Assicurazioni, la Gen AI rivoluzionerà la distribuzione di 6 compagnie su 10
Secondo EY, il settore investirà in questa tecnologia 90 milioni nel 2025 e 140 nel 2026. Trasformando il rapporto con il cliente e i processi interni
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Il mondo dei digital asset e delle criptovalute vive una fase di forte evoluzione, che si sta già riflettendo su banche e intermediari italiani. Lo testimonia l’ultima ricerca di Boerse Stuttgart Digital e Osservatorio Blockchain & Web3 del Politecnico di Milano, nella quale si evidenzia come l’11% della popolazione italiana possieda crypto-asset. Una sfida che gli attori dell’industria devono saper cogliere per tenere il passo di un cambiamento guidato in primis dalle scelte dei consumatori. Ma anche dalla normativa.
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Se un italiano su dieci possiede attualmente criptovalute come Bitcoin ed Ether o token come gli NFT, si attesta all’11% la quota di chi dichiara di averne detenuti in passato. Questo significa, viene sottolineato nello studio, che il 21% dei nostri connazionali si sono avvicinati a tali strumenti: circa 7 milioni di persone. E non è tutto, perché un ulteriore 21% afferma di volerne acquistare in futuro. Tra chi dimostra maggiore interesse (78%) verso gli investimenti in criptovalute spiccano poi non solo i giovani, come la loro propensione all’innovazione indurrebbe a pensare, ma anche coloro che hanno redditi più elevati: dai 60mila euro in su. Quanto ai canali, il preferito resta l’exchange online (32%).
Fonte: Boerse Stuttgart Digital e Politecnico di Milano
Di recente, stando a quanto riportato dal report, anche soggetti finanziari tradizionali si sono lanciati nell’offerta di servizi associati a criptovalute e token ma hanno riscontrato un interesse minore da parte degli utenti già attivi. Una prospettiva che si inverte se si passa alle preferenze dei potenziali acquirenti di crypto asset, i quali prediligono app bancarie (25%) o servizi di trading (19%), e suggerisce così l’esistenza un potenziale mercato anche per le istituzioni finanziarie tradizionali. Luciano Serra, country Manager Italia di Boerse Stuttgart Digital, crede che sarà soprattutto la normativa a dare un’accelerazione. “La MiCar faciliterà l’ingresso dei player convenzionali già in linea con gli standard di sicurezza richiesti dalle recenti normative europee”, spiega, “dando loro la possibilità di intercettare la domanda latente grazie alle relazioni già instaurate con la propria clientela”.
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L’opportunità di business è sostenuta anche dai dati riguardanti le modalità di custodia dei crypto-asset: oggi l’uso di wallet non custodial è infatti ancora limitato, in quanto la maggior parte degli investitori detiene i propri strumenti all’interno degli exchange o dei servizi finanziari utilizzati per l’acquisto, esponendosi a rischi legati alla sicurezza dei fondi. Inoltre, alcuni di questi operano al di fuori delle regolamentazioni europee, molto più stringenti e sicure rispetto alla maggior parte delle altre aree. Nonostante vi sia una maggiore consapevolezza sulle criticità legate a soggetti terzi, i numeri evidenziano dunque l’urgente necessità di soluzioni affidabili e pienamente normate: altro ambito nel quale le istituzioni finanziarie tradizionali, grazie alla loro esperienza e forti di un allineamento alla legislazione vigente, potrebbero intervenire nel breve periodo. A maggior ragione considerando che una parte degli intervistati si dice pronta a valutare un ingresso nel mercato se fosse disponibile un servizio offerto dalla propria banca di fiducia, che agisca anche come custode per conto degli investitori.
Un tema da affrontare riguarda il livello di conoscenza dei crypto-asset nel nostro Paese. A fronte di un bacino d’utenza sempre più alto e destinato a diventare ancora più vasto, solo il 13% degli intervistati è stato in grado di rispondere correttamente alla maggior parte delle domande per valutare la reale competenza su questi temi. Una statistica che ha spinto Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio Blockchain & Web3 del Politecnico di Milano, a sottolineare l’importanza dell’educazione finanziaria: “Questi strumenti sono molto diversi dai prodotti tradizionali e accompagnano a rischi maggiori, dei quali i consumatori potenziali vanno messi a conoscenza”.
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Passando alle motivazioni che spingono gli istituti di credito italiani ad adottare queste tecnologie, l’interesse è principalmente guidato dalle opportunità offerte dalla blockchain e dai progetti di tokenizzazione: due applicazioni orientate a migliorare l’efficienza e aumentare l’accesso alla liquidità nei mercati finanziari. Il maggiore ostacolo alla realizzazione di progetti, che sono stati avviati in 63 delle 100 maggiori banche mondiali, viene invece individuato nella mancanza di una normativa chiara. Segue la limitata domanda da parte dei consumatori finali, sulla quale promette però di incidere positivamente la recente approvazione degli ETF spot su Bitcoin da parte della SEC. La mancanza di familiarità con il tema rappresenta infine una sfida anche per la maggior parte degli istituti italiani, che segnalano un livello di conoscenza medio-basso tra i propri dipendenti. Ecco perché le aziende stanno cercando attivamente partner esterni, a partire da realtà tech e startup in grado di fornire competenze tecniche e consulenza su questi settori emergenti.
Risposte alla domanda “Quali motivazioni hanno guidato la scelta di studiare blockchain e criptoasset o di avviare progetti in questo ambito”. Fonte: Boerse Stuttgart Digital e Politecnico di Milano
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