La maggior parte dei risparmiatori investe in fondi pensione solo il Tfr aziendale. Il 40% sceglie per la propria pensione integrativa in autonomia, senza appellarsi a un consulente finanziario
La pensione è in cima alla lista delle maggiori preoccupazioni finanziarie dei giovani italiani, eppure nessuno di loro agisce per costruirsi una solida alternativa alla previdenza pubblica per quando lascerà il mondo del lavoro.
È il quadro che emerge da una ricerca condotta da Moneyfarm, società di gestione del risparmio con approccio digitale, su un campione di circa 1.380 investitori residenti in Italia estratto dal database di clienti e utenti Moneyfarm – circa 200 mila individui – tra le persone con almeno un piano di investimento attivo.
Secondo l’indagine la maggior parte dei risparmiatori che ha sottoscritto un piano di previdenza integrativa investe la sola quota di Tfr aziendale (48%). Il dato più preoccupante, però, è che molto spesso tali decisioni vengono prese in autonomia (40% dei rispondenti), mentre solo il 12% dei partecipanti al sondaggio dice di aver scelto con un consulente.
Gli investimenti che vanno per la maggiore sono quelli in fondi pensione negoziali (48%), una forma di investimento per la propria pensione di gran lunga preferita rispetto ai fondi pensione di tipo aperto promossi dalle Sgr (17%). Il Pip è selezionato dal 12% del campione.
La necessità di una maggior cultura dell’investimento previdenziale era stata sottolineate sulle pagine di questo sito da Giovanni Maggi, presidente di Assofondipensione “Il secondo pilastro ha solo bisogno di essere ulteriormente potenziato perché copre solo un terzo della popolazione attiva”, sottolinea il numero uno dell’associazione dei fondi pensione negoziali, ribadendo che oggi “esiste una concentrazione maggiore di aderenti nelle classi di età centrali (34-54 anni) e nell’Italia settentrionale ed è ancora poco diffusa ancora tra gli under 34 e al Sud Italia”.
La conferma è anche nelle parole di Giovanni Daprà, co-fondatore e amministratore delegato di Moneyfarm, che nella survey ha potuto far leva su un campione con un’età media senz’altro più giovane rispetto a quella nazionale. “Anche tra gli investitori digitali, che da quanto emerge dall’indagine sono tra i più sofisticati nel panorama degli investitori retail, abbiamo riscontrato delle difficoltà nella pianificazione previdenziale. Spesso si dice che in Italia manchino educazione finanziaria e propensione a investire. Non è del tutto vero. A volte c’è una difficoltà nel far convergere servizi e domanda. È quindi compito dell’industria del risparmio venire incontro a queste esigenze offrendo soluzioni adeguate. Crediamo che una consulenza digitale, efficiente e trasparente possa essere la soluzione”, dice il manager.
Con la crisi, i fondi negoziali hanno perso l'1,1%, i fondi aperti il 2,3% e i Pip il 6,5%. Fanno eccezione i Pip di Ramo I (+0,7%). Ma il bilancio sull'ultimo decennio resta positivo, così come la rivalutazione del Tfr
Secondo gli esperti almeno il 10% del reddito annuo va destinato a forme di previdenza complementare. Con il solo Tfr – se investito in fondi pensione – si arriva al 7%
Pellegrini (Mefop): “La previdenza complementare è essenziale per avere un tasso di sostituzione complessivo adeguato tra I° e II° pilastro”. Da sola però non basta...
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