Per la banca giapponese e quella britannica tutte le opzioni sono ancora sul tavolo. Dall’istituto USA gli investitori non si aspettano sorprese ma cercano indicazioni per settembre (e oltre)
Dopo una settimana di riflettori puntati sulle trimestrali e sulle sorti delle Big Tech, l’attenzione dei mercati è tornata a concentrarsi sulle banche centrali, con le tre riunioni chiave di Federal Reserve, Bank of Japan e Bank of England in calendario nelle prossime ore. Se per l’istituto centrale americano la decisione di mercoledì appare scontata, e a pesare saranno soprattutto le dichiarazioni del presidente Jerome Powell, per gli altri due il quadro è decisamente meno netto.
Gilles Moëc, chief economist di AXA group e head of AXA IM Research
Ad aprire le danze sarà mercoledì la banca centrale giapponese. Dopo che gli ultimi dati hanno mostrato un’inflazione in ripresa, gli investitori hanno aumentato le scommesse su un inasprimento della politica monetaria dal 40% al 90%. Tanto che la scorsa settimana si è registrato un significativo rally dello yen. Tuttavia Kazuo Ueda è rimasto imperscrutabile, lasciando aperta qualsiasi ipotesi. “La BOJ deve normalizzare la sua posizione più velocemente per sostenere la valuta, ma l’economia continua ad essere mediocre”, avverte Gilles Moëc, AXA group chief economist and head of AXA IM Research. Per l’esperto, quindi, “combinare una massiccia riduzione del volume di acquisti di obbligazioni, direttamente a 3.000 miliardi al mese, con un rialzo dei tassi sarebbe troppo scoraggiante”.
Diverso il caso degli Stati Uniti dove, sempre mercoledì, gli investitori non si attendono sorprese ma guarderanno soprattutto alle parole di Powell alla ricerca di indizi concreti su una prima riduzione dei tassi d’interesse a settembre. “I dati macro più deboli e il rallentamento dell’inflazione hanno alimentato nuovamente le aspettative di tagli da qui a fine anno. Ora il mercato ora sconta 65 punti base di riduzione da parte della Fed entro fine anno, con una prima sforbiciata dello 0,25% già a settembre.”, sottolinea Filippo Casagrande, chief investment Steering & Sustainability officer di Generali Investments. Ricordando come solo un mese fa, la stima per fine anno era di tagli per 48 punti base.
James Knightley, chief international economist US di ING
Per James Knightley, chief international economist US di ING, la Federal Reserve non ha alcuna intenzione di causare una recessione e, se i dati lo permetteranno, i funzionari cominceranno a spostare la politica monetaria dal territorio ‘restrittivo’ a quello ‘leggermente meno’ restrittivo a partire da settembre. “Ci stiamo avvicinando molto e, se le cose andranno come ci aspettiamo, la Fed userà il simposio di Jackson Hole per dimostrare che sta rivalutando le prospettive e taglierà le previsioni di crescita e inflazione e alzerà le proiezioni sulla disoccupazione a settembre”, sostiene l’esperto. La sua previsione è che questo aprirà la strada a tre sforbiciate quest’anno, a settembre, novembre e dicembre, e ad almeno altri tre l’anno prossimo.
Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel
Più cauto Jeffrey Cleveland, chief economist di Payden & Rygel, secondo cui in prospettiva, se l’economia continuerà a crescere e la disoccupazione resterà sotto controllo, è improbabile che l’istituto centrale americano intraprenda una decisa svolta accomodante, mentre dovrebbe limitarsi ad aggiustare il tasso sui Fed Funds. Per questo ritiene che i sette tagli prezzati dal mercato da qui a fine 2025 siano troppi. “Se l’inflazione sarà in grado di tendere in modo sostenibile verso il target del 2%, sarà probabile che la Fed proceda a una riduzione in settembre, anche se, considerata la rigidità del mercato del lavoro e la crescita economica superiore al trend, l’ipotesi più verosimile ci sembra quella di un ‘fine-tuning’ del tasso sui Fed Funds, in stile anni Novanta”.
Erik Weisman, chief economist di MFS Investment Management
Dello stesso parere Erik Weisman, chief economist di MFS Investment Management, che sottolinea come il mercato cercherà soprattutto di valutare il ritmo successivo dei taglie l’eventuale zona di atterraggio. “Il famoso atterraggio morbido del 1995 fu ottenuto con una riduzione dei tassi di appena 75 punti base e alcuni sostengono che nei prossimi sei mesi si ripeterà quell’episodio”, fa notare. Precisando che una sforbiciata di soli 75 punti base vorrebbe dire che l’economia e i mercati sono relativamente meno sensibili ai tassi di interesse rispetto al recente passato e che gli Stati Uniti possono navigare con successo in un tasso di riferimento del 4,50% a tempo indeterminato. “Il mercato, invece, sostiene che un tasso di riferimento più vicino al 3,50% sarebbe più appropriato per raggiungere l’ambìto atterraggio morbido. La differenza tra questi due scenari è piuttosto importante e potrebbe avere un impatto significativo sulla curva dei rendimenti dei Treasury, sugli spread creditizi e sulle valutazioni azionarie”, avverte.
BOE in bilico
Infine, giovedì chiuderà la settimana la banca centrale britannica, cui tocca fare i conti con dati generali contrastanti. L’inflazione infatti è scesa e il mercato del lavoro sta rallentando, ma i prezzi dei servizi e la corsa dei salari fanno ancora paura. Difficile quindi pronosticare con certezza se Andrew Bailey procederà con la prima riduzione dei tassi dalla pandemia: il mercato si aspetta un taglio con una probabilità di poco superiore al 50%. “A conti fatti, pensiamo che la BOE taglierà di 25 punti base, ma la scelta sarà molto combattuta, vista la probabile divisione interna del MPC”, sostiene Moëc.
Anche Katrin Loehken, senior economist di DWS, prevede una riduzione del costo del denaro dal 5,25% al 5%, ma osserva che l’incertezza resta elevata dal momento che ci sono buone argomentazioni per entrambe le fazioni del MPC. “Le previsioni aggiornate sulla crescita e sull’inflazione dovrebbero mostrare che l’economia continua a crescere solo moderatamente e che l’inflazione probabilmente scenderà al di sotto dell’obiettivo del 2% nel medio termine. Il continuo indebolimento del mercato del lavoro solleva inoltre la questione di quanto la banca centrale debba rimanere restrittiva”, chiarisce. Per la Loehken, questi argomenti depongono a favore di una prima sforbiciata e sono coerenti con la retorica dovish della BOE. Tuttavia la valutazione del comportamento di voto è complicata dalla nuova composizione del MPC. “Pertanto, solo una stretta maggioranza dovrebbe votare a favore del previsto taglio dei tassi”, conclude.
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