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Beer (iM Global Partner) lancia un fondo che offre i rendimenti pre-commissioni di un paniere di 20 hedge attivi su questa asset class. Diversificazione e flessibilità i vantaggi, ma attenzione alla volatilità
Con l’inflazione che non ha ancora imboccato un deciso sentiero di discesa e i tentennamenti delle banche centrali sul fronte dei tassi, sono sempre di più gli investitori che navigano il mercato in cerca di soluzioni alternative alle tradizionali azioni e obbligazioni. Per Andrew Beer, managing member di Dynamic Beta Investments (iM Global Partner), la soluzione ideale è rappresentata dai managed futures. Ecco perché lui e il suo team hanno appena lanciato in Europa iMGP DBi Managed Futures, fondo che offre i rendimenti pre-commissioni di un paniere di 20 hedge fund attivi proprio su questa asset class. Già presente negli Usa, la strategia promette facile esposizione a una categoria di attivi spesso trascurata perché considerata ostica. Diversificazione e flessibilità i vantaggi i suoi, ma attenzione alla volatilità.

Andrew Beer, managing member di Dynamic Beta Investments (iM Global Partner)
Com’è strutturato il fondo e come si posiziona?
L’iMGP DBi Managed Futures è una Sicav conforme agli standard Ucits ospitata sulla piattaforma di fondi iMGP, che ha lanciato il fondo all’inizio di quest’anno ed è partner strategico di Dynamic Beta investments. Il fondo mira a replicare, in una struttura Ucits, i rendimenti pre-commissioni di un paniere di 20 fondi hedge leader sui managed futures.
Si tratta in pratica di seguire i trend su centinaia di asset class per cui esistono contratti futures. Ma quali sono, nello specifico, questi trend?
Il trend più importante dall’inizio del 2021 è stato il ritorno dell’inflazione. Questo ‘cambio di regime’ si è riverberato su diversi mercati: i rendimenti sono saliti bruscamente, e anche le materie prime hanno subito un’impennata. Il dollaro a sua volta è salito a causa della rapidità delle mosse della Federal Reserve rispetto agli altri banchieri centrali. I fondi che operano sui managed futures hanno individuato per tempo queste ‘ondate di mercato’ e le hanno cavalcate, ottenendo nel 2022 guadagni di circa il 20%.
Quali i vantaggi offerti da una soluzione di questo tipo, specie in un quadro come quello attuale? E i rischi?
I managed futures presentano tre importanti vantaggi di diversificazione sul lungo termine: una correlazione quasi nulla con le azioni e le obbligazioni, la tendenza a ottenere i migliori risultati durante le crisi e rendimenti consistenti nell’arco di un ciclo di mercato. Riteniamo quindi che la strategia abbia un valore di diversificazione per i portafogli di azioni e obbligazioni migliore di quello offerto da private equity, credito privato, infrastrutture, immobiliare, materie prime o altre strategie.
La principale sfida è che la strategia risulta complicata da spiegare ai clienti e può essere volatile. Ad esempio, nel 2022 ha registrato il suo anno migliore mentre a marzo 2023 uno dei suoi mesi peggiori. Data l’incertezza a livello macro e i venti contrari del mercato, è però proprio questo il momento in cui gli investitori dovrebbero adottare la strategia.
Quali performance ha realizzato la versione americana nel 2022 e da gennaio 2023 a oggi? Cosa vi aspettate, di conseguenza, dal corrispettivo Ucits?
Lo scorso anno l’Etf statunitense ha guadagnato tra il 23% e il 24%. Quest’anno, sia la versione Usa che quella Ucits hanno avuto difficoltà – con un calo attorno al 10% – perché non erano posizionate per far fronte all’improvvisa crisi delle banche. È impossibile prevedere l’andamento della strategia in un periodo specifico, ma abbiamo una regola empirica: ci aspettiamo che la strategia ottenga ottimi risultati durante le crisi (circa il 20% del tempo), avendo in passato reso il 50-70% in più rispetto alle azioni in questi periodi. Per il resto, dovrebbe fornire rendimenti pari alla liquidità più qualche punto percentuale, anche se con momentanei ribassi come nella fase attuale. La strategia migliore, a livello di allocazione, consiste nel decidere una quota ragionevole, magari il 5% o il 10% del portafoglio, e mantenerla per un ciclo di mercato.
Perché la scelta di lanciarlo proprio in una fase di mercato complessa come quella attuale? Perché avete deciso solo per l’Europa mentre negli Usa il debutto risale a tre anni fa?
Quando iM Global Partner ha investito con noi nel 2018, abbiamo innanzitutto voluto dimostrare che potevamo costruire un Etf statunitense in grado di sovraperformare i costosi hedge fund leader nella stessa categoria. L’idea era piuttosto radicale e rivoluzionaria: la maggior parte delle strategie hedge fund, quando vengono offerte agli investitori normali, sono diluite a tal punto da deludere a livello di performance. Di fatto, nessun Etf Usa può dire di esserci riuscito. Alla fine dell’anno scorso abbiamo dimostrato che era possibile. L’Europa presenta un problema analogo: la maggior parte degli operatori desidera fondi hedge accessibili facilmente attraverso strutture Ucits, ma i risultati strumenti costruiti con questi criteri sono pessimi, forse il 2% all’anno nell’ultimo decennio. Questo perché i fondi Ucits hanno diversi vincoli che possono ostacolare la capacità dei gestori di guadagnare attraverso strategie più complicate. Il nostro approccio – identificare le posizioni più importanti dei principali hedge fund e replicarle in modo efficiente – in genere non soffre dello stesso problema. Pertanto, riteniamo di poter offrire la stessa proposta di valore anche nel Vecchio Continente: una performance pari o superiore a quella dei fondi hedge – che hanno costi alti, sono illiquidi e prevedono un investimento minimo elevato – ma in un fondo Ucits con commissioni ragionevoli, liquidità giornaliera e minimi bassi.
Pochi gestori patrimoniali e investitori istituzionali europei hanno allocazioni significative a questa asset class: come se lo spiega e in che modo invertire questa tendenza?
I managed futures sono un paradosso: hanno un valore di diversificazione superiore a quello di quasi tutti gli altri “diversificatori”, ma pochi li utilizzano. E il problema è di comunicazione. Per molti si tratta di una scatola nera ‘quantitativa, a leva, basata su derivati long/short’: suona estremamente rischioso, qualcosa che potrebbe saltare in aria da un giorno all’altro. Inoltre, gli investitori tendono a cercare di azzeccare il timing: comprarlo appena prima della crisi e uscirne quasi al top, cosa che nessuno al mondo ha capito come fare. I gestori non sono d’aiuto quando si lanciano in discussioni tecniche sul perché i loro modelli siano migliori: ha senso se si parla a un piccolo gruppo di clienti fidelizzati, ma è alienante per gli investitori meno tecnici.
Oltre a offrire quello che riteniamo essere il modo più semplice per entrare in questo spazio, stiamo lavorando con allocatori e gestori patrimoniali per risolvere il problema di comunicazione. Ad esempio, riteniamo che dovrebbero sempre descrivere il prodotto come un’allocazione strategica core accanto ad azioni, obbligazioni, immobiliare e altre asset class da mantenere per più cicli di mercato, forse per decenni. Inoltre, stiamo cercando di costruire un linguaggio meno tecnico per gli allocatori, come i wealth manager, per spiegare gli alti e bassi della strategia. Se riusciremo a risolvere questo tipo di problemi, l’adozione nel prossimo decennio crescerà.
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