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Negli Usa le banche hanno avviato l’espansione di rami d’attività collaterale da cui stanno traendo i profitti che con l’attività tradizionale si erano azzerati. Anche le europee sono attese alla stessa metamorfosi
Il modello di banking tradizionale rischia l’estinzione, ma la banca come istituzione continuerà a sopravvivere. A patto però che sappia rinnovarsi e trovare nuovi modi di esercitare la sua funzione, facendosi facilitatore nei rapporti che legano sistema economico, risparmio privato e imprenditorialità del territorio.
La serie di tagli alla forza lavoro annunciati recentemente da Unicredit sono solo la punta di un iceberg molto più grande che affonda le sue radici in ragioni complesse e non contingenti.
È l’insieme di cause quali il costo del rischio, il rallentamento del margine d’interesse, i nuovi competitors, e le regolamentazioni stringenti che hanno messo sotto pressione il modello tradizionale di fare banca. In sintesi: prestare soldi, l’essenza dell’attività bancaria, non conviene più.
“Se guardiamo ai gruppi bancari generalisti italiani, si osservano livelli di redditività contenuti e lontani da quelli del 2007 (Rote inferiore al 6%), e soprattutto multipli di Borsa fortemente penalizzanti rispetto al book value (price to tangible book value pari a 0,3 x a giugno 2019), ovvero il segnale di aspettative ancora deboli da parte degli investitori”, sottolinea un report firmato dalla società di consulenza Pwc dal titolo “The Italian Financial Services market competitive arena. How to get high returns in Financial Services”, che ha analizzato l’andamento di oltre 80 tra banche, assicurazioni e altri soggetti non necessariamente regolati operanti in Italia nel settore dei servizi finanziari.
Prestito? No grazie
Le evidenze che il sistema bancocentrico italiano stia entrando in una fase calante sono sempre più numerose. Dai dati raccolti da Pwc si evincono enormi differenze anche rispetto al resto d’Europa: i crediti verso privati in termini di incidenza sul pil si attestano attorno al 41% rispetto al 52% della media europea; per le imprese l’incidenza sul pil è del 58% rispetto al 75% della media europea. La carenza di prestiti è dovuta anche alla maggiore incidenza dei crediti deteriorati sullo stock totale di crediti (7,9% vs 3,0% della media europea).
La nuova banca
Secondo la ricerca oggi banche e assicurazioni tradizionali rappresentano solo una parte del più ampio mercato italiano dei financial services, sempre più diversificato e con attori che registrano tassi di crescita e marginalità a doppia cifra.
Basti pensare che negli ultimi dieci anni banche e assicurazioni tradizionali hanno subito – a livello aggregato – una significativa riduzione della redditività (rispettivamente Roe dal 9,5% al 5,6% e dal 12,5% al 6,9%).
Ora, come il caso Unicredit insegna (ma non è l’unica banca impegnata in questo processo), gli istituti stanno gestendo articolati percorsi di trasformazione e revisione dei modelli di business, nella costante ricerca dell’eccellenza operativa e pur dovendo gestire ancora uno stock consistente di crediti deteriorati.
La sintesi di questo processo è stata ben spiegata dal direttore generale di Bankitalia e membro del comitato esecutivo della Bce, Fabio Panetta: “Il segreto è mantenere un’attività di formazione che consenta ai lavoratori di soddisfare esigenze diverse” mentre anche in Europa le banche devono spostarsi verso la prestazione di servizi finanziari, al pari di quanto già avvenuta negli Usa. “Credo che sia un futuro possibile e altamente auspicabile per le banche, per l’economia reale per la clientela che avrà più servizi a costi più bassi, dobbiamo però capire che dobbiamo trasformare il lavoro delle banche”.
La carica dei servizi
Se l’alternativa al cambiamento è l’estinzione, allora, non bisogna perder tempo. Esistono infatti una miriade di nuovi operatori con una forte specializzazione e modelli operativi innovativi – rileva Pwc – che hanno conquistato un ruolo rilevante attirando investitori industriali e finanziari (italiani e stranieri) grazie a Roe a doppia cifra e valorizzazione sul book value ampiamente superiore a 1x.
Francesco Legrenzi, partner e head of financial services Italia per PwC-Strategy& ha commentato: “Dallo studio sul mercato italiano dei financial services appena terminato emergono nitidamente due ulteriori considerazioni: la micro prospettiva resta cruciale, i top performer esistono trasversalmente ai diversi modelli di business, anche tra quelli dove mediamente si osservano livelli di redditività contenuti e/o multipli di Borsa penalizzanti rispetto al book value; in secondo luogo i modelli ibridi (offline-online) risultano sempre più vincenti nel nuovo contesto competitivo, ovvero modelli basati sulla completa integrazione dei canali”.
La vera sfida per il comparto creditizio è quindi farsi facilitatore, trovare nuove strade che consentano di svolgere il suo tradizionale ruolo in forma diverse e rimanere parte attività in quella circolarità dell’economia essenziale per lo sviluppo del Paese.
D’altronde la risorsa principale per svolgere questa funzione, il risparmio degli italiani, è ancora forte: gli asset finanziari delle famiglie valgono il 254% sul pil, percentuale che si confronta con il 225% della media europea.
La soluzione è stata efficacemente proposta da Panetta stesso: “In Europa l’80% dei finanziamenti al settore non finanziario passa attraverso le banche, che non hanno ancora cominciato a fornire tutti quei servizi che negli Stati Uniti hanno consentito la compressione dell’attività delle banche e l’espansione di un ramo collaterale da cui le banche stanno traendo profitti”.
Supporto per l’economia reale
Le banche quindi devono trasformarsi in un hub per aiutare le pmi a finanziare la loro crescita, diventare un pivot per il lavoro dell’imprenditore che viene accompagnato nella scelta dello strumento più adeguato.
Un modello di istituto creditizio territoriale che sta muovendosi in questa direzione, per esempio, è Banca Valsabbina che ha recentemente acquistato il 26% di Integrae Sim per introdurre nella sua offerta i servizi di finanza straordinaria a supporto dell’economia reale e porsi come interlocutore primario per rappresentare e sostenere gli interessi delle imprese quotate e quotande sui mercati dei capitali.