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Il taglio dei tassi si allontana e gli investitori tornano a giocare in difesa. Secondo gli State Street Institutional Investor Indicators, risale l’avversione al rischio e aumenta la liquidità
Le ultime riunioni delle banche centrali hanno raggiunto l’obiettivo: raffreddare l’entusiasmo dei mercati. L’allontanarsi di una svolta della politica monetaria di Fed e Bce ha infatti peggiorato il sentiment degli investitori istituzionali che, preoccupati anche dallo stato di salute dell’economia dell’Eurozona, sono tornati ad adottare un posizionamento difensivo. È quanto certificano gli State Street Institutional Investor Indicators di gennaio, che mostrano un calo delle allocazioni azionarie.
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Lo State Street Risk Appetite Index è appunto sceso il mese scorso a -0,09 (dal precedente 0,18), evidenziando un leggero bias di avversione al rischio. Infatti, gli investitori hanno abbandonato le speranze di una riduzione dei tassi imminente e stanno iniziando a ricalibrare le attese. La domanda di asset rischiosi si è quindi ridotta nell’equity, nel reddito fisso e anche nei cambi.
Gli istituzionali tornano a giocare in difesa
Nell’azionario, gli istituzionali hanno mostrato una preferenza più forte per i settori difensivi rispetto a quelli ciclici, nonché un orientamento verso i titoli di qualità. Nell’obbligazionario, il comportamento prudente si è concretizzato nella domanda di mercati sviluppati e di obbligazioni sovrane core. “Tuttavia, abbiamo notato una domanda di bond societari ad alto rendimento, il che indica che gli investitori non sono ancora troppo preoccupati per il credito”, precisa Michael Metcalfe, head of Macro Strategy di State Street Global Markets.
Quanto alle valute, il segnale incontrovertibile del ritorno alla cautela è stato l’incremento degli acquisti sul dollaro americano a discapito delle monete dei mercati emergenti. “L’insieme di questi comportamenti evidenzia il dilemma che i mercati hanno affrontato per gran parte del 2023, ovvero che notizie economiche più solide possono talvolta non essere positive per la propensione al rischio”, fa notare Metcalfe.
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Risale la liquidità a discapito dell’obbligazionario
Più nel dettaglio, gli indicatori delle partecipazioni di State Street mostrano che le allocazioni azionarie da parte degli investitori di lungo termine sono diminuite dello 0,2%, attestandosi al 51,6%. Quelle in liquidità sono invece cresciute dello 0,6%, spezzando il ritmo della flessione registrata negli ultimi due mesi del 2023 e raggiungendo il 20,5%. Una quota sopra la media di lungo periodo di quasi 2 punti percentuali. Giù anche le partecipazioni nel reddito fisso, calate dello 0,4%, che sono approdate al 27,9%. Per Metcalfe, il fatto che il passaggio alla liquidità sia avvenuto in gran parte a scapito delle obbligazioni, dove gli investitori sono già sottopesati, mostra come il ritorno ad un atteggiamento difensivo sia legato più alla rivalutazione delle aspettative di un taglio dei tassi che alle preoccupazioni per la crescita.
Più Usa e più dollari in portafoglio
“La notizia che l’economia tedesca è entrata definitivamente in recessione e i commenti più cauti della Bce e della Fed sulla tempistica dei tagli dei tassi hanno spinto gli investitori istituzionali a ritornare verso la liquidità”, spiega l’esperto. Essi sembrano restare concentrati sulla crescita e inoltre i flussi mostrano una solida domanda di settori difensivi rispetto a quelli ciclici a livello globale. Tuttavia, i flussi transfrontalieri indicano una preferenza per gli Usa rispetto all’Eurozona, dove i fondamentali dell’economia sono molto più deboli.
La minore propensione al rischio ha modificato anche il sentiment degli investitori sul biglietto verde: a gennaio si è infatti interrotta la forte riduzione del sovrappeso registrata a novembre e dicembre. “Gli istituzionali stanno tornando ad acquistare il dollaro, anche se il ciclo di notizie sulle elezioni presidenziali statunitensi si sta intensificando. E rimangono significativamente sottopesati rispetto all’euro”, conclude Metcalfe.
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