Apple e Tesla: arriva lo split e si prevedono faville sull’azionario
Il frazionamento azionario torna in auge a Wall Street con i due gruppi hi-tech che lo programmano per il 31 agosto. Ma in Piazza Affari la memoria corre al "caso" Tiscali
3,1 min
Lucid Motors promette di fare concorrenza a Tesla anche a Wall Street con una valutazione da 24 miliardi di dollari, mentre la valutazione del gruppo fondato da Elon Musk è legata a doppio filo ai Bitcoin dopo l’investimento di 1,5 miliardi di dollari nella criptovaluta dello scorso 8 febbraio.
Lucid Motors è stata creata dall’ex chief engineer di Tesla per la Model S, Peter Rawlinson, e annovera altri top manager provenienti dal colosso di Musk come Eric Bac, Peter Hocholdinger e Peter Hasenkamp. Pochi giorni fa, la società di auto elettriche di lusso rivale di Tesla (Lucid Air, è in vendita a 169mila dollari rispetto ai 73.990 dollari della Model S) sbarcherà sul Nasdaq attraverso la fusione con la spac Churchill Capital IV di Michael Klein. L’accordo prevede un pagamento cash di 2,1 miliardi di dollari da parte della spac (che valuta Lucid Motors 12 miliardi di dollari circa) e un collocamento privato di 2,5 miliardi (che valuta la casa d’auto 24 miliardi) che coinvolgerà il Fondo sovrano dell’Arabia Saudita (Pif), già azionista di riferimento con l’85% del capitale e visto al 62% al termine delle operazioni, BlackRock e Fidelity. L’operazione, che dovrebbe chiudersi entro giugno, permetterà a Lucid Motors di espandere gli impianti di produzione in Arizona e di costruire 365mila veicoli l’anno.
Anche Lucid, seppure finora indirettamente, è stata come Tesla protagonista di una una bolla speculativa di Wall Street. Sull’onda delle aspettative dell’accordo, infatti, i titoli di Churchill Capital IV erano andati in orbita con un +470% registrato da inizio 2021. Tuttavia l’ufficializzazione dei termini della integrazione con la rivale di Tesla ha fatto quasi dimezzare il valore del titolo della spac in una sola seduta.
Tesla invece, dopo il rally corso nel 2020 in attesa dell’approdo sull’S&P500 e i massimi vicini ai 900 dollari a titolo visti il 26 gennaio, ha sbandato con l’investimento in Bitcoin tornano ai livelli di dicembre. Il fatto è che l’aver messo a bilancio 1,5 miliardi in Bitcoin ha vincolato l’andamento da cardiopalma della criptovaluta alla società di veicoli elettici, indebolendo il collegamento derivante dalle valutazioni stellari raggiunte nell’ambito del suo settore di appartenenza. A penalizzare le negoziazioni del titolo hanno poi contribuito anche le dichiarazioni dello stesso Musk che ha definito troppo care le valutazioni raggiunte dal Bitcoin. Nelle ultime settimane la criptovaluta era passata di record in record fino a toccare i 58mila dollari. Tesla non ha dato indicazioni precise sulla data e sul prezzo di acquisto dei Bitcoin che il 27 gennaio quotavano intorno ai 30.417 dollari, per poi attestarsi a 38.871 dollari il 7 febbraio, salire a 46.375 dollari il giorno dell’annuncio di Musk, arrivare a 57.489 dollari il 21 febbraio e tronare a 49.737 dollari in queste ore. A seconda della data di ingresso di Tesla sull’asset, il gruppo di Musk potrebbe aver già registrato una plusvalenza sui Bitcoin maggiore dell’utile registrato in tutto il 2020 o essere già in rosso.
L’investimento in Bitcoin ha riacceso i riflettori sulle valutazioni da brivido toccate da Tesla e che per molti analisti, costituiscono un vero e proprio mistero. Gli studi dei broker in effetti più che anticipare i livelli di prezzo con Tesla li inseguono da tempo, senza ancora comprendere il motivo per cui una società che vende poco meno di 499.533 vetture (il risultato maggiore tra i veicoli elettrici, doppio rispetto a Volkswagen ma comunque limitato se si considerano i 70 milioni di auto vendute complessivamente nel mondo), abbia potuto toccare i 690mila miliardi di dollari circa di capitalizzazione.
Tesla è riuscita a raggiungere il primo utile (721 milioni a fronte di un rosso di 862 milioni conseguito l’anno precedente, su un giro d’affari di 31,5 miliardi in crescita del 28% sul 2019) solo con l’ultimo esercizio al compimento dei 17 anni di vita. E per di più macina redditività non tanto dalla vendita di auto, su cui a conti fatti rimane in rosso, quanto dalla cessione a terzi di crediti verdi (pari, nel 2020, a 1,6 miliardi rispetto ai 594 milioni del 2019). Europa e i maggiori stati americani impongono alle case automobilistiche di raggiungere determinati parametri verdi attraverso la conversione della produzione o l’acquisto di certificati sul mercato. Un business parallelo a quello della costruzione e vendita di auto elettriche ma che potrebbe non rimanere redditizio a lungo posto che sono sempre più numerose le case d’auto che stanno riconvertendo impianti e produzione all’insegna del green.