Fornezza (Eumetra MR): “La consulenza sia incentrata sulle persone e non solo sui portafogli”
16 maggio 2018
di EUGENIO MONTESANO
5 min
La mera gestione della liquidità non basta più. Il modus operandi dei consulenti – tied agent e autonomi – deve cambiare seguendo una logica per obiettivi. “L’aumento della complessità impone una visione più sistemica”, spiega il presidente dell’istituto di ricerca.
“Bisogna ricalibrare il concetto e la percezione del valore della consulenza, che per l’investitore non può risiedere solo nel rendimento. È necessario far emergere il valore aggiunto della consulenza personalizzata sugli obiettivi di vita dei clienti, sulla pianificazione finanziaria dei bisogni familiari – che nel contesto presente non segue più le regole tradizionali, basti pensare ai cambiamenti demografici in atto e all’allungamento dell’età media – e sulla messa in sicurezza dei rischi, e solo in seconda battuta sul portafoglio”.
È quanto segnala Fabrizio Fornezza, sociologo, ricercatore sociale e di mercato e presidente di Eumetra Monterosa, istituto di ricerca sui temi del mutamento sociale e dell’innovazione, in occasione dell’ottavo Forum nazionale sulla consulenza finanziaria di Ascosim, l’associazione delle società di consulenza finanziaria (Scf).
“La complessità finanziaria dei bisogni della famiglia, per cui sempre più spesso ci si deve far carico tanto dei figli quanto dei genitori anziani, configura uno scenario totalmente sconosciuto”, prosegue Fornezza. “Navighiamo in acque inesplorate, e serve una consulenza di tipo nuovo, molto più incentrata su necessità non pianificate, cui concretamente si deve far fronte”.
Dalle ricerche di Eumetra emergono problemi e opportunità sia per i consulenti autonomi che per i tied agent. Quali sono i punti critici dell’offerta di consulenza ai risparmiatori e le leve su cui questi professionisti devono puntare?
Il lavoro di responsabilità sociale che l’industria ha davanti è quello di assicurare agli italiani un futuro di benessere che sia sostenibile dal punto di vista finanziario. Lo scenario post-MiFID 2 richiede tuttavia competenze differenti, a partire da una relazione diversa verso il tema della tecnologia. Il robo-advisor non può essere visto come un competitor solo perché la passione dei consulenti è quella di gestire tutto di persona. Non bisogna andare alla ricerca dei singoli ingredienti, bensì preparare menù per soddisfare l’appetito dei clienti. Anche sul lato del prodotto: servirà sia quello a gestione passiva che a gestione attiva. Ai consulenti si richiede dunque di ragionare in modo molto differente rispetto a quanto fatto in questi anni. È la sfida – e la grande opportunità – che investe l’intera filiera finanziaria senza distinzione di modelli di consulenza o gestione.
Qual è il quadro della propensione al ricorso alla consulenza finanziaria da parte delle famiglie che emerge dalle vostre analisi?
Lo scorso settembre, nel suo outlook sugli investitori italiani Consob ha rilevato che i risparmiatori italiani sono poco propensi a pagare la consulenza, di qualsiasi tipo essa sia: solo due investitori su dieci si dichiarano disposti a farsi carico dei costi del servizio. Noi ci siamo posti il problema di capire dove risiede il valore della consulenza – in cui crediamo fermamente – per l’investitore italiano. I nostri studi mostrano che quando si fanno proposte nell’area della pianificazione familiare la risposta è largamente positiva: la clientela disposta ad accettare di pagare la consulenza basata sulle persone e non (solo) sui portafogli passa dal 20 al 60%. Questo dato migliora ancora – arrivando all’80% di risposte positive – quando scomponiamo la consulenza nelle sue parti.
Ovverosia?
Ai risparmiatori abbiamo chiesto: “Quanto pagherebbe per la parte di «anamnesi» dei suoi bisogni finanziari? Quanto per un monitoraggio continuativo, da due a quattro volte all’anno a seconda del portafoglio?” Abbiamo cercato di valorizzare il pagamento per ciascuna di queste fasi. Il risultato finale è che le persone passano dal rifiuto da parte dell’80% del campione del pagamento della consulenza rilevato da Consob all’80% di disponibilità di pagare la consulenza.
Come sono attrezzati i consulenti per portare quel 20% all’80% potenziale che emerge dalle vostre rilevazioni?
A noi sembra che ci sia un lieve strabismo tra quello di cui parla il mercato, quello che fanno i consulenti e la direzione della domanda, che va in una direzione molto più legata a bisogni più complessi della gestione del portafoglio. Le persone sono molto meno interessate al prodotto e più al benessere psicologico ancor prima che materiale – considerazione che vale per tutti i mercati, non solo finanziari.
C’è necessità per questi professionisti di cambiare il proprio modus operandi per riavvicinarsi ai bisogni dei clienti?
Ai consulenti, senza distinzione di categoria, vogliamo rivolgere una bonaria provocazione: quella di superare un’impostazione mentale che è figlia del successo degli ultimi anni. I consulenti sono molto appassionati del lavoro di gestione del portafoglio dei clienti, con un linguaggio fortemente incentrato su prodotti e mercati. Ma la “passionaccia” finanziaria, soprattutto quella per la gestione del portafoglio, potrebbe non essere la killer application del futuro con la quale incrementare i portafogli di clienti a fronte della probabile contrazione dei ricavi, a cui in qualche misura sarà inevitabile assistere.
Per far fronte all’evoluzione delineata servono dunque competenze differenti. Quali sono gli standard indispensabili per sopravvivere in un contesto sempre più complesso?
Bisogna servire gli italiani sul piano della pianificazione finanziaria, costruire progetti con i clienti. La gestione lasciamola ai gestori. L’obiettivo primario del consulente non dev’essere la gestione dei soldi in una mera ottica di massimizzazione del rendimento, bensì lavorare sul futuro delle persone. Le competenze di intelligenza emotiva nell’analisi dei bisogni dei clienti sono fondamentali: i consulenti devono saper ascoltare e aiutare i clienti a disegnare scenari futuri per metterne in sicurezza il profilo finanziario. Il consulente dovrà dunque mettere insieme una serie di esperti, saper coordinare una serie di competenze, dalla sfera immobiliare a quella fiscale. E non stiamo parlando solo della clientela da private banking, ma anche degli affluent.
La clientela mass market potrà beneficiare del servizio di consulenza?
La consulenza va industrializzata. I consulenti dovranno acquisire una padronanza degli strumenti che permetta loro di abbattere i costi al cliente pur garantendo una personalizzazione one-to-one. C’è lavoro per tutti: per i gestori che devono impostare soluzioni pronte all’uso, centrate già sui progetti finanziari delle varie tipologie di clienti. E c’è lavoro per le mandanti, che hanno bisogno di sviluppare sistemi che consentano di fare questo tipo di consulenza. Senza dimenticare il lavoro di formatori e giornalisti, che possono informare i cittadini sul valore della consulenza.
Tutto pronto per l’ottavo Forum Nazionale sulla consulenza finanziaria di Ascosim, il primo dall’entrata in vigore della MiFID. Al centro il confronto tra protagonisti della consulenza tradizionale e indipendente, che secondo Massimo Scolari, presidente dell’associazione, hanno le carte in regola per (con)vivere e prosperare.
Secondo il business coach dei consulenti finanziari Francesca Luisa Bianchi, i cf post-MiFID “hanno molto lavoro davanti a sé per aumentare il «percepito» di un servizio già ottimo, che però è venduto male e poco valorizzato”
Nell’anno della “tempesta perfetta” della consulenza finanziaria, la direttiva europea aumenta la complessità della professione offrendo agli advisor la possibilità di fare un vero e proprio “salto di qualità”, spiega il professore di strategia della School of Management dell’università meneghina.