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Obiettivo semplificazione, urgente nella fase d'emergenza
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Zitti tutti, parla Draghi. E come di consueto, lo fa senza mezzi termini. “Ci troviamo di fronte a una guerra contro il coronavirus e dobbiamo muoverci di conseguenza. Il costo dell’esitazione potrebbe essere irreversibile”. L’ex presidente della Bce in una lunga analisi pubblicata sul Financial Times racconta come va declinato il nuovo ‘Whatever it takes’.
Draghi dice che è ora il momento di decisi interventi pubblici finalizzati ad aumentare la liquidità, anche a costo di far aumentare il debito pubblico. “I livelli di debito pubblico devono salire. L’alternativa sarebbero danni ancora peggiori all’economia, rappresentati dalla distruzione permanente delle attività produttive e quindi della base di bilancio”, scrive. I tempi dell’austerità e del vincolo di bilancio non sono mai apparsi tanto lontani.
“È già chiaro che la risposta» alla guerra contro il coronavirus «deve coinvolgere un significativo aumento del debito pubblico”, insiste Draghi. Che preconizza: “La perdita di reddito del settore privato dovrà essere eventualmente assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci dei governi. Livelli di debito pubblico più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati da una cancellazione del debito privato”.
L’ombrello del QE pandemico della Bce continua intanto a proteggere i titoli di Stato italiani, con il differenziale di rendimento tra Btp-Bund in calo da 190 a 175 punti base (e, di riflesso, il tasso sul titolo decennale del Tesoro in discesa all’1,53%) dopo le indiscrezioni di Bloomberg secondo cui la presidente Lagarde sarebbe disponibile a estrarre un altro coniglio dal cilindro: l’attivazione del piano anti-spread Omt (Outright monetary transaction) per l’acquisto di titoli di Stato dell’eurozona. Lo strumento fu messo a punto nel 2012 dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi, durante la crisi dei debiti sovrani ma finora non è stato mai utilizzato.
Per attivarlo, serve che i Paesi facciano richiesta al Meccanismo europeo di stabilità (Mes), uno strumento finora molto chiacchierato: per alcuni è un fondo salva-Stati, mentre per altri, come vedremo, è vero piuttosto il contrario.
Ma lo strumento sulla bocca di tutti è un altro, e si chiama coronabond. Lagarde, nella videoconferenza dell’eurogruppo di ieri, ha spinto i ministri a prenderlo in considerazione – anche sotto forma di un’emissione una tantum –per aiutare l’economia della zona euro.
Secondo quanto si apprende da fonti Ue, per Lagarde l’utilizzo delle Enhanced Conditions Credit Line (ECCL) del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) – detto anche fondo salva-Stati – è solo un passo iniziale, mentre bisognerebbe esplorare ulteriormente i coronabond per far fronte all’emergenza.
Lagarde si unisce dunque al coro di quanti ritengono che la soluzione appropriata sia quella di emettere debito congiunto fra gli Stati. Il rischio, altrimenti, è che lo shock economico del coronavirus possa innescare una nuova crisi del debito, con i mercati pronti a colpire gli anelli deboli dell’eurozona.
Per scongiurare questo scenario, nove leader europei – tra i quali il premier Giuseppe Conte e il presidente francese Emmanuel Macron – hanno firmato una lettera congiunta per chiedere, in vista del vertice europeo di domani, la creazione dei coronabond per fronteggiare la crisi economica dovuta alla pandemia. La lettera è firmata da Spagna, Francia, Portogallo, Slovenia, Grecia, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Italia. Lo conferma Palazzo Chigi.
Non è un caso che l’intervento dell’ex presidente della Bce arrivi alla vigilia della riunione dei capi di governo di un’Europa che appare ancora spaccata in due. Resta sempre da superare la ritrosia dei falchi tedeschi e olandesi. Berlino ritiene che si stia mettendo in piedi “già una considerevole serie di misure per contrastare gli effetti economici del coronavirus” a livello europeo. È quello che oggi ha risposto in conferenza stampa Steffen Seibert, portavoce di Angela Merkel.
Sugli eurobond l’idea del governo tedesco e della cancelliera non è cambiata: anche in tempi di crisi è ancora necessario che controllo e garanzia restino nella stessa mano” ha aggiunto Seibert. “Anche l’enorme pacchetto in via di approvazione al Bundestag darà degli effetti anche per gli altri Stati europei. Adesso però è molto importante verificare insieme, e questo sta succedendo, quanto i mezzi a disposizione si possano usare, se necessario per agire”, ha aggiunto richiamando il Mes, come strumento istituito nell’ultima crisi.
Il Mes, lo ricordiamo, è lo strumento primario dei salvataggi europei, creato nel 2012 per frenare la crisi finanziaria ed erede del vecchio fondo Efsf usato per Grecia, Spagna, il Portogallo, Irlanda e Cipro. Ma il Mes – che si finanzia emettendo bond e ha un capitale garantito dagli Stati – è anche al centro di divisioni tra i Paesi.
Il fondo ha a disposizione circa 500 miliardi di euro e una serie di strumenti: prestiti, a fronte di un programma di riforme concordato; acquisti di titoli di Stato; linee di credito precauzionali; prestiti per la ricapitalizzazione indiretta delle banche e ricapitalizzazioni dirette. Aiuti, quelli previsti finora, rivolti a un singolo Paese, con la sottoscrizione di un accordo in cui Paesi come l’Italia vedono il rischio di finire commissariati.
Le istituzioni sono dunque messe a dura prova, ma questo è anche un momento di opportunità. La Ue deve mettere in campo contro il coronavirus “politiche coordinate e coerenti” o rischia di essere anch’essa una vittima. È quanto si legge in uno studio Banca d’Italia i cui autori sono parte del gruppo di monitoraggio emergenza Covid-19.
La crisi “rappresenterà anche una prova della nostra capacità di essere solidali. Se i Paesi membri riuscissero a unire i loro sforzi per evitare questo male comune, la loro cooperazione potrebbe trovare un nuovo slancio per arrivare a dotare l’Ue di un fondamentale bene comune: una governance più completa ed efficace”, osservano gli economisti di Palazzo Koch.
Allo stato attuale delle cose, il mercato dei bond sovrani europei è molto frammentato: ogni stato emette i suoi titoli in base alla strategia di finanziamento pubblicata annualmente. Sarebbe invece ipotizzabile aggregare il fabbisogno di finanziamento dei singoli paesi sotto un’unica bandiera? “Certo che sì” risponde Alessandro Tentori, chief investment officer di AXA IM Italia, “anzi sarebbe pure utile per aumentare la liquidità del mercato secondario, che invece di essere frammentata in decine di titoli sarebbe concentrata su una singola curva benchmark”. Un motivo comunque c’è, e non è secondario: “La frammentazione del mercato e delle economie dell’Unione è evidente dal costo di rifinanziamento dei singoli emittenti: per esempio la Germania paga -0,4% per un finanziamento a 10 anni, mentre l’Italia paga +1,65% sulla stessa scadenza”, spiega Tentori.
Perché è così difficile trovare un accordo sugli eurobond? Secondo l’esperto, il principale nodo da sciogliere è legato all’assenza di una unione a livello fiscale, ambito in cui “ogni ingerenza da parte di altri paesi piuttosto che di Bruxelles viene vista come un affronto, quasi si trattasse di un atto bellico”.
Non solo: altri rebus di non facile soluzione sono l’utilizzo regionale delle risorse che verrebbero create attraverso un eurobond. “Alcuni paesi potrebbero necessitare di un volume di investimenti sproporzionato, il che farebbe ricadere il costo netto del finanziamento su altri paesi”. Non solo: resta sul tavolo la questione del risk-sharing, ossia la distribuzione dei costi nel caso di dover assistere a un default sovrano o a una ristrutturazione controllata del debito. “Anche qui è ragionevole chiedersi perché un paese membro dovrebbe mettere mano nelle tasche dei suoi contribuenti per salvare le finanze di un altro paese”.
È quindi necessario un complesso iter politico per arrivare a questa soluzione, motivo per cui da parte di Goldman Sachs si registra scetticismo sul fatto che i governi europei possano trovare un accordo sui coronabond. Gli economisti fanno notare che alcuni Paesi del nord Europa vedrebbero questo “come un primo passo verso la mutualizzazione del debito”.
Comunque sia, la banca d’affari americana apprezza che ci sia “un certo slancio verso una riforma aggiuntiva del Mes per fornire linee di credito con condizioni meno stringenti nel contesto attuale, anche se tale progresso richiederà probabilmente tempo”. Inoltre il nuovo QE di emergenza della Banca centrale europea “dovrebbe contribuire a contenere i rischi sovrani nell’Europa meridionale”. Goldman Sachs prevede che i deficit pubblici supereranno il 5% in Italia e Spagna e il 4% in Francia.
In Italia si registra la frustrazione del mondo politico per il ritardo sui coronabond, visti da ogni parte come la soluzione di breve termine più efficace. Secondo molti osservatori, non riuscire a cooperare in questa crisi rischia di danneggiare per sempre il progetto europeo, dal momento che le attuali linee di credito del Mes non sono la strada da percorrere perché gonfierebbero ulteriormente i debiti nazionali.
Proprio il Mes potrebbe trasformarsi nel veicolo finanziario con cui emettere coronabond. Fra le risorse a cui guarda il governo per finanziare le risorse contro lo shock economico del coronavirus c’è l’ipotesi “di usare l’emissione di eurobond da parte del Mes, senza alcuna condizionalità”, ha affermato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, in audizione sul decreto Cura Italia.
Del resto, ha spiegato il commissario Ue agli affari economici Paolo Gentiloni, “alla crisi non si può far fronte con strumenti usati in passato, perché origini e natura di essa non vanno confuse con quelle di 10-12 anni fa”. Secondo Gentiloni i coronabond “devono essere lanciati da strutture finanziarie perché sono titoli finanziari europei. La struttura più adatta per lanciarli è il Mes”. Ma a livello di dibattito, sottolinea Gentiloni, “non ci siamo ancora, è inutile dire cose che non sono ancora nelle decisioni prese, la discussione deve andare avanti. Temo che con l’evoluzione della pandemia aumenterà anche la consapevolezza di tutti che bisogna reagire anche con strumenti finanziari”.
Più dure le opposizioni. Secondo il capo politico del Movimento 5 Stelle Vito Crimi il Mes “è una delle zavorre di cui ci dobbiamo definitivamente liberare per costruire l’Europa del XXI secolo. L’Europa dei vincoli e dell’austerità resiste, non ha ancora mollato gli ormeggi. Se non si deciderà a farlo una volta per tutte, questa sarà la sua condanna”.
Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, rincara la dose: “La Germania vuole imporci il Mes. La Merkel ha appena fatto sapere che non è disposta a concedere l’accesso al Fondo ‘ammazza-Stati’ senza condizionalità, svelando il vero piano della Germania: approfittare dell’emergenza coronavirus per commissariare l’Italia, imporre il rigore tedesco alla nostra economia ed espropriare le sue aziende e i suoi asset strategici. L’emergenza Covid-19 sta mostrando a tutto il mondo il vero volto della UE a trazione tedesca. Il Governo italiano alzi la testa”.