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Dalla rischiosità alla forza del dollaro, secondo Jupiter AM sull’obbligazionario EM ci sono troppi pregiudizi. Smentiti dai numeri. Ecco come investire
Lo scorso anno, nonostante il contesto difficile, il debito dei mercati emergenti ha generato significativi rendimenti positivi. Un’ulteriore conferma di quanto credono sempre più investitori: che si tratti, cioè, di titoli con rendimenti corretti per il rischio migliori di quanto non si possa trovare sui mercati sviluppati. Tuttavia, nonostante negli ultimi 20 anni sia diventata parte integrante dei portafogli di istituzionali e gestori discrezionali, c’è chi continua a evitare o sottopesare l’asset class a causa di alcuni pregiudizi duri a morire. Dalla rischiosità alla forza del dollaro, Alejandro Arevalo e Reza Karim di Jupiter AM, hanno individuato sei falsi miti. Tutti smentiti dai numeri.
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Primo mito: un’asset class di nicchia
Soprattutto quando si tratta di obbligazioni societarie, la convinzione comune è che si tratti di un’asset class di nicchia. Niente di più sbagliato, secondo i due esperti: in realtà, specificano, è un universo di investimento da 4mila miliardi di dollari tra debito sovrano o quasi sovrano e societario. “Per intenderci, pesa circa il doppio dei mercati high yield in dollari ed euro messi insieme. E oltre 2.5000 miliardi sono stati emessi da aziende, cosa che rende il segmento corporate in valuta forte più grande della sua controparte sovrana”.
Secondo mito: più rischioso del credito sviluppato
Altro pregiudizio duro a morire è che il debito dei mercati emergenti sia più rischioso di quello dei mercati sviluppati. Per Arevalo e Karim, questa percezione non è interamente supportata dai dati e serve una certa differenziazione in termini di composizione dell’indice. “Il profilo di volatilità dell’area è piuttosto diversificato e negli ultimi dieci anni le obbligazioni societarie EM sono state molto meno volatili rispetto ai corrispondenti titoli sovrani”, affermano, precisando che non si tratta di un caso ma di una circostanza dettata da differenze compositive. Se infatti si confronta il debito emergente con gli altri, risulta evidente come i corporate bond EM investment grade siano tra i meno volatili mentre quelli high yield siano stati solo leggermente più variabili del debito Usa.
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Terzo mito: la composizione simile dei titoli sovrani in valuta forte e dei corporate bond
In molti sono poi convinti che i titoli sovrani in valuta forte e le obbligazioni societarie emerging abbiano composizioni simili. Colpa del fatto che talvolta gli investitori vedono questi Paesi come un universo omogeneo o qualcosa di definito in modo molto specifico. Tuttavia, Arevalo e Karim ricordano come non esista una definizione universale di mercati emergenti: “La risposta potrebbe essere molto diversa a seconda dell’asset class e del fornitore dell’indice”, fanno notare. Un’esempio è J.P. Morgan, principale riferimento per per il debito sovrano EM in valuta forte e per quello societario con EMBI GD e CEMBI BD. “Sebbene siano state create dallo stesso soggetto, le metriche hanno regole diverse nel determinare quali Paesi includere”, osservano i due esperti: per il primo indice vengono infatti considerati quelli al di sotto di una certa soglia di reddito nazionale lordo mentre il secondo usa semplici criteri regionali.
Quarto mito: corporate bond più rischiosi
Altro luogo comune è che i corporate bond sono più rischiosi dei titoli sovrani. Arevalo e Karim evidenziano invece come i dati sulla volatilità mostrino esattamente il contrario. “Negli ultimi dieci anni, le obbligazioni societarie hanno registrato un tasso di default medio del 2% rispetto al 3,1% di quelle sovrane”, analizzano. Concludendo che, ancora una volta, la minore volatilità è principalmente il risultato della diversa composizione e struttura dell’indice. Non solo. A incidere sono anche la duration e la duration dello spread della categoria, che sono inferiori poiché questi titoli in media tendono a essere emessi con scadenze più brevi.
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Quinto mito: la forza del dollaro
Comunemente si pensa anche che la forza del dollaro Usa sia sempre negativa per il debito emergente. Ma Arevalo e Karim ricordano che questo assunto non sempre vale per le obbligazioni in valuta locale. “Negli ultimi vent’anni, abbiamo assistito a rendimenti a breve termine sia positivi che negativi per questa asset class durante i periodi di apprezzamento del biglietto verde mentre l’impatto delle sue oscillazione sul lungo periodo è stato modesto”. E sempre negli ultimi decenni, l’indice della moneta americana si è apprezzato di circa il 20% senza che la categoria smettesse di offrire forti ritorni cumulati.
Sesto mito: un’asset class tattica
Molti investitori considerano infine il debito emergente come una componente tattica del loro portafoglio, da includere solo quando le condizioni di mercato sono favorevoli e i venti a favore di questi mercati evidenti. Secondo i due esperti però, i forti rendimenti cumulati nel lungo periodo suggeriscono come tale approccio non sia corretto. “L’asset class ha generato rendimenti totali cumulati del 119% in vent’anni”, sottolineano.
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Come investire
Viste le dimensioni dell’asset class e la gamma ampia di opportunità, secondo i due esperti, gli investitori dovrebbero valutare un’allocazione strutturale. “L’approccio ideale potrebbe essere considerare allocazioni distinte e separate per il debito societario e sovrano nell’ambito di un’esposizione più ampia”, spiegano. Per chi invece preferisce un’unica esposizione agli EM, i corporate bond sono una valida alternativa al debito sovrano. “In termini di esposizione alla duration breve, nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una discreta crescita delle strategie dedicate al tale segmento”, sostengono Arevalo e Karim. Concludendo che queste possono presentare profili di rischio diversi e “non sempre costituiscono un’allocazione più conservativa rispetto ai bond societari, ma possono essere un buon diversificatore rispetto a alle obbligazioni sovrane”.
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