4 min
Per le Commissioni di Camera e Senato la tassazione sulle prestazioni finali dovrebbe andare dal 23% al 46%, contro l’attuale 9-15%
Un passo indietro di 21 anni che rischia di bloccare la previdenza complementare italiana. È ciò che accadrebbe se il governo dovesse dar seguito a quanto messo nero su bianco dalle seste commissioni di Camera e Senato per la predisposizione della legge delega sulla riforma fiscale. Nel documento conclusivo di indirizzo politico, infatti, si caldeggia un ritorno a una tassazione finale secondo le normali aliquote Irpef, cioè dal 23 al 46%, a fronte delle attuali che vanno dal 9 al 15%.
Un passo indietro alla riforma Visco del 2000 che, come sottolinea sul L’Economia del Corriere della Sera il presidente di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, invece di favorire lo sviluppo dei fondi pensione, puntando a incentivare le adesioni, provocherebbe un blocco capace di distruggerli.
Nel dettaglio, le Commissioni concordano su come “sia importante l’applicazione alla previdenza complementare del modello che prevede l’esenzione dall’imposta sostitutiva sul risultato netto maturato, considerando al contempo la modifica del regime di tassazione per la fase di erogazione delle prestazioni”. “Ovviamente – si aggiunge nel documento – andrebbe uniformata la tassazione in fase di prestazione, considerando la tassazione secondo le aliquote Irpef ordinarie”.
L’attuale modello Ett consente di versare ai fondi pensione fino a 5,164 euro deducendoli dal reddito e quindi beneficiando di uno sconto fiscale pari al valore dell’aliquota marginale. Sui rendimenti è previsto poi un prelievo annuale con aliquota ridotta al 20%, mentre le prestazioni in rendita e capitale sono tassate tra il 15 e il 9%, con l’obiettivo di favorire la permanenza nei fondi (l’aliquota cala infatti col passare degli anni).
Passare al sistema Eet, come proposto dalle Commissioni, vorrebbe dire annullare la tassazione sui rendimenti, ma tassare ad aliquota marginale le prestazioni finali. Un cambiamento che per i sottoscrittori si tradurrebbe in una stangata, avverte Brambilla: “Ci tolgono (da pagare, ndr) lo 0,6% e ci fanno pagare fino al 46%”. Non solo: gli aderenti a un fondo pensione rischierebbero anche di perdere tutta una serie di bonus, esenzioni e agevolazioni legata al reddito, proprio a causa della pensione complementare.
Fondi pensione, iscrizioni in aumento nel primo semestre
Il fuggi fuggi dei lavoratori italiani sarebbe insomma inevitabile, e comprensibile. E bloccherebbe la crescita della previdenza complementare italiana, che pur restando fanalino di coda Ocse, regista ormai uno sviluppo costante. Stando agli ultimi dati Covip relativi al primo semestre di quest’anno, a fine giugno le posizioni in essere presso le forme pensionistiche complementari erano nel nostro Paese 9,480 milioni, in aumento rispetto alla fine del 2020 di 138.000 unità, pari all’1,5%, per un numero totale di iscritti che può essere stimato in 8,565 milioni di persone.
Nelle singole tipologie di forma pensionistica, nell’ultimo semestre i fondi negoziali sono cresciuti di 49.000 posizioni (+1,5%), per un totale di 3,310 milioni, mentre nelle forme pensionistiche di mercato si sono registrate 50mila posizioni in più nei fondi aperti (+3,1%) e 41mila in più nei Pip nuovi (+1,2 %), per un totale di posizioni in essere pari, rispettivamente, a 1,678 milioni e 3,551 milioni di unità.
A livello di risorse, poi, nel primo semestre del 2021 le forme pensionistiche di nuova istituzione hanno incassato 5,9 miliardi di euro di contributi. Rispetto al corrispondente periodo del 2020, segnato dall’emergenza Covid, i flussi contributivi sono aumentati di circa 475 milioni di euro, pari all’8,7% in più. E il deciso recupero si riscontra in tutte le forme pensionistiche, con variazioni tendenziali che vanno dal 6,5% dei fondi negoziali, al 10% dei Pip fino al 13,2% dei fondi aperti.
Ancora una volta, infine, i rendimenti hanno superato quelli del Tfr, attestandosi, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, rispettivamente, al 2,7% e al 3,9% per fondi negoziali e fondi aperti e al 6,6% nei Pip di ramo III. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dalle cedole incassate sui titoli detenuti, il risultato è stato pari allo 0,7%. Se si guarda quindi al periodo da inizio 2011 a fine giugno 2021, certifica la Covip, “il rendimento medio annuo composto è stato pari al 3,7% per i fondi negoziali, al 3,9 per i fondi aperti, al 3,8 per i Pip di ramo III e al 2,3% per le gestioni di ramo I; nello stesso periodo, la rivalutazione del Tfr è risultata pari all’1,9% annuo”.
.
Vuoi ricevere ogni mattina le notizie di FocusRisparmio? Iscriviti alla newsletter!
Registrati sul sito, entra nell’area riservata e richiedila selezionando la voce “Voglio ricevere la newsletter” nella sezione “I MIEI SERVIZI”.