiani hanno meno di 2 miliardi investiti nel FTSE MIB, contro i 7,5 dei fondi USA. Enti previdenziali e assicurazioni preferiscono le borse estere e il risparmio perde valore
Investitori italiani cercasi. Alla fine dello scorso anno, gli istituzionali domesticirappresentavano a Piazza Affari meno di due miliardi di investimenti, contro gli oltre 3,5 dei colleghi britannici, i sei di quelli europei e i più di 7,5 degli americani. Si conferma, insomma, la netta dominanza dei fondi stranieri nelle quotate tricolori, con tutto ciò che questo significa in termini di performance nei periodi di stress dei mercati, vista la maggiore volatilità degli impieghi esteri rispetto alla stabilità di quelli domestici. L’alert arriva dalla ricerca promossa all’interno della partnership pluriennale tra Equita e Università Bocconi, che segnala quindi la necessità di avviare iniziative coordinate in grado di rendere più competitivo il mercato nazionale, sullo stile di quanto fatto dal governo con i BTP per riportare il debito pubblico in mani italiane.
“Senza uno zoccolo duro di investitori istituzionali domestici un mercato dei capitali non può essere efficiente”, ha avvertito l’amministratore delegato di Equita, Andrea Vismara, nel corso del convegno ‘Gli investimenti nelle società quotate in Italia: stato dell’arte e prospettive future’. Per Vismara è infatti ormai urgente una partecipazione attiva dei grandi gruppi finanziari del Paese, i quali “dedicano poche risorse e attenzione allo sviluppo dei nostri mercati”, rappresentando meno del 10% degli investitori.
Enti previdenziali e assicurazioni preferiscono l’estero
Il bilancio è in rosso anche se si guarda agli investitori istituzionali italiani cosiddetti long term, come le Casse di Previdenza. Soggetti, sottolinea il report, considerati più importanti ai fini del sostegno del sistema Paese non solo per le quotate, ma anche per le altre società e per gli investimenti infrastrutturali. Ebbene, la percentuale di patrimonio investita daglienti previdenziali in Italia risulta in costante diminuzione, a favore della quota allocata all’estero. E la spiegazione è semplice: oltre alla volontà di diversificare geograficamente, a fare la differenza è infatti la capacità dei mercati esteri di offrire opportunità d’investimento interessanti sotto un profilo di flessibilità, tipologia di prodotti e rendimento.
Lo stesso trend emerge dalla composizione degli investimenti delle forme pensionistiche complementari, dove il ‘prodotto Italia’ è sceso dal 28% circa del 2018 al 21% circa del 2022 sul totale degli investimenti. E dove gran parte di tale percentuale è riconducibile ai titoli di Stato, mentre meno dell’1% interessa i titoli azionari domestici. Stesso discorso, infine, per le assicurazioni italiane, altro investitore di lungo periodo che nel tempo ha dedicato una quota molto contenuta dei propri investimenti all’equity nazionale: tra il 2 e il 3% del totale degli asset.
A tutto questo, ha fatto notare Vismara, si aggiunge un’altra peculiarità nera del nostro Paese: “Il vero problema è che in Italia quasi la metà delle disponibilità di risparmio sono allocate in beni immobiliari, senza dimenticare i depositi nei conti correnti: si tratta di un’allocazione subottimale”, ha osservato. Spiegando che il valore reale dello stock di risparmio è diminuito in dieci anni di quasi l’8%. “Nel 2000 il patrimonio delle famiglie italiane era il 50% in più di quelle tedesche, oggi è il 35% in meno. E nel 2009 le nostre famiglie erano le più ricche, anche di quelle USA, mentre ora sono state superate da quelle di tutti i principali Paesi”, ha precisato. Aggiungendo che, con il peggioramento delle condizioni pensionistiche, l’unica soluzione è aumentare la quota destinata ai fondi pensione.
Per questo, per Vismara va ribadito che i mercati dei capitalisono “un bene pubblico e hanno un ruolo sociale cruciale, per il benessere del Paese, delle imprese e dei cittadini”. Per il ceo di Equita, è infatti chiaro che anche le imprese non possono più fare solo affidamento sul credito bancario, ma debbano aprirsi al mercato dei capitali, proprio come i risparmiatori.
L’Italian Equity Valore (e non solo) per recuperare
La ricerca Equita-Bocconi propone quindi un programma di lavoro per colmare nel breve e medio periodo i gap strutturali del mercato dei capitali nazionale. Tra i suggerimenti, la creazione di fondi d’investimento di grandi dimensioni, in grado di investire nelle PMI quotate, che coinvolgano come anchor investor anche soggetti pubblici e istituzioni finanziarie domestiche. Utile sarebbe anche la creazione di una campagna dedicata alla sottoscrizione di azioni, replicando il successo del BTP Valore, con nuove iniziative che potrebbero prendere il nome di ‘Italian Equity Valore’.
Gli esperti citano inoltre lo sviluppo delle attività di ricerca sulle quotate tricolori tramite la creazione di strutture mutualistiche a favore dell’intero sistema. E anche l’inserimento di obiettivi legati allo sviluppo del mercato dei capitali nei compiti delle autorità di vigilanza insieme a una revisione della fiscalità d’impresa, che permetta di sostenere in maniera strutturale il collegamento tra risparmio e sviluppo economico attraverso il mercato.
“Bisogna recuperare lo spirito del Testo Unico della Finanza, in cui, tra gli obiettivi della vigilanza, viene indicato ‘il raggiungimento del fine con il minore sacrificio dell’interesse dei destinatari e la competitività del sistema’”, ha evidenziato ancora Vismara. In tal senso, “abbiamo visto segnali incoraggianti da parte della Consob, anche se Bankitalia è ancora molto lontana da questo tipo di vigilanza”. L’augurio è dunque che “l’approccio costruttivo mostrato finora dal governo possa contare su un approccio del sistema per creare un ecosistema in linea con gli esempi più virtuosi del Nord Europa”.
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