Corporate bond, per i gestori è ora di puntare sull’Europa
Nonostante il sentiment sui mercati non sia dei migliori, le occasioni non mancano. E le società del Vecchio Continente sono da preferire a quelle Usa. Ecco perché
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Mentre nelle ultime ore prende forma la possibilità di una rialzo dei tassi Ue di ben mezzo punto già a luglio (qualora i dati sull’inflazione attesi a giugno certificassero un’ulteriore accelerazione), a rinfocolare i timori per la corsa dei prezzi arrivano anche i verbali dell’ultima riunione di politica monetaria della Bce, che oltre a parlare di un’inflazione molto alta, con rischi in aumento, danno anche conto di una ripresa del pressing da parte dei falchi.
Gli sviluppi economici più recenti “suggeriscono che i tassi d’inflazione rimarranno molto alti nel breve termine” fra le incertezze dei prezzi energetici, con gli stessi indicatori dell’inflazione di fonti “saliti oltre il 2% nei mesi recenti”, si legge nelle minute del Consiglio direttivo del 13-14 aprile scorsi, in cui si specifica che “i rischi al rialzo sulle prospettive d’inflazione si sono intensificati, specie nel breve termine”. Un aumento che preoccupa “molti” membri del Consiglio, stando ai verbali.
Limitati, secondo Francoforte, restavano invece a metà aprile i rischi di recessione o stagnazione. Le prospettive di crescita dell’Area euro per il terzo trimestre “sono ancora relativamente positive”, si legge, grazie alla spinta del turismo e nonostante l’incertezza creata dalla guerra, il peggioramento della fiducia, i rialzi dei prezzi energetici e i contraccolpi al commercio globale dai lockdown in Cina. Sempre in base alle minute della riunione, “anche la valutazione per il quarto trimestre resta positiva” e “finora la valutazione è che la guerra porterà a un temporaneo rallentamento della crescita, ma non a un ridimensionamento persistente”.
Il problema più serio al momento resta dunque l’inflazione, e sulla necessità di muoversi in fretta si sono espressi il mese scorso diversi membri del board, secondo cui è “importante agire senza indebito ritardo per dimostrare la determinazione del Consiglio a raggiungere la stabilità dei prezzi a medio termine”. Un’azione rapida “ritenuta necessaria per evitare il radicamento della temporanea ondata di aumento dell’inflazione e per impedire un ulteriore aumento delle aspettative di inflazione rispetto al target del Consiglio direttivo”.
Ma la linea dei falchi non è certo unanime. Tanto che, stando ai verbali, altri membri del board hanno invece frenato, temendo che una mossa troppo aggressiva “potrebbe rivelarsi controproducente, poiché abbasserebbe la crescita mentre l’inflazione rimarrebbe elevata, poiché la politica monetaria non è stata in grado di affrontare le cause immediate dell’elevata inflazione”.
Da segnalare anche che, sebbene i differenziali tra i rendimenti delle obbligazioni sovrane e i tassi privi di rischio fossero rimasti sostanzialmente stabili dall’ultima riunione, è stato ritenuto importante “affrontare una possibile ripresa della frammentazione delle condizioni finanziarie dell’area dell’euro, se necessario, al fine di garantire una trasmissione continua di politica monetaria in tutta l’area dell’euro”. Nel corso del dibattito è stato quindi sostenuto “che la flessibilità dovrebbe essere una caratteristica permanente della cassetta degli attrezzi del Consiglio”.
“Una comunicazione più aggressiva della Bce ha alimentato l’aspettativa di un rialzo anticipato dei tassi, e l’Istituto di Francoforte sarà costretto a rivedere al rialzo il proprio scenario inflazionistico”, osserva Norman Villamin, chief investment officer (wealth management) di Ubp, secondo cui visto che gli acquisti di asset e le iniezioni di liquidità attraverso condizioni più favorevoli dei Tltro dovrebbero terminare a giugno, ci saranno ulteriori pressioni sulla liquidità del mercato.
“Le aspettative di inflazione tedesche hanno raggiunto nuovi massimi, il che suggerisce pressioni affinché la Bce agisca al più presto, mentre la politica di bilancio europea dovrebbe sostenere l’attività economica nell’affrontare lo shock energetico e l’impatto del conflitto tra Russia e Ucraina – sottolinea Villamin -. L’aumento della volatilità dei rendimenti obbligazionari è stato alimentato recentemente dai prolungati lockdown in Cina, dai rischi di deficit energetico in Europa, dalla politica monetaria della Fed e da risultati deludenti relativi agli utili di alcune società. I nuovi rischi di recessione hanno determinato a metà mese uno stop temporaneo nel rialzo dei rendimenti. In questo contesto, l’allocazione obbligazionaria rimane sottopesata sui titoli di Stato, con una duration ancora breve”.
“Si prevede una maggiore volatilità degli spread creditizi globali con i timori legati alla crescita e all’inflazione manteniamo un approccio con focus sulla qualità del credito. Guardiamo con interesse agli hedge fund nell’ambito dell’allocazione sul reddito fisso”, prosegue l’esperto Ubp.
Per gli esperti del team global fixed income, currency and commodities group di J.P. Morgan Am, la possibilità che l’inflazione sia al picco offre agli investitori un barlume di speranza che i mercati tornino a essere stabili e consente alle banche centrali uno spazio di manovra nella gestione della politica monetaria.
“I maggiori tassi d’interesse e l’aumento dell’inflazione – fanno notare – hanno migliorato le valutazioni nei mercati delle obbligazioni governative e societarie. Tuttavia, le difficoltà previste sul versante tecnico e le indagini sul posizionamento dei portafogli indicano che gli investitori continuano a essere scettici nonostante i maggiori rendimenti. Nel complesso, è necessario che la luce alla fine del tunnel sia un po’ più vivida perché gli investitori comincino a scommettere di nuovo sui mercati obbligazionari”.
Secondo Nikolaj Schmidt, chief international economist di T. Rowe Price, la buona notizia è che le banche centrali hanno gli strumenti per controllare la maggior parte delle cause dell’inflazione odierna. “La domanda è se sono disposte a utilizzare questi strumenti. La mia risposta è un sì inequivocabile”, afferma, aggiungendo che per gli operatori dei mercati finanziari, la cattiva notizia è che per riportare l’inflazione sotto controllo dovranno inasprire la politica monetaria fino al punto in cui la crescita rallenterà rispetto al suo potenziale. E, date le condizioni iniziali, probabilmente si tratterà di un livello inferiore al potenziale.
“Quando la crescita rallenta bruscamente, in particolare quando è accompagnata da un aumento dei tassi di interesse, di solito si scatena la volatilità sui mercati finanziari. Temo che non ci sia modo di evitarlo. È il costo che dobbiamo sostenere per evitare l’inferno dell’inflazione del passato e, in un’ottica di lungo periodo, è francamente un prezzo modesto da pagare”, conclude Schmidt.
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