Il passaggio generazionale non è certo un tema nuovo per il mondo della consulenza finanziaria, ma oggi più che in passato è avvertito come non più procrastinabile vista l’età media dei consulenti che avanza di anno in anno.
“Un primo passaggio di consegne fra generazioni all’interno della categoria è quello avvenuto a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 fra i pionieri della prima ora che avevano avviato l’attività verso la fine dei ’60 e i nuovi entranti nel settore”, racconta Francesco Priore in una conversazione con FocusRisparmio dove ripercorre le tappe più importanti nella storia della professione.
Anni ’80: i pionieri diventano manager
“In quell’epoca ci fu l’equivalente di un passaggio generazionale ante-litteram, più che altro guidato dal boom dei fondi comuni che in quel periodo spinse molti professionisti a lasciare la carriera consulenziale per abbracciare quella manageriale”, ricorda Priore.
E così i portafogli di quei nuovi manager furono riassegnati all’interno delle strutture di competenza, “ma fu un passaggio di portafogli-clienti a costo zero – prosegue Priore – senza un vero impatto sostanziale sulle dinamiche anagrafiche della categoria”.
Gli anni ’90: forme primordiali di lavoro in team
Quello degli anni ’90 fu invece un passaggio più strutturato, afferma Priore, ricordando che fu all’inizio del decennio che le reti più grandi iniziarono a calcolare il management fee sui portafogli e ad inserire primordiali forme di lavoro in team, che consistevano, spiega l’esperto, nell’affiancamento di un supervisore ad un mini-gruppo di cf neo-reclutati: “Questo avveniva soprattutto nelle reti più strutturate come la Fideuram o Programma Italia (antesignana di Banca Mediolanum)”.
“L’inserimento dei giovani veniva fatto attraverso corsi di formazione molto curati, tenuti da tutti i manager di un’area. Il cf neofita veniva addestrato alla trattativa con simulazioni mirate, elaborazione di gruppo delle proposte e poi seguito dal supervisore anche nei primi incontri con i clienti”, osserva Priore.
Per cui quello degli anni ’90 fu un passaggio generazionale molto light, contando anche che i professionisti dell’epoca avevano un’età media molto più bassa di quella attuale (circa 40-45 anni) e che i più veterani proseguivano nella professione – come oggi – anche molto dopo l’età prevista per la pensione.
I Duemila, gli anni dello “sboom”
All’inizio degli anni Duemila sparisce contestualmente alle commissioni d’ingresso nei portafogli dei consulenti anche la figura del supervisore. “Nel periodo della Bolla Internet ci fu un assalto alla diligenza: tutti volevano fare i cf; poi dopo c’è stato lo sboom di pari passo con quello delle Borse ed è diventato difficile reclutare”, chiarisce l’esperto.
Gli eventi che seguirono, dalla crisi dei subprime al crack Lehman, contribuirono a deprimere la figura del consulente che agli occhi dei più giovani veniva visto come un mestiere da venditore e non aveva lo stesso appeal delle professioni liberali.
“I consulenti entrati nel mercato in quegli anni ereditarono tanti portafogli che però rendevano poco”, aggiunge Priore, e inoltre avevano il grosso limite di non aver mai maturato vere skills di acquisizione dei nuovi clienti “a freddo”.
Da parte loro, le società mandanti hanno costruito meccanismi di protezione per difendersi dal turnover esasperato dei consulenti, da una rete all’altra, inserendo nelle contrattualistiche dei vincoli sul trasferimento dei clienti e sull’esercizio delle attività quando si cambia casacca.
2020: il ricambio necessario
Oggi il tema del ricambio generazionale è al centro delle agende di tutti i principali attori della categoria: da Assoreti all’Anasf, passando per alcuni intermediari con alcune iniziative innovative.
Assoreti in particolare ha apportato modifiche al proprio Codice di Comportamento per rispondere a queste esigenze inserendo nell’articolo 11 un richiamo specifico al lavoro in team.
Giuseppe Baiamonte, Responsabile del coordinamento della Rete Fideuram, aveva raccontato su queste pagine il progetto del lavoro in team nato per favorire il passaggio di competenze e portafogli a favore dei più giovani. Ma nel frattempo altre iniziative sono state lanciate in seno a Fineco e Azimut, ad esempio. Nascono Master e corsi universitari e post-universitari per orientare e motivare i giovani ad avviare una carriera nel settore della distribuzione di prodotti finanziari.
L’età media della categoria però non si abbassa: secondo l’ultima relazione annuale dell’Organismo OCF il 60% dei cf abilitati all’offerta fuori sede supera i 50 anni; gli under 30 restano fermi sotto al 2% del totale.
“Il problema oggi è anche dimensionale: nel 2000 chi aveva un portafoglio da 10 miliardi di lire era un super consulente; oggi con 10 milioni di euro sotto consulenza si fa fatica. Per vivere bene la massa critica di un consulente è di circa 20-25 milioni”, afferma Priore.
Per non scomparire, i consulenti del futuro hanno bisogno di unire le forze e le competenze, “è l’unica via per fare massa critica”. “Si va verso una logica di ‘lavoro artigianale da bottega’ dove più professionisti mettono insieme le proprie competenze specifiche nell’ottica di erogare al cliente un servizio completo e complementare a 360°. Credo e auspico che l’evoluzione naturale di questo processo sia l’istituzionalizzazione degli studi associati di cf”, conclude.
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