Il manager spiega a FocusRisparmio come la banca ha reinventato sé stessa facendosi facilitatore nei rapporti che legano sistema economico, risparmio privato e imprenditorialità del territorio
Paolo Gesa, direttore business di Banca Valsabbina
Il modello di banca tradizionale è da tempo messo in discussione a causa del contesto di bassi tassi d’interesse che rendono l’attività di intermediazione poco redditizia e da un contesto normativo sempre più stringente.
Le banche che vogliono sopravvivere, quindi, devono orientarsi verso business di natura diversa, facendosi facilitatore nei rapporti che legano sistema economico, risparmio privato e imprenditorialità del territorio.
Ne è un esempio Banca Valsabbina, nata come banca del territorio e ora diventata un hub per aiutare le pmi a finanziare la loro crescita. L’istituto ha recentemente acquistato il 26% di Integrae Sim per introdurre nella sua offerta i servizi di finanza straordinaria a supporto dell’economia reale e porsi come interlocutore primario per rappresentare e sostenere gli interessi delle imprese quotate e quotande sui mercati dei capitali.
Paolo Gesa, direttore business di Banca Valsabbina, racconta a FocusRisparmio i progetti futuri dell’istituto.
Dott. Gesa, come è strutturato il modello di private banking di Banca Valsabbina?
Dal 2016 abbiamo attivato il servizio di private banking incentrato su una consulenza finanziaria evoluta sia per i clienti private sia per il lato corporate. Il successo del nostro modello è dovuto a un’organizzazione snella ma capillare che prevede più di sessanta consulenti dislocati sul territorio, dove vengono affiancati con percorsi di affiancamento e formazione di alto livello in modo da affinare le competenze utili per gestire in maniera professionale il risparmio come passaggi generazionale, tematiche successorie e quant’altro. Il nostro servizio di basa su un modello a piattaforma aperta che garantisce l massima trasparenza verso il cliente: abbiamo accordi con 30 case d’investimento per cercare di offrire il miglior servizio possibile a favore del cliente. Questo cambio di paradigma ha rappresentato una svolta epocale per la banca, anche a livello di numeri: siamo passati dai 300 milioni di gestito del 2016 a 1,2 miliardi di quest’anno, ripartiti fra prodotti di risparmio gestito, soprattutto fondi e sicav, e prodotti assicurativi, principalmente polizze di ramo uno e terzo.
Banca Valsabbina è da sempre un istituto molto radicato nel territorio. Qual è oggi il vostro rapporto con i clienti?
Così come il modello di business, anche il rapporto con il territorio è un cambiato negli ultimi. Pur rimanendo profondamente legato al territorio di Brescia nel quale siamo nati (il bresciano rimane la provincia più servita da Banca Valsabbina con circa cinquanta filiali, ndr), la banca ha cercato di andare a coprire nuovi spazi nel Nord Italia. Negli ultimi anni sono stati aperti nuovi uffici in altri centri importanti di Lombardia, Veneto, Piemonte e Emilia-Romagna, territori dove cerchiamo di esportare il nostro modello di banking caratterizzato da una filiera corta e centralizzata. Almeno una volta al mese ci riuniamo con i capiarea per affinare strategie e formazione: vista la situazione odierna dei mercati finanziari la gestione del risparmio è un tema tanto complesso quanto delicato e i consulenti devono essere tenuti sempre aggiornati per poter garantire la massima professionalità ai loro clienti.
Quali sono i piani per lo sviluppo della rete nei prossimi anni?
Il primo obiettivo del 2020 è l’apertura di una seconda filiale a Milano. Questa ci consentirà di consolidare la nostra presenza sul capoluogo lombardo, un territorio che oggi presenta vivacità a 360 gradi. La prima filiale, aperta oltre tre anni e mezzo fa ci sta dando enormi soddisfazioni. Poi proseguiremo a puntellare i capoluoghi di provincia dove siamo già insediati anche perché grazie al nostro modello business riusciamo a intercettare clientela in modo trasversale sia nel retail sia nel private e corporate. Nel futuro punteremo sempre più su quest’ultimo aspetto. Per quanto riguarda il nostro supporto alle Pmi innovative del Paese, nel 2019 abbiamo cercato di fare qualcosa di più innovativo e specifico. Parallelamente al canale del credito tradizionale stiamo sviluppando una serie di servizi per il mondo della finanza alternativa: è un segmento che vediamo in forte crescita, basti pensare che su AIM Italia ci sono state quasi 40 quotazioni quest’anno, di gran lunga il mercato più vivace in Europa.
Con finanza alternativa a quali progetti si riferisce esattamente?
Abbiamo in mente di potenziare il business dei servizi alle imprese che vogliono sbarcare su AIM Italia. L’acquisizione di una quota di maggioranza in Integrae Sim va proprio in questa direzione. Per Pmi innovative abbiamo consentito ai nostri clienti di investire in queste società in Ipo sfruttando beneficio fiscale del 30% di detrazione Irpef per persona fisica. Ma poi ci sono i settori dell’invoice financig, in cui a breve lanceremo una partnership con una piattaforma dove è possibile acquistare crediti pro-soluto; dei minibond, su cui abbiamo grandi aspettative per il 2020 dopo aver partecipato a venti operazioni solo negli ultimi tre anni. Sono tutti trend che vediamo in sviluppo visto che i canali tradizionali del credito bancario sono in contrazione e tutto quello che è ad esso alternativo è in crescita e noi vogliamo esserci.
Un altro tema molto delicato per una banca del territorio è quello del passaggio generazionale degli imprenditori. Come lo affrontate?
Quello del passaggio generazionale è uno dei grandi temi determinanti per il sistema economico italiano. Con tutta l’incertezza che c’è oggi in ambito internazionale l’imprenditore si sente un po’ più debole rispetto al passato nell’affrontare da solo i mercati finanziari. Il tema della successione amplifica ancor di più questi aspetti per questo è importante affiancare l’imprenditore nelle scelte di sviluppo del proprio business. In alcuni casi la Ipo in Borsa può essere qualcosa che fluidifica il passaggio fra generazioni successive di imprenditori. Altre volte, invece, la soluzione migliore può esser trovata fuori dai mercati. Noi ad esempio collaboriamo con diversi fondi di private equity: questa è un’opportunità sia per chi domanda capitali che per chi li offre: i primi, gli imprenditori, possono crescere con nuovi capitali a sostegno delle prospettive di crescita, mentre gli investitori privati possono trovare quel rendimento che altrove non si riesce più ad estrarre.
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