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La principale criptovaluta macina record su record, attirando anche chi cerca rendimenti in un mondo a tassi zero. Ma la Fca inglese avvisa: rischia di valere zero
Il Bitcoin, la prima e più nota criptovaluta, dopo l’affondo di inizio gennaio ha ripreso a correre tra nuovi record e grandi punti interrogativi. La valuta digitale quota sui massimi di sempre vicina ai 40mila dollari (dopo aver superato l8 gennaio i 42mila dollari) oltre cinque volte in più rispetto ai valori di un anno fa, il doppio rispetto ai massimi del dicembre 2017, prima del crollo che aveva riportato la moneta a 3.400 dollari nei dodici mesi successivi.
Ma quale è il prezzo giusto? Per Pantera Capital entro agosto il Bitcoin potrebbe toccare quota 115mila dollari, JP Morgan fissa un target a medio termine a 146mila dollari (la teorica parità con l’oro sarebbe a 650mila dollari), mentre un numero sempre maggiore di investitori istituzionali si sta posizionando sulle criptovalute. Per tanti altri, invece, si tratta di una bolla destinata a sgonfiarsi, mentre l’Fca (ente di vigilanza del mercato britannico) mette in guardia: il rischio è che valga zero.
Le opinioni sono tante e divergenti e la difficoltà di fissare un obiettivo di prezzo è uguale a quella di capire, nel dettaglio, la natura di queste stringhe numeriche frutto di complicati algoritmi e create nel 2009, da un personaggio entrato nel mito e noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto.
Intano nel mondo il valore complessivo delle criptovalute (di cui i Bitcoin rappresentano la parte più rilevante) ha superato i mille miliardi di dollari (12mila miliardi quello dell’oro), un livello rilevante ma che comunque non oltrepassa la metà della capitalizzazione della sola Amazon. Almeno per ora. Perché in un mondo a tassi negativi e a costanti iniezioni di liquidità i Bitcoin (e non solo) appaiono sempre più come un’alternativa attraente per chi è in grado di maneggiare le attività ad alto rischio speculativo.
Prima ancora di fissare un target è opportuno capire di cosa si parla quando si parla di Bitcoin, non in relazione alla loro rarità (oggi ci sono all’incirca 18,5 milioni e potranno arrivare in futuro a un massimo di 21 milioni) o alla tecnologia blockchain che rende li rende non duplicabili, ma a livello regolamentare. Perché se è vero che molti Paesi stanno lavorando a una propria valuta digitale, i Bitcoin sono indipendenti da enti governativi e banche. Il che costituisce da un lato gran parte della fortuna di questi mezzi di pagamento, creati elettronicamente ed estratti dalla rete attraverso il cosiddetto “mining”, ma dall’altro rappresenta anche un forte limite. Non avendo un valore legale riconosciuto in almeno uno Stato, non c’è alcuna garanzia che i Bitcoin (o Ethereum, Ripple e le altre criptovalute) siano accettati come forme di pagamento, oggi e in futuro, dagli interlocutori.
“La moneta è un mezzo di scambio di beni e servizi, solitamente emessa da un governo e generalmente accettata al suo valore nominale come metodo di pagamento. Di solito riteniamo che una valuta debba soddisfare tre criteri principali per essere redditizia: essere un’unità di conto fissa, funzionare come mezzo di scambio ed essere un magazzino di valore”, sostiene Fabrizio Quirighetti di Decalia, che poi sottolinea: “gli ultimi due requisiti non sono soddisfatti”. In primo luogo, come spiega Quirighetti, “c’è chiaramente un’antinomia tra il valore del Bitcoin e l’uso di questa criptovaluta. Oggi sono poche le persone che comprano qualcosa nella quotidianità con il Bitcoin. Lo considerano o lo usano come un bene”. Inoltre, prosegue il numero uno di Decalia, “il Bitcoin è troppo volatile rispetto alle solite valute, per essere considerato una riserva di valore alla stessa stregua delle valute fiat. Anche i francobolli, i dipinti e le collezioni di auto d’epoca o qualsiasi altro bene sono considerati come una riserva di valore… ma non sono considerati come una valuta in quanto non soddisfano i primi due criteri”.
In questo senso, a giudizio di Quirighetti, i Bitocoin possono essere definiti “una risorsa rischiosa” o, se si preferisce, “un fenomeno sociale sul retro di una storia tecnologica e del contesto di repressione finanziaria qui sopra descritto”, “un biglietto della lotteria, a disposizione di tutti” dove “c’è una probabilità di vincita estremamente bassa… e in media, come nel caso del gioco d’azzardo, molte persone perderanno soldi”.
“Non c’è un modo generalmente accettato di valutare il Bitcoin e, come oro, monete o banconote, non produce flussi di cassa”, conclude Quirighetti secondo cui, “l’attuale valutazione del Bitcoin è sostenuta dal contesto di tassi di interesse bassi e di repressione finanziaria, che ha anche spinto verso l’alto la valutazione di molti strumenti finanziari come l’oro, le obbligazioni o una parte dei mercati azionari. Il denaro facile tende a portare alla formazione di bolle e l’eccesso di liquidità non fa altro che crearle”.
“I movimenti irregolari dei bitcoin hanno portato un certo numero di banche a parlare della ‘madre di tutte le bolle’. È difficile (se non impossibile) fare previsioni accurate sul prezzo delle criptovalute”, ribadisce anche John Plassard, Investment Specialist del gruppo Mirabaud per poi aggiungere: “Scommettere oggi sulle valute criptate, quando sappiamo che il 2,5% dei possessori di Bitcoin rappresenta il 95% del volume, è estremamente rischioso e incerto. Tuttavia, la tecnologia blockchain che ne permette l’esistenza (il suo motore) è un tema di investimento che diventerà sempre più attraente nei prossimi anni, e con una volatilità molto più bassa”. Per questo Plassard evita le criptovalute “a causa della loro volatilità”, ma guarda con interesse “alle aziende che investono pesantemente sulla tecnologia blockchain”. L’esperto di Mirabaud ricorda poi come diverse società stiano aprendo la strada a un uso più ampio della blockchain in vari settori industriali da Intel Corp, a Ibm Corp fino a Mastercard, e Amazon (anche se la blockchain rappresenta però per ora una quota molto piccola delle entrate del gigante del web). Altre realtà invece, sottolinea Mirabaud hanno un investimento “misto” in criptovalute e tecnologie blockchain come Galaxy Digital Holdings, Silvergate Capital Corp, Nvidia, CME Group, Square e DocuSign.