Per rendimenti di almeno il 5% annuo bisogna rischiare e guardare ad un orizzonte temporale ultra-decennale, quindi “più spazio ai nuovi leader tecnologici asiatici”
Luca Paolini, chief strategist di Pictet Asset Management
Le difficoltà legate alla pandemia hanno spostato più in là l’orizzonte temporale d’investimento ideale per tutti gli investitori, anche quelli retail.
Outlook secolare. Oggi l’investitore medio non può permettersi di guardare ai trend dei prossimi mesi, e neanche pensare di poter studiare o anticipare ciò che succederà sui mercati nei prossimi due, tre o quattro anni. Il nuovo orizzonte temporale è il decennio, anzi, bisogna guardare agli investimenti secondo un’“ottica secolare”.
“[Dopo Covid] I business model verranno ripensati, le abitudini dei consumatori trasformate, le leggi e i regolamenti riscritti”, afferma Luca Paolini, chief strategist di Pictet Asset Management. “Gli investitori non avranno vita facile. Nei prossimi cinque anni le loro fortune saranno in parte determinate dagli stimoli senza precedenti varati dai governi e dalle banche centrali”.
Per rispondere allo shock economico della pandemia le Banche centrali hanno immesso nel sistema un volume di liquidità pari al 14% del Pil mondiale nel 2020, e ora puntano a stabilire un tetto massimo per i rendimenti obbligazionari, invertire il trend delle pressioni deflazionistiche colmando gli output gap creatisi durante la crisi, e quindi sostenere la crescita. Gli investitori non possono ignorare questi dati quando investono, visto che i vari istituti dispongono di numerosi strumenti atti a mantenere una politica monetaria accomodante ancora a lungo.
Portafogli, “Bilanciati, addio!”
Nella visione dello strategist di Pictet AM nei prossimi cinque anni, per assicurarsi rendimenti reali allettanti gli investitori dovranno mettere da parte il tradizionale portafoglio bilanciato e rafforzare le posizioni su mercati emergenti, strumenti alternativi, obbligazioni indicizzate all’inflazione e strategie a rendimento assoluto. “Solo così potranno sperare in un rendimento reale del 5% annuo. Si tratterebbe di risultato dignitoso alla luce dell’elevata incertezza attuale e della base di partenza”, spiega Paolini.
Il secolo cinese nella tecnologia
Inoltre, sarà necessario rivedere tutte le convinzioni che sono oggi alla base di una qualsiasi asset allocation. La numero uno: il mercato azionario Usa non guiderà più le performance dell’equity a livello globale.
Il rischio principale, per lo strategist, è che nei prossimi cinque anni anche le azioni potrebbero offrire rendimenti inferiori rispetto all’ultimo decennio. “Prevediamo una minore divergenza in termini di rendimenti azionari a livello di Paesi e regioni, ma anche una sottoperformance degli Stati Uniti. Le azioni Usa oggi scambiano a premi record in una valuta onerosa – nei prossimi anni è atteso un indebolimento del biglietto verde – in un periodo in cui la crescita locale potrebbe decelerare sino a raggiungere il passo delle altre economie avanzate”, sostiene Paolini.
“Crediamo che i titoli azionari di Europa e Asia emergente conseguiranno performance migliori, a partire dal mercato cinese. La relativa solidità dell’Asia potrebbe emergere soprattutto in ambito tecnologico, un’area in cui la regione sembra essere pronta ad assumere il ruolo di leadership finora ricoperto dagli Usa. Tecnologia, beni di prima necessità e sanità, tre settori relativamente ben capitalizzati e con una generazione di cassa positiva, potrebbero registrare le performance più consistenti sul fronte azionario”.
Per quanto riguarda i mercati obbligazionari, la view della casa di gestione è che essi già scontano questa prospettiva, quindi agli investitori del reddito fisso “resta solo un modesto potenziale di rialzo a fronte di molteplici rischi di ribasso in caso di successo delle misure attuate e aumento di crescita e inflazione”. Quanto detto – aggiunge l’esperto – “vale soprattutto per le obbligazioni governative” e conclude: “Gli investitori fixed income in cerca di asset con valutazioni interessanti in grado di generare reddito dovrebbero guardare al debito emergente in valuta locale, soprattutto ora che le divise dei Paesi emergenti sono sottovalutate”.
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