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Francoforte studia l’avvio del quantitative tightening nel secondo trimestre 2023. Lagarde: la politica fiscale è la chiave per attutire gli shock della guerra
Avviata la stretta monetaria, a Francoforte nel mirino c’è ora la riduzione di un bilancio ormai arrivato alla cifra astronomica di 5.100 miliardi di euro. A confermare l’inizio della discussione è stata la stessa presidente, Christine Lagarde, che aveva già spiegato come il quantitative tightening sarebbe stato preso in considerazione solo una volta che i tassi ufficiali si fossero normalizzati. Dal momento che il tasso di riferimento potrebbe raggiungere il 2% entro la fine dell’anno, il piano di riduzione di bilancio è passato dunque all’ordine del giorno.
Stando alle indiscrezioni, anche su questo punto non mancano le spaccature tra falchi e colombe riguardo la tempistica della cessione di asset, anche se meno profonde rispetto a quelle sul taglio dei tassi. Nonostante, infatti, i falchi dell’Eurotower puntassero su inizio 2023 e le colombe su giugno prossimo, alla fine l’ipotesi più probabile è quella di dare avvio al qt nel secondo trimestre del prossimo anno. A marzo, secondo molti osservatori.
La Bce potrebbe dunque modificare l’approccio ai reinvestimenti già nella riunione di ottobre e poi successivamente fornire una tabella di marcia a dicembre o, più verosimilmente, a febbraio. Ci vorranno quindi ancora diversi mesi prima che il processo sia effettivamente implementato (per evitare di sovrapposto a quello di rialzo dei tassi), e sarà senza dubbio molto graduale, ma solo la prospettiva contribuisce ad aumentare il già alto nervosismo dei mercati obbligazionari.
Per Goldman Sachs il quantitative tightening della Bce avrà “effetti gestibili sui rendimenti dei titoli di stato core” dell’Eurozona, ma potrebbe avere conseguenze “piuttosto consistenti nei mercati periferici, soprattutto durante i periodi di stress del mercato”. Conseguenze che a loro volta potrebbero alimentare le preoccupazioni sulla sostenibilità del debito nell’Europa meridionale.
Per ING, oltre al fattore principale di cui tenere conto, e cioè lo spread tra Italia e Germania, tra gli investitori serpeggia anche il timore che una simile operazione amplifichi la volatilità del mercato in un momento in cui i progetti di indebitamento dei governi dell’Eurozona sono esposti a un crescente rischio al rialzo.
Intanto Lagarde, nel suo discorso alla sessione autunnale dei lavori del Fmi e della banca mondiale, è tornata a lanciare un monito ai governi sul fatto che “la politica fiscale rimane la chiave per attutire lo shock della guerra e dovrebbe continuare a fornire un’ancora di salvezza alle famiglie e alle imprese che devono far fronte a un forte aumento delle bollette energetiche”.
Da attuare con prudenza, però. “Le misure di sostegno fiscale – ha specificato Lagarde – dovrebbero essere temporanee e mirate alle famiglie e alle imprese più vulnerabili, quelle che stanno sopportando il peso dell’aumento dei prezzi dell’energia, per limitare il rischio di alimentare pressioni inflazionistiche e rendere più efficiente la spesa pubblica”. “Con la normalizzazione della politica monetaria, il fulcro della politica fiscale dovrà spostarsi progressivamente verso misure che preservino la sostenibilità del debito senza mettere in pericolo la ripresa a medio termine”, ha avvertito.
La numero uno dell’Eurotower è tornata anche a ripetere come sia fortemente probabile che l’Eurozona debba fare i conti con un rallentamento significativo della crescita del Pil nell’Area euro nella seconda metà dell’anno e all’inizio del 2023. E che la Bce ha tutta l’intenzione di andare avanti nel suo percorso di normalizzazione della politica monetaria.
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