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Outlook stabile per tutti i 32 Paesi monitorati da S&P. Ma mentre i piccoli appaiono virtuosi, i grandi hanno sfide impegnative da affrontare. A partire dal risanamento
Tutti i 32 emittenti sovrani europei sviluppati, compresi i quattro membri del G7, posso vantare un outlook stabile per il 2025. Parola di S&P Global Ratings che, dopo una serie di downgrade decisi a inizio 2024 a causa di criticità fiscali e politiche, si mostra ora abbastanza ottimista per il nuovo anno. Nessun Paese ha infatti un outlook negativo, anche se i rischi non mancano. A partire dall’elevata incertezza legata ai nuovi leader di Stati Uniti, Unione Europea e Germania, cui toccherà prendere decisioni cruciali su commercio, difesa e politiche fiscali. Uno scenario che mette in pericolo soprattutto gli Stati più grandi, come Francia e Italia, impegnati sulla difficile strada del risanamento.
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La rivincita dei piccoli
I rating con outlook positivo riguardano soprattutto le economie piccole e agili del Vecchio Continente, come Andorra, Austria, Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Irlanda, Portogallo e Slovenia. “La maggior parte di questi Paesi registra surplus di bilancio e sta riducendo il debito”, sottolinea l’analista di S&P Global Ratings, Riccardo Bellesia. Ad esempio, Grecia, Irlanda e Portogallo stanno raccogliendo i frutti delle riforme varate in precedenza, mentre la Slovenia può vantare una solida sovraperformence rispetto a quella dei sui pari. Cipro, poi, ha da poco incassato una promozione, passando ad A-/Stabile e la Croazia, appena entrata nell’euro, ha migliorato la flessibilità monetaria e rafforzato le istituzioni economiche.
2025 anno cruciale per l’Europa
Nonostante queste prospettive positive per gli Stati più piccoli, S&P evidenzia che “i rischi e i vantaggi complessivi in Europa, in particolare su base ponderata del PIL, sono bilanciati”. Il Vecchio Continente deve infatti affrontare “sfide secolari e cicliche che pesano sulle sue prospettive di crescita”. Per gli analisti USA, il 2025 sarà dunque un anno di svolta per il progetto europeo. Nei prossimi dodici mesi sia l’Eurozona sia il Regno Unito vivranno una modesta ripresa, grazie al rafforzamento della spesa delle famiglie sostenuto dal calo dei tassi d’interesse e dalla ritirata dell’inflazione. Ma su tutto questo incombe il possibile aumento dei dazi statunitensi del 10%, che potrebbe ridurre il PIL di Eurolandia dello 0,2%.
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Inoltre, i grandi Paesi devono portare a termine la loro strategia di risanamento. Secondo l’agenzia, infatti, sono proprio i big dell’Eurozona che “devono affrontare le sfide più difficili”. Come ad esempio gli Stati fortemente indebitati, Italia e Francia in primis, che “puntano a migliorare i saldi primari di oltre lo 0,5% del PIL all’anno per un periodo di cinque anni”. Storicamente, precisano gli esperti, questi aggiustamenti “sono stati raggiunti solo in presenza di forti pressioni di mercato, piuttosto che attraverso il monitoraggio fiscale della Commissione UE, che include l’inserimento degli Stati membri inadempienti nella procedura per i disavanzi eccessivi”. Da qui la previsione che “le posizioni fiscali europee si inaspriranno nei prossimi tre anni, ma solo gradualmente”. Inoltre, il restringimento del bilancio a livello nazionale sarà parzialmente compensato da un aumento dei prestiti a livello europeo per continuare a finanziare il programma Next Generation UE e per integrare la spesa per la difesa dei singoli governi.
Le sfide per Italia, Francia e Germania
Per l’Italia, si legge nel report, il differenziale positivo di crescita dei tassi di interesse complicherà gli sforzi di stabilizzazione del debito. E l’obiettivo di consolidamento del Pil dello 0,5% annuo nei prossimi sette anni “rischia di vacillare a causa delle pressioni politiche ed economiche, tra cui le costose promesse elettorali e la crescita incostante”. Questo mentre in Francia, “la mancanza di un mandato forte per il governo Bayrou per ridurre l’elevata spesa pubblica implica una riduzione molto lenta dell’ampio fabbisogno di indebitamento netto del Paese”. La Germania, invece, si trova a un bivio: “Con una crescita stagnante e un quadro fiscale rigido, sancito dal freno costituzionale al debito, il governo che emergerà dopo le elezioni del 23 febbraio 2025 dovrà trovare il modo di ricalibrare la politica economica”.
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