Kyrklund (Schroders): “Azionario in corsa grazie agli utili, ma il ciclo è agli sgoccioli. Come cambiare marcia in un mercato volatile”
2 maggio 2018
di Eugenio Montesano
4 min
“Il semaforo è ancora verde”, spiega il capo del multi asset globale del gestore londinese, “ma le alte valutazioni pongono un limite di velocità ai ritorni e ci hanno indotto a scalare una marcia nelle nostre strategie”.
Johanna Kyrklund, capo del multi asset globale di Schroders
“Manteniamo una view positiva sul mercato azionario, ritenendo che il sostegno derivante dalla crescita degli utili sarà abbastanza forte da più che compensare i rischi di de-rating tipici delle fasi conclusive di un ciclo economico”. In termini di asset allocation è questa la chiave di lettura della congiuntura economica di metà anno di Johanna Kyrklund, capo del multi asset globale di Schroders.
I modelli ciclici del gestore britannico continuano a indicare una fase di espansione del ciclo ancora positiva per i mercati, soprattutto azionari con le Borse europee in rialzo in attesa dell’avvio di Wall Street e dell’annuncio sui tassi della Federal Reserve, previsto per stasera. Allo stesso tempo, il livello di attenzione per non farsi cogliere impreparati dalla fine di un ciclo da record è sempre più alto.
“Siamo ben consapevoli che ci troviamo nelle fasi conclusive del ciclo”, afferma Kyrklund, “e i prezzi sul mercato sono giunti a riflettere molte delle nostre idee: i listini azionari degli Stati Uniti e dei mercati emergenti hanno sovraperformato” anche grazie al dollaro debole, che ha supportato la liquidità a livello globale e il posizionamento sui mercati emergenti.
Quanta benzina rimane nel motore del secondo ciclo economico più lungo della storia? “Se l’economia degli Stati Uniti dovesse continuare a crescere nel secondo trimestre dell’anno”, osserva Kyrklund, “l’attuale fase di espansione pareggerebbe e supererebbe la seconda striscia storica più lunga (106 mesi tra il 1961 e il 1969). Queste cifre sollevano ovviamente domande sulla durata del ciclo; pertanto, stiamo monitorando attentamente le «statistiche vitali» della crescita economica statunitense e siamo in allerta per captare qualsiasi segnale di rallentamento” che dispiegherebbe i suoi effetti negativi anzitutto sull’azionario.
Tra i principali fattori di rischio per l’equity americano c’è l’apprezzamento dei Treasury decennali, che la settimana scorsa hanno superato la soglia psicologica del 3%. Dinamica che può risultare critica “per la sostenibilità delle valutazioni dell’azionario statunitense”, conviene Kyrklund, per quanto “sebbene la Federal Reserve continui a rialzare i tassi d’interesse, questo non ha sorpreso gli investitori”.
Inoltre, nonostante il recente aumento, “l’inflazione rimane in linea con le previsioni, riducendo così il rischio che la Fed si trovi costretta ad accelerare il ritmo dei rialzi dei tassi nel breve periodo. Per il momento, il rischio di un restringimento monetario troppo rapido non è evidente”.
Ciononostante, spiega Kyrklund, gli investitori devono osservare gli orizzonti del mercato con il telescopio, piuttosto che con la lente di ingrandimento. Ed ecco che il segmento obbligazionario, che mostra sì “il potenziale per un rally di consolidamento nel breve periodo”, all’interno di un quadro di medio termine “rimane negativo a causa delle pressioni sul fronte della crescita e dell’inflazione”.
Guerre commerciali o tatticismi politici?
Tra i venti contrari che da inizio anno spirano sui mercati si annoverano le guerre commerciali, annunciate (verso l’Europa) o attuate (verso la Cina). “L’argomento ha recentemente guadagnato il centro del palco con l’annuncio da parte degli Stati Uniti di un piano per l’introduzione di tariffe fino al 25% su 60 miliardi di dollari di prodotti di esportazione cinese”, afferma il gestore di Schroders, che però contestualizza: “riteniamo che questo sia parte di una strategia di negoziazione da parte dell’amministrazione statunitense, che si è mostrata molto rapida nel concedere esenzioni sui precedenti dazi sull’acciaio e si è guardata bene dall’imporre tariffe sulle merci che i consumatori americani avrebbero facilmente notato, come ad esempio gli iPhone”.
Queste mosse, secondo Kyrklund, “suggeriscono che le guerre commerciali non sono il punto di approdo della vicenda. Piuttosto, è probabile che si stia cercando un accordo con la Cina che possa essere presentato come una vittoria in vista delle elezioni di metà mandato in programma a novembre”.
Ovviamente, concede l’asset allocator, “potremmo anche sbagliarci e i recenti cambiamenti nel personale della Casa Bianca sono fonte di preoccupazione. Se dovessimo registrare uno spostamento più evidente verso il protezionismo, lo considereremo come una sfida per le aspettative di crescita, dal momento che il commercio globale è stato il fattore principale che ha trainato l’espansione economica nel corso dell’ultimo anno”.
Kyrklund spiega invece di essere meno preoccupata dalle conseguenze del protezionismo “sul fronte dell’inflazione, che riteniamo sarebbero comunque ritardate e complesse. Più in generale, continuano a preoccuparci maggiormente eventuali sorprese al ribasso dalla crescita che sorprese al rialzo dall’indice dei prezzi al consumo”.
Un altro settore che da inizio anno è stato sottoposto a forte stress è quello tecnologico – finito sotto la lente d’ingrandimento politica, con Facebook nell’occhio del ciclone – sul quale la view di Johanna Kyrklund rimane sostanzialmente negativa. “Non si tratta tuttavia di un settore che abbiamo enfatizzato, a causa dei timori dovuti ad alte valutazioni soggette a un passo indietro sulla scia dell’aumento del costo del denaro. Le recenti paure dovute a una maggior regolamentazione non fanno che sostenere le nostre impressioni negative sulle valutazioni attuali”.
Per quanto riguarda le commodity, la casa di investimento londinese resta positiva “grazie al sostegno dei fattori ciclici e dell’attuale disciplina dal lato dell’offerta. Continua a crescere lo slancio di breve periodo, mentre il carry è migliorato”. Infine, sul fronte del credito, “nonostante il lieve miglioramento delle valutazioni i fondamentali economici più deboli offrono un minor supporto”.
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