Si comprano quote di fondi esistenti già maturi o di investitori che vogliono uscire. E negli ultimi anni si è sviluppata molto la trattazione di quote che deriva dai gestori, dagli stessi istitutori dei fondi
Da sempre appannaggio degli istituzionali, da qualche tempo ormai il private market sta catalizzando l’attenzione anche degli investitori private. D’altronde, in un contesto in cui i rendimenti del reddito fisso sono ancora a ridosso dei minimi storici, non ci sono molte strade da percorrere per aggiungere valore al portafoglio. Tra queste, azioni o investimenti in asset reali.
“Negli ultimi anni gli istituzionali hanno investito somme sempre più consistenti nei private market, conseguenza del fatto che le aspettative di rendimento sulle asset class liquide, come ben sappiamo, si sono ridotte”, commenta Alberto Salato, head of southern europe di Neuberger Berman, in un’intervista a FocusRisparmio per la rubrica #BigTalkFR. “La stessa dinamica ha coinvolto anche i risparmiatori privati. Indubbiamente anch’essi, soprattutto quelli più orientati all’investimento obbligazionario, hanno visto ridursi nel corso del tempo le aspettative di rendimento, proprio per le dinamiche dei tassi in discesa. E questo ha favorito gli investimenti nei private market anche della clientela privata”, aggiunge.
Come siete posizionati sul mercato in questo momento?
Nel tempo abbiamo sviluppato rapporti con alcuni operatori di private banking a livello internazionale per costruire soluzioni di private market destinate ai clienti privati. Un particolare focus di interesse, sia da parte di istituzionali sia da parte di investitori privati, è sui co-investimenti in private equity, dove più di un asset manager ha cominciato a operare. Grazie alle relazioni che abbiamo istituito con diversi gestori a livello globale abbiamo l’opportunità di co-investire in transazioni di private equity molto selezionate. Un plus di questo modo di investire è che si dà contezza al cliente della singola esposizione. Dietro ogni co-investimento c’è una storia che riguarda l’azienda, la transazione che la sta interessando e le linee di sviluppo futuro che il nuovo gestore di private equity intende dare. Per tutte queste ragioni abbiamo lanciato il primo Eltif dedicato ai co-investimenti globali.
Quali sono le nuove aree di crescita per gli investimenti in private equity?
Un’area molto interessante nell’ambito dei private market è l’investimento nel private equity secondario, che sta crescendo tantissimo quest’anno anche se ancora non coinvolge gli investitori privati. Si tratta di comprare quote di fondi esistenti già maturi o di investitori che vogliono uscire. Ma negli ultimi anni si è sviluppata molto, nel secondario, la quota di trattazioni che deriva dai gestori stessi, dagli stessi istitutori dei fondi, che vogliono prolungare l’holding period (il tempo di mantenimento degli asset di maggiore qualità che hanno in portafoglio), spesso perché vedono l’opportunità di sviluppare nuovi business plan. E visto che magari hanno queste aziende all’interno di fondi prossimi alla scadenza, e che comunque devono offrire un’opzione di liquidità ai propri investitori, decidono di prolungare il periodo di mantenimento delle partecipazioni proprio tramite l’apporto di capitali raccolti sul mercato secondario. Queste transazioni, dette GP-led, sono molto interessanti a nostro aviso, proprio perché di solito gli istitutori dei fondi vogliono mantenere gli asset di migliore qualità. Il secondario è un fenomeno in decisa crescita: quest’anno avremo il record di transazioni in assoluto e il record delle transazioni GP-led.
Anche la quota di investimenti in private debt nei portafogli privati è destinata ad aumentare?
Anche il private debt può diventare molto interessante. È una tipologia di investimento attualmente molto più sviluppata negli Stati Uniti rispetto all’Europa, perché i prenditori di capitale americani, i borrowers, hanno normalmente a disposizione più fonti di finanziamento di diversa natura che mettono in competizione tra loro per poterle confrontare. Invece gli europei tendono ad avere molto spesso un prestatore di riferimento, che nella maggior parte dei casi è una banca. Il private debt sta comunque crescendo molto anche in Europa. Noi auspichiamo che quelle stesse dinamiche di maggior diversificazione e di maggior competizione che vediamo negli Stati Uniti possano arrivare presto anche in Europa.
Lo sboom delle Ipo spinge imprese e investitori a guardare oltre i recinti dei mercati quotati. “E’ un momento storico favorevole per i private markets”, dice Fabio Laricchia di BlackRock. E in Italia i livelli di allocazione degli investitori istituzionali in asset non quotati sono in grande crescita ma ancora bassi