Weis (Comgest): “Banche e criteri ESG non vanno molto d’accordo”
17 settembre 2018
di EUGENIO MONTESANO
3 min
I fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) stanno acquisendo sempre più importanza negli investimenti azionari. L’analisi ESG non riguarda solo l’identificazione e la misurazione dei rischi, ma anche l’individuazione di opportunità di investimento.
E l’interesse da parte degli investitori istituzionali verso questo tipo di strumenti è emerso anche dall’edizione 2018 del Mercer Asset Allocation Survey 2018, indagine che ha coinvolto 912 portafogli europei, rappresentativi di 12 paesi, per un totale di oltre 1.100 miliardi di euro di asset in gestione. Dal sondaggio emerge che il 40% degli investitori istituzionali in Europa ha integrato i fattori ESG tra i criteri della propria strategia di portafoglio e l’Italia si distingue rispetto alla media con il dato che sale al 46%. I rischi di portafoglio legati ai cambiamenti climatici sono in prima fila (il 17% del campione li ritiene fondamentali, in aumento rispetto al 5% dell’indagine 2017).
Non è forse un caso allora che il fondo Comgest Growth Europe, a cui Morningstar ha associato un Sustainability Rating (la misura di come i titoli nel portafoglio di un fondo stanno gestendo i rischi e le opportunità relative ai fattori ambientali, sociali e di governance ESG) sopra la media, sia uno dei migliori comparti della categoria Europe Large-Cap Growth Equity azionari Europa, con un ritorno per la share class EUR R Acc del 9,46% a un anno e del 6,34% a tre anni (fonte: Morningstar. Dati % in euro disponibili al 10 luglio 2018. I rendimenti a tre anni sono annualizzati).
“Il nostro approccio d’investimento quality growth ci porta a considerarci come investitori che hanno la cura dei fattori ESG nel dna” spiega Franz Weis, cogestore del fondo assieme a Arnaud Cosserat e Laurent Dobler. “Il tema ESG è complementare alla nostra analisi fondamentale e di conseguenza molto importante nel processo di decision making. Sin dalla nostra fondazione ci siamo sempre posti tre interrogativi prima di valutare un investimento in una società; vogliamo essere legati a queste persone, in quest’attività e a queste valutazioni?”
L’analisi ESG è diventata una parte sempre più cospicua del processo di investimento. Come incorporate i dati ESG per acquisire una comprensione più completa delle società in cui investite? Guardiamo alla governance, in particolar modo alla responsabilità, all’incentivazione e alla view di lungo periodo del top management societario. Non abbiamo investito in attività marcatamente inquinanti o estremamente cicliche e consideriamo i rischi anche di natura non finanziaria quando prendiamo in esame una società. Chiaramente una statalizzata cinese deve avere una valutazione inferiore. Tali attività sono gestite pensando prima di tutto all’interesse dello Stato, con poca attenzione per gli azionisti di minoranza. Dal 2011 abbiamo realizzato un team di ricerca ESG interno che elabora uno score societario (Comgest ESG) che impatta direttamente sulla valutazione societaria sotto forma di premio rispetto al rischio ESG. Ciò ci ha permesso di affinare la nostra sensibilità in termini di rischio relativo alle tematiche ESG, di sviluppare una policy di voting interna e di fare engagement con le società.
Molti investitori riconoscono che l’impronta ESG delle società risulta fondamentale per comprendere la mission aziendale, la strategia e la qualità gestionale e di governance. Ma come si spiega la notevole crescita degli investimenti socialmente responsabili e cosa significa questo per il futuro del settore della gestione del risparmio? I rischi di natura non strettamente finanziaria come quello ESG possono diventare, nel lungo periodo, un rischio finanziario. Un’eccessiva pressione su dipendenti e fornitori o un sottoinvestimento in capitali per poter mostrare numeri migliori nel breve periodo, ad esempio, avranno presto o tardi un impatto negativo sull’operatività.
Studiare la corporate governance e la visione strategica di una società, oltre alla sua efficienza nel travasare tutto ciò nell’allocazione del capitale, ci aiuta ad identificare i possibili vincitori di domani o a restare fedeli nel lungo periodo a società quali Essilor oppure Dassault Systèmes. Il fattore ESG aiuta a realizzare miglioramenti nel lungo periodo.
L’assistenza sanitaria e l’IT sono le principali scommesse del fondo, con forti sovraponderazioni rispetto all’indice. Dove trova le opportunità più interessanti in questi settori? Wirecard (fintech), Amadeus IT (sistemi di prenotazione per biglietti aerei), Dassault Système (software di design per computer) e Coloplast (terapie sulla continenza, stomatologia e delle ferite) sono state le posizioni più redditize negli ultimi 12 mesi e quindi tanto il settore IT quanto l’healthcare hanno contribuito in maniera solida alla performance del fondo. Entrambi i settori sono stati ampiamente rappresentati in portafoglio da più di 10 anni e in entrambi gli ambiti c’è ampio spazio per un aumento di crescita e margini guidati dall’innovazione.
Al momento non siete investiti in Italia (mentre l’indice è investito per il 3,8%). Il paese pone oggi il maggior rischio politico in Europa. L’Italia sarà la prossima Grecia? Quanto sono alte le probabilità di un’Italexit? Le società in cui investiamo hanno un andamento decorrelato dal contesto di natura macroeconomica con alto livello di visibilità. Devono essere in grado di resistere a fasi di difficoltà e di prosperare non solo grazie ad un contesto macroeconomico favorevole, ma anche in presenza di ostacoli significativi. Nella top 5 del fondo c’è Essilor, che ben presto diventerà EssilorLuxottica e quindi sarà un posizionamento per metà italiano. Luxottica è l’esempio perfetto di un grande franchise di portata globale con sede principale in Italia come del resto è il caso di Ferrari, società che abbiamo in portafoglio nel nostro fondo Comgest Growth Europe Opportunities. Esiste forse un potenziale cliente di Ferrari interessato a un’eventuale Italexit? Francamente lo escludiamo. Chi vuole una Ferrari non comprerebbe mai una Porsche.
10 anni dopo la crisi finanziaria il settore finanziario europeo non è ancora del tutto fuori dalle sabbie mobili. Qual è la vostra opinione sul settore e perché non siete affatto investiti (mentre l’indice è esposto per il 20%)? Comgest non ha mai investito in una banca europea a grande capitalizzazione in quanto sono indifferenziate, cicliche, mostrano una crescita debole o assente, non ripagano il proprio costo del capitale e operano in un mercato sovraffollato con significative limitazioni imposte dai regolatori. Questo non è di certo una buona base per lo stile quality growth. Ciononostante abbiamo in portafoglio Wirecard, società globale nel ramo del fintech attiva nel segmento dei processi di transazioni online.
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