Secondo Itinerari Previdenziali, il 53% degli enti ha già adottato criteri Esg. E il 75% di chi ancora non vi ha aderito ha discusso sulla possibilità di farlo. Dal rendimento ai rischi, tante le spinte oltre all’etica. Ma le strategie si appiattiscono su esclusioni e cambiamento climatico
Fondazioni di origine Bancaria e compagnie assicurative sempre più attente alla sostenibilità. La conferma arriva dalla survey annuale del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, che mostra come il 53% degli enti previdenziali abbia già adottato criteri di investimento Esg e il 75% di quanti ancora non lo hanno fatto ne abbia quantomeno discusso in cda. Un’istantanea che, unita a un’analisi più approfondita sui portafogli, evidenzia anche come una quota consistente di chi non è legato formalmente alla finanza SRI abbia comunque comprato prodotti etici.
Gianmaria Fragassi, coordinatore del progetto per Itinerari Previdenziali
L’indagine, che ha coinvolto 128 soggetti a rappresentanza di un patrimoniale superiore a 246 miliardi di euro, mostra come sia salito a 66 il numero di investitori istituzionali che dice di adottare politiche di investimento sostenibili. Secondo Gianmaria Fragassi, coordinatore del progetto per Itinerari Previdenziali, si tratta di un segnale già di per sì positivo ma che trae rafforzamento da un’ulteriore evidenza: “Ben 44 enti dei 59 che hanno motivato la loro risposta negativa vogliono implementare strategie simili in futuro e ci sono buone prospettive di arrivare a sfiorare il 90% entro qualche anno”. A riprova di un quadro prospettico roseo, meritano poi attenzione due ulteriori valori: sono pari a zero gli enti che, dopo aver discusso di sostenibilità nel board, scelgono comunque di non approcciare la finanza SRI; è passata dal 38% al 44% la quota di chi applica tale paradigma a una percentuale del patrimonio superiore al 75%. L’unico neo riscontrabile riguarda proprio quest’ultimo dato e consiste nel fatto che il suo incremento avviene soprattutto a discapito delle classi intermedie di investitori, vale a dire quelli con asset ‘etici’ tra il 25%-50% o tra il 50%-75%: si tratta infatti di classi che assommano in egual misura il 30% delle risposte contro il 26% di quanti si collocano nella fascia 0%-25%.
L’ente adotta una politica di investimento sostenibile SRI?
Fonte: Quaderno di Approfondimento 2024 – “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
Dalle performance ai rischi, ecco le spinte oltre l’etica
In linea con i precedenti sondaggi sono anche gli obiettivi e le motivazioni principali che spingono verso la finanza SRI, a cominciare dalla volontà di contribuire allo sviluppo sostenibile (82%). Se quella etica resta la motivazione preponderante, non vanno però trascurate anche ragioni tecniche come la mitigazione dei rischi in portafoglio: si tratta infatti di una risposta che raccoglie il 67% del consenso. Stabile al terzo posto c’è il miglioramento della reputazione dell’ente, sui cui ricade il 49% delle scelte e che fa registrare il valore più alto nei sei anni di indagine. Seguono poi fattori come la ricerca di migliori rendimenti finanziari (20%) e le pressioni del regolatore (18%). Dal canto opposto, proprio la difficile misurabilità di impatti e rendimenti viene citata dal 62% del campione come barriera principale all’implementazione di una strategia Esg: a pesare in tal senso sono anche la mancanza di una definizione univoca di sostenibilità (53%) e una normativa di settore relativamente recente e che viene per questo considerata dal 48% poco chiara o foriera di dubbi.
Nel valutare gli effetti delle proprie politiche di investimento, e dunque nel compiere il passaggio dalle ragioni teoriche agli impatti pratici, solo l’8% dei rispondenti palesa però benefici effettivi in termini di rendimenti mentre quelli che percepiscono un’effettiva mitigazione del rischio sono scesi in un anno dall’86% al 63%. Un’evidenza che Fragassi interpreta come segnale che, sebbene la sensibilità del mercato istituzionale trovi nuova e ulteriore conferma, “lo slancio verso la finanza SRI sembra essersi attenuato rispetto al passato”. “Rialzo dei tassi di interesse, inflazione e volatilità dei mercati finanziari hanno senza dubbio giocato un ruolo in questa dinamica”, sostiene l’esperto, che spiega come tali fattori abbiano spinto gli investitori a un atteggiamento di maggiore cautela e di vigile attesa anche nei confronti delle politiche. Per non parlare delle incombenti elezioni europee, con il loro effetto di “rallentare anche l’impeto della normativa comunitaria”.
Cosa impedisce l’attuazione di politiche di investimento Esg?
Fonte: Quaderno di Approfondimento 2024 – “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
Le strategie
Per quanto riguarda il modo in cui le politiche d’investimento sostenibile vengono implementate, l’indagine offre una visione sia delle strategie in uso sia delle modalità con cui i criteri Esg sono maggiormente applicati. Con un valore in crescita rispetto al 2023 e pari al 66%, al primo posto si posizionano per il sesto anno consecutivo le esclusioni. A seguire si possono trovare gli investimenti tematici (34%) e best in class (32%), che scalzano dal podio convenzioni internazionali (31%) e impact investing (29%). Ancora una volta all’ultimo posto si colloca l’engagement, che cresce comunque dal 24% al 28%: verosimile ipotizzare che questa strategia possa risultare agli occhi degli investitori di più difficile attuazione. Da segnalare però qualche eccezione significativa, come quella dei fondi pensione negoziali, che lo annoverano tra le strategie più utilizzate (34%). Scendendo ancor più nel dettaglio delle survey, emerge come le esclusioni riguardano soprattutto prodotti collegati al mercato delle armi (89%): un probabile effetto dei tanti conflitti che imperversano lungo il globo. Molti anche gli enti che escludono investimenti riconducibili a pornografia (59%) e gioco d’azzardo (56%) mentre resta ancora in coda la parità di genere, che risale però dall’8% all’11%. Se sul fronte delle convenzioni internazionali si conferma al primo posto l’Unpri (64%), seguito al 56% dal Global Compact dell’Onu al 56%, mentre il social housing (75%) e i green bond (50%) sono tra gli ambiti preferiti nell’alveo dell’impact investing. Stabile anche l’approccio soft nell’engagement, che viene scelto dal 54% dei rispondenti ma spesso svolto per tramite dei rispettivi gestori.
Quali sono le strategie SRI adottate?
Fonte: Quaderno di Approfondimento 2024 “ESG e SRI, le politiche di investimento sostenibile degli investitori istituzionali italiani”
Caso a parte è invece rappresentato dalla categoria best in class, dove la riduzione delle emissioni (69%) consegna all’ambiente una problematica pole position. “Limitare l’integrazione dei criteri Esg alla sola questione climatica significa non inquadrare in maniera del tutto corretta la complessità delle scelte di portafoglio degli investitori italiani”, puntualizza rispetto a quest’ultimo Fragassi, che pure conferma come l’ambiente sia uno dei fattori chiave. Gli intervistati confermano sì di trovare la componente ‘environmental’ predominante rispetto alle altre ma con percentuali più omogenee di quanto ci si possa aspettare: mentre la ‘E’ raccoglie quasi il 38% delle preferenze, la componente sociale tocca quota 31,4% e la governance arriva al 30,7%. Ulteriore riprova viene dai dati sugli investimenti tematici, con una chiara predilezione per efficientamento energetico e climate chance ma anche significativi gli investimenti in silver economy (27%) e Rsa (23%).
L’orientamento al futuro e il ruolo della normativa europea
Oltre a inquadrare le principali tendenze del presente, l’indagine offre ancora qualche spunto sulla possibile traiettoria degli investimenti sostenibili per gli anni a venire. Traiettoria, spiegano da Itinerari, che mostra qualche elemento di difficoltà ma continua a tendere significativamente verso l’alto: “Il 66% degli investitori (erano il 51% lo scorso anno) afferma di voler incrementare la propria esposizione nei confronti di strumenti sostenibili”. Ad attirare l’attenzione in ottica prospettica sono soprattutto le esclusioni (61%), seguite con il 45% e il 43% delle preferenze da best in class e investimenti tematici. Tra i settori di maggior interesse meritano invece di essere segnalate le energie rinnovabili, stabilmente al primo posto con il 61% delle indicazioni, seguite da healthcare (32%) e infrastrutture sanitarie. Rilevante anche in questo caso la voce “altro” (26%), dove spiccano tra le menzioni degli investitori le voci life science e agrifood. A incidere sulle prospettive della finanza SRI è però oggi più che mai la normativa di settore, cui la survey dedica quindi una serie di domande specifiche soprattutto sulla Sfdre i nuovi modelli Rts per comunicazioni di gestori e collocatori. “Il 67% dei rispondenti valuta come limitati gli effetti, pur riconoscendo che le leggi potrebbero accentuare la propensione verso l’acquisto diretto di fondi Esg”, commenta Fragassi, ricordando come molti enti siano ancora in una fase di studio e analisi del quadro legislativo e dispongano di track record limitati. Si spiega forse in questo modo il perché, al momento, il 29% dei player abbia in portafoglio fondi che non rispondono né all’articolo 8 né all’articolo 9 mentre solo il 2% dal precedente 4% detenga entrambi di diritto italiano.
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