Via a gambe levate dai Btp
Colpa di una elevata percezione del rischio Paese. Per il futuro del decennale italiano saranno decisive le azioni del governo del cambiamento. Con lo spread pronto a infiammarsi
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Articolo pubblicato su FR MAGAZINE | Ott – Nov 2018 |
Da diversi mesi gli investitori internazionali si chiedono se stia per giungere la fine del bull market, che dura ormai da diversi anni. Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal presupposto che le fasi rialziste non muoiono di vecchiaia né contano i giorni che passano. Tipicamente queste fasi si esauriscono o quando la crescita economica risulta inferiore alle attese, con conseguente compressione degli utili aziendali, o quando la dinamica dei prezzi spinge le banche centrali ad avere un approccio più aggressivo, con un rialzo dei tassi a ritmi più serrati. “Dal nostro punto di vista la crescita economica globale si manterrà costante per tutta la seconda parte del 2018 – commenta Andrea Aurilia, senior sales executive Md di Jp Morgan Asset Management – In particolare, negli Stati Uniti la crescita del Pil nel secondo trimestre è stata rivista al rialzo al 4,2%, con la crescita per l’intero anno che dovrebbe superare il 3%. E nonostante qualche segnale di rallentamento, la crescita economica si è confermata a livelli superiori al 2% anche in Europa, dove le trimestrali si sono rivelate in linea con le attese. Cina ed India inoltre continuano a registrare tassi di crescita rispettivamente del 6 e del 7 per cento. Tuttavia, pur in un contesto di crescita economica solida e inflazione sotto controllo permangono elementi di incertezza tali da poter innescare episodi di volatilità – puntualizza – I Paesi emergenti per esempio continuano a essere profondamente influenzati dall’andamento della valuta americana. Un dollaro forte infatti può generare situazioni di stress finanziario in quelle aree emergenti che presentano forti disavanzi ed elevati indebitamenti in valuta estera. Anche l’Europa rimane un sorvegliato speciale, con gli investitori che presteranno molta attenzione all’evoluzione dei negoziati per la Brexit e alla manovra finanziaria in Italia”. La correzione dei mercati, dunque, non è da escludere. “Dopo una stagione di lunghi rialzi, soprattutto per i listini Usa, una fase di consolidamento o flessione potrebbe essere fisiologica – aggiunge Luca Tobagi, Cfa investment strategist di Invesco – Per avere una correzione dei mercati molto profonda, o addirittura un mercato Orso, dovrebbero però probabilmente diffondersi aspettative molto negative sull’andamento dell’economia, o deteriorarsi in modo improvviso e diffuso i fondamentali aziendali. E al momento nessuno di questi due scenari appare molto probabile”.
Gestire il portafoglio
Naturalmente, un risveglio dell’Orso richiederebbe un portafoglio più prudente. “Probabilmente bisognerebbe allocare parte del portafoglio in liquidità e parte alle obbligazioni governative dei Paesi ritenuti come più sicuri, per esempio Germania e Usa, riducendo l’esposizione alle azioni e al mondo obbligazionario societario ed emergente”, argomenta ancora Tobagi. Nel contesto attuale, una osservazione pragmatica dei rischi è fondamentale. “E questo ci porta a rivalutare il ruolo delle obbligazioni come strumenti per implementare una efficace copertura di portafoglio in un contesto in cui l’aumento dei rendimenti reali rende meno costoso esporsi alla duration – aggiunge Aurilia – Di fronte a uno shock improvviso e inatteso riconducibile per esempio a una crescita più rapida dell’inflazione, gli investitori richiederebbero un maggiore premio al rischio in quelle aree più esposte allo shock stesso, come i Paesi emergenti. Ciò potrebbe tradursi in un calo della spesa per investimenti delle aziende e in deflussi di capitali. Ci vuole dunque cautela soprattutto nei confronti di quei Paesi che presentano squilibri strutturali come la Turchia, l’Argentina ma anche il Sudafrica ed il Brasile”.
Gli asset da privilegiare
A scatola chiusa è difficile indicare un’asset allocation. Sarebbe necessario conoscere la propensione al rischio, l’orizzonte temporale e gli obiettivi finanziari dei singoli risparmiatori. È pur vero, però, che nelle fasi Orso ci sono delle asset class che entrano di diritto nel portafoglio, in quanto considerati beni rifugio. “È il caso per esempio dell’oro e di alcune materie prime che, a seconda della fase del ciclo in cui la correzione avviene, possono contribuire a diversificare il portafoglio, e ciò serve a mitigare la volatilità”, sottolinea l’esperto di Invesco. Al di là dei beni rifugio, qualsiasi asset class verrà inserita in portafoglio dovrà essere gestita in maniera attiva considerando lo scenario futuro, caratterizzato da una progressiva, anche se non veemente, normalizzazione delle condizioni monetarie. “Ci aspettiamo che le correlazioni non solo tra classi di attivo diverse ma anche all’interno delle stesse classi di attivo siano destinate a diminuire e conseguentemente la dispersione dei rendimenti ad aumentare – fa notare Aurilia – Ciò rappresenta terreno fertile per un gestore attivo che utilizza un processo di investimento chiaro e coerente. Negli ultimi anni, inoltre, la necessità di migliorare il profilo rischio rendimento del portafoglio ha portato gli asset manager a compiere scelte di investimento più innovative. In questo senso abbiamo assistito a una evoluzione del concetto di beta, ossia l’esposizione al rischio di mercato. Oggi per esempio le strategie alternative beta ci permettono di avere accesso a un universo di rendimenti diverso rispetto a quello tradizionale”. L’innovazione di prodotto, poi, sta favorendo la nascita di nuovi filoni di investimento, guidati per esempio dai grandi trend globali quali la tecnologia o l’invecchiamento della popolazione. E ancora, “l’esigenza da parte dei risparmiatori di ottenere valide performance nel rispetto della società alimenta l’interesse verso gli investimenti socialmente responsabili – prosegue Aurilia – Tutto questo migliora la diversificazione di portafoglio che nel rispetto del giusto orizzonte temporale permette agli investitori di raggiungere i loro obiettivi di rendimento e proteggere il capitale in fasi di aumento della volatilità”.
Il posizionamento geografico
Una volta individuate le asset class da inserire in portafoglio, in quali aree conviene investire? “Ci sono zone tipicamente ritenute come più sicure in fasi di correzione – risponde Tobagi – È il caso degli Stati Uniti in termini geografici e dei comparti difensivi in termini settoriali. Le regioni e i settori più sensibili all’andamento del ciclo potrebbero risultare più penalizzati nella discesa, quindi bisogna osservarli con un occhio attento alle valutazioni. Passata la prima fase di discesa, potrebbe avere senso riconsiderare gradualmente anche questi segmenti di mercato, Paesi emergenti inclusi”.