Obbligazionario governativo Eurozona, i migliori fund manager per rendimento a tre anni
Nelle prime posizioni spiccano quattro fund manager italiani di altrettante case d’investimento. Denaro sull’Italia ma con un rischio all'orizzonte
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I bassi tassi di interesse e l’elevata liquidità presente sul mercato pongono il tema se il tradizionale portafoglio investito per il 60% in azioni e per il 40% in obbligazioni sia ancora efficace nell’attuale scenario di mercato. FocusRisparmio ne ha parlato con tre interlocutori di primarie realtà presenti sul mercato italiano. E le risposte riservano diversi spunti e sorprese.
A giudizio di Diego Toffoli, responsabile investimenti di Intermonte Advisory e Gestione, “un portafoglio suddiviso 60% bond e 40% equity risulta ancora attraente” nell’attuale scenario di mercato. Per l’esperto “il rialzo dei tassi da metà anno va attribuito all’impennata dell’inflazione e ai timori che non si tratti di un fenomeno temporaneo ma possa prolungarsi anche nel corso del 2022. Questo spingerebbe Fed e Bce ad alzare i tassi. Non è la view però confermata dalle banche centrali; proprio questa settimana Christine Lagarde, sebbene abbia ammesso che l’inflazione stia durando più del previsto, continua comunque a considerarla un fenomeno temporaneo. La mancanza di componenti “shortage”, i ritardi logistici e i prezzi dell’energia, elementi che hanno accentuato le preoccupazioni degli operatori sull’inflazione, dovrebbero rientrare nella prima parte del 2022. Questo dovrebbe calmierare il rialzo dei tassi negli ultimi mesi del 2021 o prima parte del 2022, uno scenario che sarebbe ancora favorevole per l’equity e un’occasione per incrementare la posizione sui bond governativi sia statunitensi che europei”. La situazione, prosegue Toffoli, “andrebbe poi rivista verso la fine del primo trimestre 2022 per valutare l’andamento della crescita economica e se i timori di una futura fase di stagflazione siano concreti o meno”.
In questo scenario il portafoglio 60+40 suggerito infine da Toffoli vede “per quanto riguarda la suddivisione geografica della componente azionaria, le aree favorite Usa e Europa, dove gli ingenti piani di investimento sono ancora in fase di avvio e dovrebbero sostenere l’economia per i prossimi anni. Più incerta la situazione nei Paesi emergenti in ritardo invece con la lotta al virus e più soggetti a stop produttivi a macchia di leopardo per contenere i contagi. Una suddivisione della componente equity potrebbe essere: 20% Usa, 15% Europa e 5% Emergenti”. Per quanto poi riguarda la componente bond per Toffoli “sono da preferire il mercato Usa ed europeo con un occhio di riguardo ai governativi che appunto potrebbero apprezzarsi nell’ultima parte dell’anno e/o prima parte del 2022”.
Di diverso avviso Michele De Michelis, responsabile investimenti di Frame Asset Management, secondo cui un portafoglio 60 +40 “guardando avanti, ha poco senso a meno che non si pensi che in momenti di crisi il Bund tedesco possa toccare il meno 2 o 3 % e il T bond americano il meno 1 %. Mentre nei momenti di crescita, complice la risalita dei tassi ad una situazione più normale, i prezzi delle obbligazioni sono destinati a scendere”. Per l’esperto di Frame Asset Management “anche se non succedesse nulla per i prossimi 10 anni, e quindi nel 2031 i tassi dovessero rimanere esattamente così, allo stato attuale l’investitore perderebbe soldi sulla parte obbligazionaria visto che i tassi reali (tasso nominativo meno l’inflazione) sono negativi. Viviamo infatti in una situazione in cui i tassi nominativi sono risaliti dai minimi del marzo 2020 (rispettivamente circa 1,6 % e meno 0,1 % per Usa e Germania) mentre l’inflazione media ha superato ampiamente il 2 % praticamente ovunque, portando quindi i tassi reali a dei livelli che non si vedevano dagli Anni ’70”. In questo contesto per De Michelis “gli unici governativi che presentano un tasso di interesse intorno al 3%, anche una volta coperto il rischio di cambio, sono quelli cinesi, che continuano a svolgere funzione di safe haven durante i ribassi improvvisi di mercato. Inoltre vista la correzione dell’economia dell’ex impero celeste in atto, non sono da escludere potenziali ribassi dei tassi di interesse”.
Per Fabrizio Santin, senior investment manager di Pictet Asset Management il portfolio si compone infine con il 30% in obbligazioni nominali o multiasset conservativi denominati in euro con duration entro i cinque anni, il 10% di bond indicizzati all’inflazione area euro, il 15% cash, il 5% in commodity (oro compreso), il 30% in azioni Usa, il 5% in azioni Ue e il 5% in azioni emergenti/Cina.
“La chiave è trovare aree del mercato obbligazionario che siano protette al meglio dalla pressione inflazionistica”, spiega Santin secondo cui “tale rifugio è rappresentato dal debito sovrano cinese. Oltre ad avere uno dei tassi di inflazione più bassi al mondo e godere della prospettiva di una politica monetaria più accomodante, la Cina offre attualmente dei rendimenti obbligazionari tra i più elevati al mondo, prossimi al 2,9%. Una valida alternativa per gli investitori che non intendono assumere rischi valutari sul portafoglio obbligazionario potrebbe essere quello di delegare una parte dell’allocazione di portafoglio a strumenti multi-asset conservativi in base euro che presentino rischi assimilabili all’investimento obbligazionario (con volatilità realizzata entro il 5%) e ritorni attesi compresi tra il 3 e i 4%”.
Più in generale, a giudizio del senior investment manager di Pictet Asset Management “i portafogli degli investitori devono essere esposti nel lungo termine a una dose rilevante di investimenti azionari che permettono l’esposizione nel lungo periodo alla crescita economica e forniscono una migliore protezione dai rischi inflazionistici”. Più in dettaglio poi, per quanto riguarda il fronte azionari, l’esperto di Pictet Asset Management punta sulla “forza relativa dell’economia statunitense” e, pertanto, suggerisce di allocare una quota consistente del portafoglio “sulle aree di crescita secolare maggiormente presenti negli indici Usa: ci riferiamo quindi a communication services, it, semiconduttori e consumi discrezionali”, senza tuttavia tralasciare “i settori ciclici in particolar modo in questa fase su finanziari, small cap Usa e comparto energy”.
Per Santin “la componente difensiva del portafoglio sarà svolta da settori come l’healthcare e le utilities, soprattutto in Europa, attive nel settore delle energie rinnovabili.
L’esperto di Pictet Asset Management avverte infine che “una parte consistente del valore del mercato azionario deriva da proiezioni elevate di crescita degli utili; per questa ragione, anche un piccolo aumento del tasso di attualizzazione dei flussi di cassa futuri potrebbe colpire i prezzi delle azioni. Riscontriamo che la duration del mercato azionario statunitense (che misura la sensibilità dei prezzi dei titoli a un rialzo di 100 punti base dei rendimenti obbligazionari a lungo termine) è superiore del 40% rispetto a un decennio fa. Ciò significa che, secondo il nostro modello di discounted cashflow, un aumento di 100 punti base dei rendimenti obbligazionari a lungo termine si tradurrebbe in un calo di circa il 20% del valore equo dei mercati azionari. Il rischio per le azioni legato a un aumento dei rendimenti obbligazionari è ancora maggiore se si considera il fatto che l’economia sta entrando in una fase avanzata del suo ciclo, caratterizzata da una risalita dell’inflazione”.
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