Soon (Legg Mason): “La trade war? Non rallenterà il Dragone. Opportunità nei bond cinesi”
24 settembre 2018
di EUGENIO MONTESANO
4 min
Il mercato obbligazionario cinese offre un’interessante opportunità per decorrelare il portafoglio obbligazionario. Desmond Soon, gestore e capo degli investimenti Asia (ex-Japan) di Western Asset Management (gruppo Legg Mason) spiega perché.
Desmond Soon, gestore e capo degli investimenti Asia (ex-Japan) di Western Asset Management (gruppo Legg Mason)
A 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers i principali indicatori economici americani hanno raggiunto i livelli pre crisi, superandoli ampiamente come nel caso del tasso di disoccupazione. Ancora più impressionante risulta la crescita cinese. Il pil del Dragone si è quasi triplicato e la crescita economica globale dipende per oltre il 50% dal sistema economico e manifatturiero di Pechino, il cui livello di integrazione nelle catene globali di fornitura è aumentato in misura esponenziale, con l’export che è cresciuto di circa l’80% e il valore delle importazioni che è quasi raddoppiato nel decennio 2008-2018.
Il mercato onshore dei bond cinesi è oggi il terzo mercato obbligazionario più grande al mondo, appena alle spalle di quello di Stati Uniti e Giappone, con circa 10 trilioni di dollari di valore. La fetta di questo mercato in mano straniera è da sempre molto bassa – al momento è circa al 5% – principalmente a causa dei controlli sui capitali imposti dal governo.
La Cina ha però effettuato negli ultimi 15 anni un graduale allentamento delle regolamentazioni sui suoi mercati dei capitali, rendendo i suoi bond sempre più accessibili agli investitori stranieri. Questa evoluzione ha permesso al renminbi di essere incluso nel paniere delle valute del FMI per i diritti speciali di prelievo, e renderà il mercato interbancario cinese (CIBM) quasi completamente accessibile per gli investitori stranieri, preparando la strada per notevoli afflussi dall’estero.
Lo scenario, tuttavia, è di quelli a luci e ombre. La Cina è uscita pressochè indenne dalla crisi del 2007 grazie al varo di un enorme piano di stimolo fondato su investimenti pubblici e al ricorso a politiche aggressive di finanziamento del sistema delle imprese, ma in seguito a questa strategia il debito è letteralmente esploso, passando nel corso di dieci anni da un’incidenza del 170% sul pil al 299% del primo quadrimestre 2018.
Ciononostante, in un ambiente di investimento in cui i bond sovrani dei mercati sviluppati hanno rendimenti bassi, le obbligazioni sovrane cinesi offrono un pick up di rendimento molto interessante secondo Desmond Soon, gestore e capo degli investimenti Asia (ex-Japan) di Western Asset Management (gruppo Legg Mason) spiega perché.
Come è composto il mercato obbligazionario di un’economia complessa e ramificata come quella cinese? Il mercato dei bond cinesi può essere suddiviso in tre categorie, ognuna delle quali costituisce circa un terzo del mercato totale:
I bond governativi e comunali emessi dal governo centrale e da quelli locali;
I bond del settore finanziario, che includono i policy financial bonds emessi dalle tre cosiddette ‘banche di interesse nazionale’: la China Development Bank, la Export-Import Bank of China e l’Agricultural Development Bank of China. Questa categoria comprende anche le obbligazioni emesse dalle banche commerciali, dalle compagnie assicurative e da Società di Intermediazione Mobiliare;
I bond del settore corporate, emessi da imprese statali così come da aziende private.
Quali sono le opportunità più concrete di investimento nei bond cinesi? Il mercato obbligazionario cinese vede ancora una quota di partecipazione straniera molto bassa. L’evoluzione della regolamentazione rende però oggi il mercato onshore dei bond cinesi un’ottima opportunità di diversificazione e di innalzamento dei rendimenti, soprattutto se paragonati con i ritorni attuali dell’obbligazionario dei paesi sviluppati. Crediamo che i bond governativi cinesi e i policy financial bonds (PFB) siano un ottimo punto di entrata per esprimere una view positiva di medio termine sull’economia cinese e sul renminbi, senza prendere un rischio credito troppo alto.
Prevale ormai a livello internazionale l’idea che l’eccessivo indebitamento e la guerra commerciale lanciata da Trump porteranno presto la Cina a un “hard landing”, ossia a un rallentamento dell’economia molto più severo del 6-7% associato invece allo scenario cosiddetto di “soft landing”. È vero? La Cina è impegnata in una transizione strutturale: da un’economia basata sulla manifattura a basso costo, trainata dagli investimenti, a una basata invece sui servizi e sul settore tecnologico, trainata dai consumi. Sarà un percorso non privo di ostacoli, ma necessario per rendere l’economia più sostenibile. Noi di Western Asset ci aspettiamo uno scenario di soft landing della crescita cinese, con una crescita del pil che dovrebbe decelerare nei prossimi anni verso il 5-6%. La probabilità invece di un hard landing resta bassa, considerando che il pil pro capite della Cina è ancora a un livello da mercato emergente e che il governo ha ancora molte leve di politica economica per dare impulso alla crescita.
La valuta cinese si è svalutata bruscamente nei confronti del dollaro nelle ultime settimane. Qual è l’outlook sulla valuta cinese rispetto al dollaro? Per quanto riguarda il renminbi, attualmente ci aspettiamo che su base ponderata per l’interscambio rimanga relativamente stabile, perché sostenuto dal surplus commerciale della Cina e da una crescita economica relativamente alta. Poiché le politiche monetarie USA al momento si distaccano da quelle del resto del mondo, è possibile che il renminbi soffra una lieve debolezza di fronte a un dollaro forte, ma ci aspettiamo che le sue performance restino comunque superiori rispetto alle altre valute emergenti.
L’ultima volta che la Cina ha sorpreso i mercati con una svalutazione, nell’estate del 2015, l’evento ha innescato una svendita globale delle attività a rischio. La situazione desta preoccupazione, oppure stavolta la svalutazione avrà un impatto minore sui mercati azionari? Attualmente uno dei rischi maggiori per la Cina potrebbe essere un rapido deflusso di capitali. Attestandosi a 3,2 trilioni di dollari USA, le riserve di valuta estera cinesi sono le più grandi al mondo. Ma nella mente dei policymaker cinesi resta indelebile il ricordo dei deflussi di capitali – stimati in circa 740 miliardi di dollari – che seguì la riforma/svalutazione del renminbi dell’11 agosto 2015. Se dovesse ripetersi un fenomeno simile, sarebbe un problema serio. Tuttavia, dopo quell’episodio sono stati istituiti controlli più stringenti sui capitali ed è stato imposto un giro di vite sulle attività di M&A all’estero. Inoltre, per rafforzare la fiducia del mercato, la People’s Bank of China ha mantenuto relativamente stabile il fixing della valuta cinese e migliorato la trasparenza e la comunicazione. Queste misure hanno efficacemente ridotto i deflussi di capitali e consolidato il renminbi, e per questo il ripetersi di un deflusso come quello avvenuto nel 2015 è improbabile.
Oggi il rischio maggiore a cui i risparmiatori interessati a investire in Cina devono prestare attenzione è senz’altro quello degli effetti della trade war tra Cina e USA? Come andrà a finire? Una vasta guerra commerciale tra USA e Cina colpirebbe significativamente l’economia globale e turberebbe i mercati finanziari. Ciò potrebbe portare ad un rallentamento della crescita globale: oggi infatti le catene di produzione della manifattura globale sono altamente integrate. C’è anche il rischio che la guerra commerciale si trasformi in una guerra valutaria, in cui i paesi coinvolti indeboliscono le loro valute per guadagnare un vantaggio nelle esportazioni, mitigando così i maggiori dazi sulle importazioni negli Stati Uniti. Infine, una guerra commerciale totale potrebbe seriamente indebolire i mercati finanziari, portando potenzialmente a una stretta del credito. Anche per questo riteniamo più probabile che tutti i paesi coinvolti si muoveranno con grande attenzione per ridurre le tensioni commerciali attuali.
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