Williams (Hermes IM): “Politiche monetarie rimarranno accomodanti per scongiurare rischio stagflazione”
19 giugno 2018
di EUGENIO MONTESANO
3 min
Il protezionismo a stelle e strisce è un rischio da non sottovalutare. Nel suo ultimo economic outlook trimestrale Neil Williams, senior economic adviser di Hermes Investment Management, sostiene che i mercati guardano all’outlook macroeconomico ancora con una prospettiva da “bicchiere mezzo pieno”, mostrando scarsa considerazione dei rischi all’orizzonte.
Neil Williams, senior economic adviser di Hermes Investment Management
“Fino ad ora questo atteggiamento ha avuto senso anche grazie allo stimolo fiscale negli Stati Uniti, che ha giustificato i reflation trade”, spiega Williams. Tuttavia, sebbene le condizioni di crescita siano migliori, come mostra il primo grafico in calce, “i mercati stanno ignorando le nubi che si profilano all’orizzonte”, afferma l’economista. Secondo cui è giunto il momento di alzare gli scudi contro le sfide della politica dalla promozione di misure mercantilistiche – o comunque volte a scaricare le difficoltà sugli altri paesi (la cosiddetta «beggar-thy-neighbour» policy) – al populismo antieuropeo.
Stime FMI sulla crescita del pil reale per l’economia globale, dei paesi avanziati e degli emergenti (in %, su base annua)
In tal caso, il 2018 potrebbe essere un anno «a due metà», dice Williams, in cui l’euforia da stimoli monetari lascia gradualmente il posto alla preoccupazione per la stagflazione. “Il compromesso è che i tassi di interesse ufficiali rimangano più bassi di quanto molti si aspettino”, suggerisce l’economista. Come attesta il secondo grafico, l’appetito mondiale per il commercio internazionale è più che raddoppiato negli ultimi 50 anni come percentuale del pil globale. “Ciononostante, e senza cura per le conseguenze, il protezionismo di rappresaglia stile anni ’30 sembrerebbe poter ritrovare uno spazio nefasto”, ricorda Williams.
Scambi commerciali globali, americani e cinesi (export meno import)* come percentuale dei rispettivi pil
Nel 1930 un’ondata di protezionismo fu sancita con lo Smoot-Hawley Tariff Act che impose alti dazi doganali – fino al 20% su oltre 20.000 beni importati. Ciò fece crollare del 50% le importazioni sul mercato americano colpendo il (relativamente) minor numero di partner commerciali degli Stati Uniti, in particolare Canada ed Europa. La conseguenza fu di innescare una catena di ritorsioni: ogni paese cercò di scaricare la crisi sugli altri, col risultato che il commercio mondiale ne uscì fortemente ridimensionato, aggravando la Grande Depressione.
“L’impatto del protezionismo questa volta sarebbe più complicato che negli anni ’30”, analizza Williams. “In primo luogo, i collegamenti economici e finanziari suggeriscono che l’effetto knock-on potrebbe essere molto più ampio. La ritorsione globale attiverebbe effetti secondari che cancellerebbero del tutto l’impulso di crescita dei tagli fiscali di Trump”.
In secondo luogo, l’effetto deprimente sulla crescita degli Stati Uniti potrebbe essere molto più grande del previsto. “L’impegno della Cina nei confronti dei titoli del Tesoro USA verrebbe messo in discussione, le catene di approvvigionamento delle società statunitensi sarebbero potenzialmente compromesse e l’offerta di manodopera – già in diminuzione nel paese – potrebbe calare ulteriormente con effetti negativi sulla crescita potenziale”.
In terzo luogo, se le misure protezionistiche dovessero aumentare, l’inflazione riapparirebbe a livello globale. E, con la possibile eccezione degli Stati Uniti, “sarebbe il tipo sbagliato di inflazione” spiega Williams, “in quanto legata ai costi piuttosto che alla domanda”.
Rischio stagflazione
Ma l’incognita principale, sottolinea l’economista, è legata alla prospettiva di una stagflazione globale innescata dal protezionismo e all’impotenza che le banche centrali potrebbero mostrare di fronte a una recessione sommata a spinte inflattive. Un rischio che spinge l’economista ad affermare che le politiche monetarie globali rimarranno accomodanti più a lungo di quanto stimato attualmente dal consenso. “Anche negli Stati Uniti, i tassi di interesse reali rimarranno negativi” e i livelli di picco di quelli nominali “saranno più bassi di quelli a cui siamo abituati nel lungo termine”.
Dopo nove anni di QE, come faranno le banche centrali a chiudere i rubinetti senza conseguenze indesiderate? “La mole degli interessi in gioco suggerisce che non possono prendere i mercati alla sprovvista” afferma Williams. “Negli anni ’30 – l’unica vera stagione rispetto a cui è possibile tracciare una comparazione – il QE statunitense è rimasto ininterrotto per 14 anni. Anche se è certamente stato un momento storico diverso”, conclude l’economista, “se il protezionismo dovesse davvero ripetersi questo potrebbe significare che abbiamo superato solo di poco la metà dell’attuale era di denaro a basso costo”.
Aumento dell’inflazione, economia in surriscaldamento, cambiamento nell’equilibrio tra offerta e domanda: l’aumento dei rendimenti del decennale americano riporta la volatilità sui mercati degli asset rischiosi. Come affrontare il cambio di rotta di banche centrali e investitori?
Ai microfoni di Focus Risparmio, l'Investment Strategist di Invesco AM Luca Tobagi, intervenuto in merito gli scenari di mercato:
"Gli investitori non devono essere spaventati dal ritorno della volatilità.
Bisogna tenere sotto controllo gli elementi che possono alimentare le turbolenze di mercato, per trasformarli in una opportunità di investire e di gestire meglio la globalizzazione."
Gli impatti sui mercati dei capitali dei cambiamenti nelle politiche commerciali Usa-Cina sono sovrastimati, spiega il portfolio manager di Kairos Matteo Santoro illustrando le principali modifiche all’asset allocation da inizio anno.
Iscriviti per ricevere gratis il magazine FocusRisparmio