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Valutazioni più basse e innovazione in crescita riportano il tech cinese sotto i riflettori. Ma i rischi politici e geopolitici restano elevati. Gli strategist di BG Saxo: il gap si ridurrà solo con utili solidi e regole
L’intelligenza artificiale si è imposta come uno dei temi di investimento più seguiti a livello globale. Ma se a fare da traino sono stati inizialmente solo colossi USA come NVIDIA e Microsoft, oggi il mercato si trova popolato da nuova generazione di player: quelli cinesi. Nonostante le Borse del Paese asiatico abbiano incontrato molte difficoltà nel recente passato, affossate dai timori sulla stabilità economica di Pechino e sui dazi da Washington, negli ultimi mesi Alibaba si è infatti apprezzata dell’80% e così hanno fatto i titoli di altre società locali attive nel settore dei chip e dei software per AI. Ecco allora che tornano a moltiplicarsi gli interrogativi degli investitori su dove orientare la bussola per costruire un’esposizione tematica efficace evitando rischi eccessivi. Secondo analisti della società di intermediazione mobiliare BG Saxo, che ha messo a confronto l’azionario di categoria delle due superpotenze per capire in quale ci celino le maggiori opportunità, la risposta ha a che fare con le valutazioni e va inquadrata da una prospettiva dinamica: se le big tech americani viaggiano infatti su multipli medi più che doppi rispetto ai rivali, questi ultimi stanno guadagnando terreno sul fronte dello sviluppo industriale e potrebbero presto catalizzare maggiore attenzione da parte degli investitori.
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Una questione di multipli e valutazioni
L’investment strategist Oskar Barner Bernhardtsen evidenzia come le prime cinque aziende tecnologiche americane – Apple, NVIDIA, Microsoft, Broadcom e Oracle – siano oggi valutate a una media di 42 volte gli utili attesi nel 2025 contro le 19,3 volte delle loro corrispettive cinesi: Xiaomi, Netease, PDD Holdings, Tencent e Alibaba. Un gap che pare destinato a rimanere tale fino al 2028, quando Bernhardtsen stima che il rapporto dovrebbe essere pari a 23 volte per gli USA e a 12,4 volte per la Cina, e dal quale si possono trarre alcune considerazioni sulla traiettoria di mercato dei due gruppi. “Le azioni del Dragone risultano oggi molto più e di economiche quella americane”, osserva infatti l’esperto, che sottolinea come questa sottovalutazione non consideri una aspetto chiave: i giganti asiatici stanno già monetizzando AI e cloud sul mercato domestico. Da qui, il suo avvertimento sul futuro: “Non scontato che la Cina sovraperformerà sicuramente sul lungo termine perché le notizie positive su sviluppo e innovazione potrebbero continuare e ridurre la forbice”.

Perché i multipli cinesi restano bassi
E anche per chi volesse muoversi in chiave esclusivamente tattica, quindi guardando al breve termine, le insidie sono dietro l’angolo. Secondo Ruben Dalfovo, altro investment Strategist di BG SAXO, l’entità dello sconto cui il tech cinese tratta rispetto a quello americano non dipende infatti solo dal sentiment ma riflette rischi reali che vanno tenuti in considerazione: “Dall’influenza statale all’imprevedibilità delle politiche, dalla possibilità delisting a Wall Street agli effetti che le restrizioni sull’export potrebbero produrre in termini di accesso ai chip più avanzati e ai sistemi completi per i data center”. Tutti fattori, insomma, che rendono difficile eguagliare le prestazioni dell’AI americana di fascia alta nel breve termine.
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Più catalizzatori reali che multipli per colmare il gap
Secondo Dalfovo, il divario tra le valutazioni delle big tech americane e quelle cinesi non può ridursi semplicemente per effetto dei multipli di P/E più bassi di queste ultime: “La storia insegna che i mercati non si ribilanciano su basi numeriche, ma in presenza di segnali concreti”. Perché gli investitori tornino a guardare con interesse al settore tech cinese, l’esperto è convinto servano diversi fattori concomitanti: “Revisioni al rialzo degli utili per più trimestri consecutivi, indicazioni prospettiche solide da parte dei principali player, politiche industriali stabili e regole chiare sul funzionamento dell’economia delle piattaforme”. Anche il contesto geopolitico e il rischio di delisting giocano però un ruolo cruciale, perché meno tensioni e più prevedibilità potrebbero ridurre il premio per il rischio richiesto dagli investitori. Infine, sostiene l’esperto, sarà fondamentale dimostrare che l’AI non è solo una promessa ma un motore di crescita effettivo e capace di generare ricavi per utente oltre a margini sostenibili. In sintesi, il gap con gli Stati Uniti potrà restringersi solo se utili, politica e monetizzazione dell’AI miglioreranno insieme.
I segmenti in cui la Cina corre e i rischi di bolla
A livello industriale, Pechino appare più avanti agli esperti di BG Saxo in diversi segmenti: uno di questi consiste nei robotaxi e nella guida autonoma, dove Apollo Go di Baidu ha superato i 2,2 milioni di corse senza pilota nel secondo trimestre del 2025, ma anche i veicoli elettrici rappresentano un segmento promettente perché beneficiano di vantaggio di costo rispetto al panorama internazionale. La Cina è inoltre ben posizionata nell’inferenza a basso costo e nel cloud AI, dove Alibaba e Tencent competono per offrire AI ‘sufficientemente buono’ a prezzi inferiori, mentre si rafforza la sua posizione di leadership nell’uso dell’intelligenza artificiale in super-app e nell’e-commerce, con diverse società specializzate nel targettizzate la pubblicità e migliorare le raccomandazioni agli utenti. Dalfovo lancia però l’allarme sui rischi di bolla: “Nei PC AI la crescita esplosiva potrebbe tradursi in sovraccapacità già dal 2026, mentre l’insufficienza di memoria rispetto ai chip prodotti rischia di rendere parte dell’hardware obsoleto”. L’energia per i data center è un altro vincolo, come sostiene l’analista, perché la domanda di capacità computazionale sta superando la disponibilità delle reti locali e costringendo gli operatori a spostarsi verso aree con maggiore disponibilità di energia.

La spinta di DeepSeek sull’industria
Una variabile dell’equazione su cui i due strategisti di BG Saxo si sono soffermati con particolare attenzione è DeepSeek, il cui boom negli Stati Uniti diversi mesi fa ha scosso il settore e messo in discussione per la prima volta il primato americano. “Oggi appare come un fornitore credibile a basso costo e le aziende occidentali stanno testando il servizio”, spiega Dalfovo, che precisa: “Restano però preoccupazioni su sicurezza e censura, oltre a vari report che segnalano risposte rifiutate o distorte su diversi temi sensibili”. Quello che dunque pare restare di più della società cinese è l’impatto sulle tendenze industriali del settore, con l’ultimo modello che ha un costo di training dichiarato attorno ai 300mila dollari. “La riduzione strutturale dei costi nell’industria continuerà ma si articolerà su due binari”, spiega, “la concorrenza e la disponibilità di modelli open-weight che mantengono bassi i costi unitari renderanno sempre più economici i modelli base mentre quelli di frontiera più avanzati resteranno capital intensive e ad alto consumo energetico”.
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Il nodo geopolitico e lo “splinternet”
A fare da sfondo al tema di investimento resta comunque la possibilità di uno sdoppiamento della supply chain. “Un vero decoupling è improbabile ma non v’è dubbio che i dazi introdotti da Trump e la spinta alla duplicazione delle capacità aumentano i costi e accelerano la regionalizzazione delle filiere”, osserva Dalfovo, che dunque vede all’orizzonte il rischio di una minore efficienza globale a scapito delle società e quindi degli investitori. È anche per questo che, secondo l’esperto, molte delle stime sulle dimensioni del mercato sono ottimistiche e vanno ridimensionate: “Si tratta di previsioni basate sull’ipotesi di catene di fornitura stabili e ritorni concreti sugli investimenti, due fattori che non appartengono allo scenario cui il settore va incontro, e non considerano vincoli concreti come l’energia o lo stadio embrionale in cui ancora si trovano molti progetti”. “Una crescita costante e sostenuta da liquidità reale e accesso a costi energetici competitivi è l’ipotesi più plausibile”, conclude l’esperto.
Le opzioni per gli investitori
Di fronte a uno scenario di questo tipo, la via maestra individuata dal Dalfovo per gli investitori interessati a cavalcare il trend coincide con la diversificazione: “ETF broad-based per un’esposizione generale, ETF tematici per intercettare trend come AI e automazione oppure selezione diretta dei leader di settore per chi sa gestire volatilità e rischi”. “In ogni caso”, chiarisce l’esperto, “serve un piano d’investimento coerente con orizzonte temporale e tolleranza al rischio”.
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