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A maggio l’indice dei prezzi dell’area è sceso al 6,5%, il livello più basso da dicembre 2021. Per gli investitori il carovita non è più il problema principale, ma le banche centrali non si fermeranno
Deciso calo dell’inflazione a maggio nell’area Ocse. La flessione dei prezzi energetici, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha portato l’indice complessivo dei prezzi al consumo dei 38 Paesi industrializzati al 6,5%, dal 7,4% di aprile, il livello più basso da dicembre 2021.
Il carovita è diminuito in tutti gli Stati Ocse, ad eccezione di Paesi Bassi, Norvegia e Regno Unito. Il tasso minimo è appannaggio di Costa Rica (0,9%), Grecia (2,8%) e Danimarca (2,9%), mentre la maglia nera va ad Ungheria (21,5%) e Turchia (39,6%). In Italia l’inflazione è calata al 7,6% dall’8,2%. Quanto al dato core, gli economisti parigini segnalano che, “in proseguimento della tendenza dei mesi precedenti”, l’indice al netto dei beni energetici ed alimentari è calato a un ritmo più lento rispetto a quello primario, scendendo al 6,9% a maggio dal 7,1% precedente. L’inflazione su base annua nel G7 si è ridotta al 4,6%, dal 5,4% di aprile, raggiungendo il livello più basso da settembre 2021. In Germania l’indice è sceso al 6,1% dal 7,2%, in Francia al 5,1% dal 5,9% e negli Usa al 4% dal 4,9%. Nell’Area euro i tasso su base annua è diminuito al 6,1% dal 7%. E dalla stima flash di Eurostat per giugno emerge un ulteriore calo al 5,5%.
La view dei gestori
L’ulteriore conferma che la corsa dei prezzi sta sensibilmente rallentando, secondo i gestori non fermerà però le banche centrali. Come fa notare Gilles Moec, Axa Group chief economist and head of Axa Im Research, ad eccezione di quello della Bank of Japan, la scorsa settimana a Sintra tutti i governatori hanno espresso toni da falco, mettendo in guardia il mercato dal prezzare tagli dei tassi troppo rapidamente dopo il picco della stretta monetaria. “Mantenere condizioni restrittive per un lungo periodo di tempo causerà danni significativi all’economia, ma è ormai evidente che non ci sarà un atterraggio indolore”, avverte l’esperto.
Secondo Gilles, la contrazione della domanda aggregata, che le banche centrali probabilmente ritengono necessaria, potrebbe essere ottenuta abbastanza rapidamente. “La survey della Commissione europea pubblicata la scorsa settimana ha confermato il messaggio delle Pmi: i servizi stanno ora seguendo il settore manifatturiero nella fase di contrazione. In Germania (che riteniamo sia la chiave di lettura della futura traiettoria della Bce) le intenzioni di assunzione sono in calo, preannunciando una correzione del mercato del lavoro necessaria a frenare le future trattative salariali e convincere le imprese ad assorbire nei loro margini l’aumento del costo del lavoro già previsto”. Tuttavia, l’esperto sottolinea che non c’è ancora alcun segnale evidente e il dato sull’inflazione core di giugno, migliore del previsto, difficilmente fermerà Lagarde a luglio. Mentre per evitare un rialzo a settembre c’è bisogno di un chiaro ammorbidimento del flusso di dati e di ulteriori segnali che l’inflazione di fondo stia iniziando a flettere. Stesso discorso per la Fed che, nonostante il Pce core rassicurante di maggio, è prevedibile si focalizzi sui segnali che indicano che l’eccesso di domanda non è ancora stato colmato. “Proprio come la Bce, la Federal Reserve si sta concentrando sul mercato del lavoro”, sottolinea.
Nonostante le banche centrali continuino a combattere l’inflazione, Ariel Bezalel e Harry Richards, investment manager fixed income di Jupiter Am, sostengono che la corsa dei prezzi sia una preoccupazione dell’anno scorso e che la crescita debole diventerà presto la principale ossessione di Fed e Bce. “Uno dei motivi principali alla base della nostra view di una crescita più contenuta e di un’inflazione più bassa è la straordinaria quantità di inasprimenti che le economie globali hanno registrato negli ultimi 15 mesi. La politica monetaria agisce con ‘lunghi e variabili ritardi’. La maggior parte degli aumenti statunitensi è avvenuta solo nella seconda metà del 2022, quindi non ha ancora colpito l’economia”, sottolineano. La loro previsione è di un ciclo di allentamento, guidato forse dalle banche centrali dei mercati emergenti, con la riduzione dei tassi da parte della Federal Reserve verso la fine dell’anno.
“Con l’imminente fine degli aumenti dei tassi da parte delle banche centrali, continuiamo ad aumentare l’esposizione della nostra strategia ai titoli di Stato, ma date le nostre prospettive economiche siamo diventati più cauti sul credito”, spiegano quindi Bezalel e Richards, la cui attenzione rimane concentrata su settori difensivi, con una preferenza per le obbligazioni con scadenza breve o data di rimborso ravvicinata.
Secondo i due esperti, gli investitori obbligazionari hanno molti motivi per essere positivi. “La fine dei cicli di rialzo ha rappresentato un’opportunità di acquisto, come dimostrato dalla performance passata dell’indice US Aggregate nei 12 mesi successivi all’ultimo rialzo della Fed”, evidenziano. Le prospettive per il credito sono più sfumate man mano che l’economia globale rallenta: è probabile che i tassi di insolvenza aumentino e alcune società scopriranno che la loro struttura del capitale non è più sostenibile con costi di indebitamento più elevati. “Tuttavia, i dati mostrano che a questi livelli, l’high yield ha storicamente prodotto un rendimento positivo nell’arco di 12 mesi per la maggior parte del tempo e una performance a due cifre nella metà del tempo. Evitando i perdenti, ci sono interessanti opportunità sul mercato e rimaniamo investiti, ma con cautela”, concludono.
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