Usa, Pil meglio del previsto mentre sale il rischio default
Nel primo trimestre l’economia cresce dell'1,3% e batte le attese. Ma lo stallo sul tetto del debito può costare un downgrade del rating minacciano. La view dei gestori
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La stragrande maggioranza dice 50 punti base, ma nessuno se la sente di metterci la mano sul fuoco, ed eventuali sorprese potrebbero non stupire più di tanto. Ci siamo: la settimana delle banche centrali è iniziata, e ad aprire le danze sarà appunto la Federal Reserve, che i mercati vedono in modalità meno hawkish in questo finale d’anno.
Nonostante le previsioni, gli investitori restano comunque cauti e Wall Street venerdì ha archiviato l’ottava peggiore da settembre, segno che probabilmente nessuno esulterà per un aumento dei tassi da mezzo punto contro i tre quarti cui Powell e colleghi hanno ultimamente abituato i mercati. Dopo alcuni dati, come quello sul mercato del lavoro, che rimane forte, e quello sui prezzi alla produzione di novembre annunciato venerdì scorso e superiore alle attese, il meeting Fomc prenderà il via martedì proprio mentre verrà resa nota l’inflazione negli Stati Uniti a novembre, informazione cruciale per la decisione sui tassi che la Fed annuncerà al termine della due giorni, mercoledì sera.
“Il risultato più probabile della prossima riunione del Fomc sembra essere un rialzo dei tassi di 50 punti base, rispetto ai precedenti 75 punti base. Questo, tuttavia, non deve essere visto come un cambiamento della Fed verso una posizione di politica monetaria più dovish”, avverte Christian Scherrmann, economista statunitense di Dws, che sottolinea come l’inflazione sia ancora troppo alta, i mercati del lavoro troppo forti e l’offerta e la domanda troppo squilibrate perché la banca centrale Usa possa abbassare la guardia.
Per Scherrmann, Powell è desideroso di domare l’inflazione danneggiando il meno possibile l’economia e la società, ma la lotta avrà i suoi costi. “Ci aspettiamo che la sintesi aggiornata delle proiezioni economiche della Fed nella riunione di dicembre rifletta questi costi e la disponibilità ad accettare una crescita inferiore e tassi di interesse più elevati nel 2023 – chiarisce -. Il dot-plot della Fed mostrerà probabilmente, a nostro avviso, un tasso di picco leggermente superiore al 5,0%, mentre la crescita per l’anno prossimo potrebbe essere declassata a meno dello 0,5%, appena al di sotto della previsione di recessione”.
Secondo l’economista di Dws, mantenere un atteggiamento da falco di fronte a una lieve flessione potrebbe servire a diversi scopi. “Se i tassi di interesse rimarranno elevati fino al 2023, si potrebbe garantire che l’inflazione rimanga bassa negli anni successivi. Pertanto – argomenta -, solo nel 2024 i membri del Fomc indicheranno probabilmente le loro aspettative di normalizzazione della politica. A quel punto è molto probabile che i tagli ai tassi d’interesse siano previsti e che le previsioni di crescita vengano leggermente rialzate, anche se probabilmente rimarranno al di sotto del potenziale. Una ‘pausa da falco’ nel 2023 potrebbe inoltre mantenere le condizioni finanziarie rigide e restrittive, altro requisito indispensabile per contenere l’inflazione”.
Gli investitori, a detta di Scherrmann, non dovrebbero quindi entusiasmarsi troppo per i minori rialzi della prossima riunione. “Non indicano che la Fed inizierà ad allentare la politica per aiutare la crescita o che stia tornando alla cosiddetta ‘Fed put’, la sua vecchia tendenza a sostenere i mercati. Soprattutto questa potrebbe rivelarsi una reliquia dei tempi della bassa inflazione”, mette in guardia.
Paolo Zanghieri, senior economist di Generali Investments, ha pochi dubbi sul fatto che mercoledì verrà annunciato un aumento di 50 pb, ma evidenzia come l’attenzione si concentrerà su quanto ulteriormente restringerà la Fed e per quanto tempo preveda di mantenere i tassi all’attuale livello. “Per il 2023 ci attendiamo altri due rialzi di 25 bps, che porteranno il tasso di policy nel range 4,75%-5% – afferma -. I membri del Fomc hanno ribadito l’impegno a mantenere i tassi al massimo almeno fino all’inizio del 2024, ma questo impegno sarà messo a dura prova dal peggioramento delle condizioni economiche”.
Zanghieri stima che il Pil degli Stati Uniti crescerà solo dello 0,3% l’anno prossimo e si contrarrà nel secondo e nel terzo trimestre. “Date queste prospettive – precisa -, la previsione della Fed di un tasso di disoccupazione di appena il 4,4% alla fine del 2023 sembra troppo rosea: un livello superiore al 5% sembra più probabile. Pertanto, al fine di evitare un atterraggio troppo duro dell’economia, la Fed sarà costretta a tagliare i tassi prima di quanto attualmente pianificato, prevediamo così una riduzione di 50 punti base negli ultimi mesi del prossimo anno. I rischi sono orientati verso una posizione più aggressiva: senza prove convincenti di un rapido calo dell’inflazione, la Fed potrebbe essere spinta ad aumentare il tasso ufficiale sopra il 5% e mantenerlo più a lungo, il che peggiorerà le prospettive per l’economia”.
Anche Mark Dowding, cio di BlueBay, alla luce dei dati migliori del previsto, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro, è convinto che la Fed non abbia ancora finito e che non sarà eccessivamente accomodante. “Nonostante un altro report cruciale sul Cpi martedì – sostiene -, il presidente Powell probabilmente ribadirà l’aspettativa di un picco dei tassi più alto rispetto a quello previsto al momento della riunione del Fomc di settembre. Inoltre, la Fed ha sempre respinto la tesi secondo cui un periodo di restrizione monetaria sarebbe stato rapidamente seguito da un’inversione di tendenza e un relativo taglio dei tassi”.
Di conseguenza, Dowding considera il recente rally dei tassi come un’opportunità per ricostruire le posizioni short, “con la prospettiva che i rendimenti dei Treasury decennali tornino verso il 4% nei prossimi mesi”, conclude.
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