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Wall Street, nonostante la pandemia e i disordini di una settimana decisamente intensa, sta proseguendo su livelli da record. Ma la statistica non depone a favore: l’indice più rappresentativo dell’economia americana era stato così caro solo un’altra volta nella storia recente: vent’anni fa, prima dello scoppio della bolla dot-com. E tra gli storici del mercato c’è chi mette in relazione i livelli raggiunti in questi giorni dal mercato americano e trema.
Il Cape (ciclically adjusted price to earning ratio) dell’S&P 500, ovvero il rapporto tra prezzo e utili calcolato come media degli ultimi 10 anni ponderata per l’inflazione (una valutazione che quindi prescinde dalle anomalie dei prezzi durante gli shock economici), ha toccato quota 34,56, sui massimi da gennaio 2001 e oltre la soglia dei 30 raggiunta nel ’29, anche se ancora sotto il 44,19 raggiunti a dicembre del 1999. E non è un buon segno. Non solo. L’S&P500 è negoziato a più del doppio rispetto alla media storica registrata dal Cape (ovvero 15,8), il che significa che il mercato azionario è sopravvalutato di oltre il 96 per cento. Considerando il rapporto prezzo utili “normale”, l’S&P500 vale 38,3 volte i suoi profitti, due volte e mezzo la media storica (pari a 14,84) ma ancora lontano dalle 123,7 volte del maggio 2009.
E non va meglio la lettura incrociata di altri due indicatori più significativi del mercato, ovvero il rapporto tra prezzo e valore di libro (p/b) e il rapporto tra prezzo e fatturato (p/s). Il listino maggiormente rappresentativo dell’economia americana, l’S&P 500, quota infatti a 4,21 volte il valore di libro, un livello che non toccava da inizio 2000 (a marzo 2000 l’indice aveva toccato il record a 5,06 volte il valore di libro) e a 2,77 volte le vendite, sui massimi di sempre.
Da ultimo anche il Buffett Indicator mette sull’avviso gli investitori. Il Buffett Indicator, che mette in correlazione la capitalizzazione di mercato al prodotto interno lordo, si attesta attualmente al 190,4% ben oltre il livello di valutazione ritenuto adeguato (tra il 94 e il 115%) e anche oltre la soglia cui si parla di sopravvalutazione (136%).
Nonostante l’allarme sul possibile rischio bolla, per gli economisti potrebbe non essere ancora arrivato il tempo di uscire dal mercato. A cominciare da Robert Shiller (si consideri che il Cape è la variante proposta dallo stesso premio Nobel al p/e ed è anche conosciuto come Shiller ratio), che ha parlato di euforia razionale guardando all’Excess Cape Yield, ovvero al rendimento dell’S&P500 medio degli ultimi 10 anni ponderato per l’inflazione a cui è detratto il rendimento dei Treasuries decennale. Con i tassi rasoterra il dato si attesta al 3,8% (che costituisce l’equity premium risk), rispetto al dato negativo dell’1% registrato nel 2000 alle soglie dello scoppio della bolla delle dot-com. L’Excess Cape Yield è livelli record ovunque nel mondo per la prima volta, secondo l’analisi di Shiller, dal 1980, senza considerare che con tutte le banche centrali alle prese con una politica monetaria espansiva, per agli investitori non rimangono molte alternative per cercare un rendimento adeguato.
Non solo, gli analisti sottolineano come, per comprendere i livelli attuali raggiunti dal Cape ratio, occorra tener conto anche della composizione dell’S&P500 che oggi riflette per il 28% il settore hi-tech e le sue valutazioni stellari (nel 1980 la tecnologia pesava solo il 2% sull’indice mentre il comparto energetico, che oggi rappresenta solo l’8%, raggiungeva il 26%).
In questo senso si è espresso anche il team di analisti del Capital Services del gruppo Monte dei paschi di Siena, secondo cui “sulla base del Cape ratio, le valutazioni fondamentali dell’equity USA (S&P500) sono su livelli molto elevati, inferiori solamente alla bolla del 2000. Un segnale di euforia che ci porterebbe a dire che le probabilità di performance positive in futuro sono basse. Tuttavia, lo stesso Shiller ha parlato di euforia razionale guardando all’Excess Cape Yield”. Il team di analisti spiega quindi che i tassi di di mercato sono talmente bassi che, in termini relativi, l’equity risulta attraente. “L’equity risk premium attuale (3,8%) è più elevato di fine 2007 (poco sopra al 2%) e del 2000 (in tale periodo era addirittura negativo di un 1% circa)”. Su questa base, Capital Services di Mps sottolinea come “la buona performance futura dell’azionario Usa sia legata al permanere di tassi su livelli estremamente bassi”. Lo studio prosegue riferendo che, sulla base ad alcune simulazioni (usando regressioni e modelli Dcf), uno scenario di rialzo del tasso decennale Usa di 100 punti base potrebbe dar luogo ad un calo dell’indice al di sotto dei 3000 punti (circa un 20% di correzione dai valori attuali). “Per questo crediamo che la Fed farà di tutto (in primis allungando la duration degli acquisti) per evitare eccessivi rialzi dei tassi”, conclude Capital Services di Mps.