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Due decenni di crescita e un record di 112 mila miliardi di dollari. Ma ora i venti favorevoli sembrano essersi sopiti. Tre le sfide da affrontare: direct indexing, alternativi e sostenibilità
Un record di 112 mila miliardi di dollari al termine di venti anni di corsa ininterrotta, in barba persino a due crisi economiche, quella finanziaria del 2008 e quella del debito del 2011, e a una pandemia. L’asset management globale può vantare numeri da capogiro: solo lo scorso anno il patrimonio gestito è aumentato del 12%, superando la crescita media storica, e negli ultimi 17, tra il 2004 e il 2021, i ricavi sono più che raddoppiati toccando quota 200 miliardi, con il margine operativo salito al 38%.
Ora però la tempesta perfetta scatenata da inflazione, rischio recessione e deglobalizzazione minaccia di strappare le vele anche alla solidissima industria del gestito che per la prima volta dal 2001 si trova, senza venti a favore, a dover studiare le rotta da intraprendere per salvare la nave.
È quanto emerge dal ventesimo Global Asset Management report di Boston Consulting Group,“From Tailwinds to Turbulence”, il cui avviso ai naviganti è appunto chiaro: vietato sedersi sugli allori, ci sono tre cambiamenti da affrontare. Direct indexing, investimenti alternativi e sostenibilità determineranno i vincitori e i vinti dei prossimi anni. “La strategia business as usual non sarà sufficiente e per continuare a prosperare. Oggi gli asset manager non dovranno abbassare la guardia e, anzi, dovranno lavorare ad un nuovo slancio innovativo”, avverte Edoardo Palmisani, managing director e partner di BCG.
Vent’anni di rally: i record e l’importanza del retail
Intanto il settore può vantare un solidissimo background, visto che quello fra 2001 e 2021 è stato per l’asset management un periodo di crescita ininterrotta. Nel dettaglio, l’anno scorso il patrimonio complessivo è aumentato del 12%, arrivando a 112 mila miliardi, più della media storica del 7%, e i flussi netti hanno toccato i 4400 miliardi, il 4,4% del gestito. E l’Italia non ha fatto eccezione, con un incremento del 10% degli attivi a 2.400 miliardi, due terzi dei quali provenienti da piccoli risparmiatori.
La corsa non è stata però priva di ostacoli, anzi. L’industria ha dovuto trasformarsi e adattarsi anche in maniera radicale. Il retail è infatti diventato il segmento trainante della raccolta, con flussi netti pari al 6,6% nel 2021, significativamente maggiori rispetto al 2,2% degli istituzionali. L’asse della ricchezza globale si è poi decisamente inclinato verso Oriente: l’economia dell’Asia-Pacifico è quadruplicata negli ultimi 20 anni e di conseguenza i risparmi locali convogliati verso i gestori sono aumentati. Solo lo scorso anno la crescita è stata del 18%, con l’apporto decisivo degli investitori individuali.
La carica dei passivi
Altra svolta decisiva è stata quella causata anche dalla lunga tendenza rialzista di tutti i mercati a livello globale, che ha reso più difficile per i gestori differenziarsi e spinto i clienti verso prodotti con commissioni più basse. Dal 2003, infatti, il patrimonio dei fondi passivi è aumentato a un ritmo quattro volte superiore rispetto ai ‘rivali’ attivi, che pure rappresentano ancora il 67% del mercato.
Il complessivo contesto positivo del passato decennio ha indebolito in alcuni casi la capacità innovativa dei gestori e la volontà degli investitori di esplorare soluzioni diverse. I clienti hanno preferito affidarsi a fondi e gestori di comprovata esperienza, adagiandosi sul loro lungo curriculum di successi. Ne è scaturita un’evidente concentrazione degli asset, specialmente nell’ambito degli Etf dove la dimensione determina la capacità di ridurre i costi e quindi la popolarità sul mercato. Negli ultimi 5-10 anni il 75% dei flussi netti alle gestioni passive sono stati catturati dai primi 10 attori globali. Nel campo attivo, invece, dove la frammentazione è tradizionalmente maggiore, la top 10 degli asset manager ha attratto ‘solo’ un quarto dei nuovi capitali.
Opportunità numero uno: gli alternativi
Dunque è tempo di una chiamata alle armi, perché i cambiamenti affrontati con successo finora potrebbero sembrare poca cosa di fronte al difficile contesto economico e finanziario in cui ci si troverà ad operare nei prossimi anni e alle sfide all’orizzonte. A partire dagli investimenti alternativi sui quali gli asset manager hanno rafforzato la propria presenza per catturare nuove opportunità di crescita primarie.
Pur rappresentando meno del 20% del patrimonio gestito totale, tali investimenti sono stati responsabili nel 2021 del 40% dei ricavi dell’industria e, nei prossimi cinque anni, il loro apporto al fatturato complessivo dovrebbe superare il 50%, in linea con il crescente interesse per private equity e real estate da parte di investitori in cerca di rendimenti più alti e di protezione dall’inflazione. “Per catturare l’opportunità offerta dagli alternativi i grandi gestori stanno comprando boutique specializzate nei mercati privati e gli asset manager già attivi nel settore stanno sviluppando canali distributivi per avvicinare il retail a questi prodotti, tuttora appannaggio degli istituzionali”, sottolinea Enrico Tanduo, partner di BCG.
Sostenibilità, una sfida da 30 mila miliardi
Poi ci sono gli investimenti sostenibili, altro filone di sviluppo rilevante e territorio di competizione serrata fra i gestori. Nei prossimi 30 anni, le imprese andranno alla ricerca di capitali per finanziare la transizione energetica.
Ai settori pubblico e privato, stima BCG, serviranno circa 100-150 mila miliardi di dollari per raggiungere l’obiettivo zero emissioni nette nel 2050. Fondi per 20-30 mila miliardi proverranno dall’industria dell’asset management, nella forma di investimenti azionari e obbligazionari. “I gestori dovranno aiutare i clienti a muoversi in questo settore con regole, confini e informazioni ancora incerti, sviluppando soluzioni su misura per mercati pubblici e privati”, sottolinea Tanduo.
Direct indexing: come si cambia per non morire…
Infine, la specializzazione nella sostenibilità e negli alternativi aiuterà i gestori anche a evitare l’ulteriore sfida per il comparto collegato alle offerte di direct indexing. Consentendo di costruire prodotti a basso costo e rapidamente, infatti, il cosiddetto direct indexing sta abbattendo le barriere d’ingresso nell’industria dell’asset management, alzando ulteriormente la pressione alle commissioni.
E qui gli esperti di BCG non hanno dubbi: un motivo in più per reinventare il mestiere del gestore, sfruttando la spinta innovativa per superare di slancio le attuali turbolenze. Perché, si sa, per non morire si cambia anche radicalmente.
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