DL Rilancio, investire in fondi ora è più semplice
L’articolo 36 del decreto legge recepisce la richiesta di Assogestioni e Assoreti a Mef e Consob di semplificare la sottoscrizione dei contratti d’investimento e l’adesione all’offerta di OICR
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Uno sforzo abnorme ma probabilmente insufficiente. I 250 articoli e circa 500 pagine, per una manovra che vale quasi quanto due leggi di bilancio (55 miliardi di euro) e che dovrebbe garantire il rilancio del Paese, non basteranno. Ne abbiamo parlato con Andrea Pirola, partner dello studio indipendente di consulenza tributaria, fiscale e legale Pirola Pennuto Zei & Associati.
“Il tema è che non si può pensare di fare politica a lungo termine nell’emergenza: se in tempi normali si fa spesa corrente e non investimenti che hanno ritorni adeguati, è inevitabile trovarsi senza troppi margini di movimento in un momento di crisi come questo. È chiaro che si sarebbe potuto fare altro e farlo diversamente, ma questo Decreto rappresenta un passo in avanti rispetto ai precedenti, ho solo paura che non basti nel caso in cui l’emergenza dovesse perdurare”, dice Pirola. Così, “alcune previsioni incluse nel decreto vanno nella giusta direzione ma ci troviamo di fronte a un’emergenza sanitaria senza precedenti che ha dato origine a una gravissima crisi economica che comporterà nel 2020 una perdita del Pil per il nostro Paese intorno alle due cifre”.
Allora cosa si sarebbe potuto fare di più? Secondo Pirola, “ci sono imprese che genereranno perdite fiscali consistenti nel 2020 e per cui si sarebbero potuti introdurre, come avviene in altri paesi, strumenti generalizzati che consentono una loro immediata monetizzazione attraverso il ‘carry-back’ o una loro trasformazione in crediti di imposta utilizzabili in compensazione. Le nostre imprese infatti, nonostante le sospensioni dei versamenti, si troveranno a dover pagare comunque entro fine anno il dovuto”.
Rispetto alle principali misure adottate, il parere del consulente è comunque positivo. Per esempio l’esclusione dal versamento del saldo e dell’acconto IRAP per società con fatturati entro i 250 milioni, “è sicuramente positiva per i soggetti beneficiari di piccola e media dimensione ma, sfortunatamente, il Legislatore esclude dalla platea tutti i contribuenti di più rilevanti dimensioni anche nel caso in cui tali soggetti abbiano subito una drastica riduzione del fatturato a causa del lockdown. Si pensi, ad esempio, all’impatto negativo del Covid–19 nel settore della moda, della ristorazione e dell’automotive e alla conseguente riduzione del fatturato. Pur comprendendo le ragioni di gettito che hanno spinto questa scelta, sarebbe stato auspicabile un’esclusione generalizzata a tutti i contribuenti – indipendentemente dalle dimensioni – dei versamenti dovuti ai fini Irap e, almeno, una proroga dei versamenti dovuti per le imposte sul reddito”. Proroga che invece c’è stata, al 16 settembre, per i versamenti relativi ai mesi di aprile e maggio con riferimento alle ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente e assimilati, alle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, all’imposta sul valore aggiunto e ai contributi previdenziali e assistenziali, nonché ai premi per l’assicurazione obbligatoria per i soggetti esercenti attività d’impresa che hanno registrato una riduzione significativa del fatturato.
La più grande novità del decreto è probabilmente la previsione di contributi a fondo perduto per le piccole imprese. Ma anche in questo caso si tratta di una misura ottima nelle intenzioni ma che non riesce a soddisfare l’enorme fabbisogno che il Covid ha generato. “I contributi sono riservati alle imprese con ricavi non superiori a 5 milioni nel 2019 e che abbiamo riportato nel mese di aprile un fatturato inferiore ai due terzi dello stesso mese del 2019. L’ammontare del contributo a fondo perduto è determinato applicando una percentuale alla riduzione del fatturato, del 20%, 15% e 10% a seconda del fatturato 2019. La norma è molto restrittiva e di fatto, non solo è limitata alle micro imprese ma riserva le sovvenzioni solo alle imprese in situazione di grave difficoltà”, al limite del fallimento.
Ancora, l’art. 130-quater del Decreto Rilancio aumenta al 60% il credito di imposta (che nei decreti precedenti era del 50%) delle spese, fino a 60mila euro (anziché 20mila euro delle norme precedenti) sostenute nel 2020 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati, nonché per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti. “A mio parere l’innalzamento del credito di imposta rappresenta uno sforzo apprezzabile del Legislatore, ma sfortunatamente non ancora sufficiente per fornire alle imprese le risorse necessarie per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 attualmente in corso. Basti pensare che nel primo minuti del Bando Invitalia, relativo alla richiesta di rimborso delle spese sostenute dalle imprese per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, sono state presentate circa 60 mila domande per un importo superiore ai 500 milioni di euro a fronte di risorse disponibili di 50 milioni di euro”, dice Pirola.
Ed ancora insufficiente, infine, anche l’incremento del limite annuo dei crediti compensabili che viene portato, nell’art. 158, a decorrere dall’anno 2020, da 700 mila euro a 1 milione di euro. “Tale disposizione rappresenta sicuramente uno strumento utile per incrementare la liquidità delle imprese, favorendo lo smobilizzo dei crediti tributari e contributivi, anche se tale soglia, per i soggetti di più rilevanti dimensioni, non risulta ancora adeguata e misure più incisive sarebbero state auspicabili”, conclude Pirola.