Valute: per i gestori il dollaro languirà, opportunità su emergenti
L'incertezza della ripresa Usa e il minor peso nelle riserve globali peseranno sul biglietto verde. Prospettive interessanti sulle divise ad alto rendimento reale
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Nonostante siano in molti a frenare ogni volta che si sente parlare di fine corsa per il dollaro, un rally della moneta unica con il cambio sopra quota 1,5 non è poi così improbabile. Ne è convinto Peter Kinsella, global head of forex strategy di Union Bancaire Privée, secondo cui per convincersi è sufficiente confrontare gli ultimi mesi con gli ultimi due anni: da inizio maggio il rapporto è passato dai livelli di circa 1,08 a quelli attuali di poco inferiori a 1,20, mentre nei 24 mesi precedenti ha oscillato in un trading range ristretto tra 1,06 e 1,14. “L’apprezzamento del cambio riflette principalmente la debolezza della valuta Usa piuttosto che la forza dell’euro – osserva l’esperto -. I tassi di cambio ponderati per il commercio del biglietto verde sono scesi di circa il 5% dall’inizio di giugno, e si prevede un ulteriore calo”.
I motivi? Molteplici: la compressione del differenziale dei tassi d’interesse, le valutazioni sotto pressione, il calo scioccante del tasso di risparmio statunitense e la riduzione del sostegno governativo Usa alle istituzioni economiche multilaterali.
Partiamo dal primo: i tassi di interesse a lungo termine statunitensi che hanno continuato a scendere. I rendimenti dei titoli decennali Usa si attestano intorno allo 0,6% e se la Fed dovesse annunciare una politica di controllo della curva dei rendimenti, i rendimenti obbligazionari ultra-lunghi si contrarranno.
“Non è impossibile prevedere una situazione in cui i rendimenti delle obbligazioni trentennali calino sotto l’1% (attualmente l’1,4%) – afferma Kinsella -. In un certo senso, il dollaro rischia di perdere un vantaggio permanente in termini di tassi d’interesse e ciò peserà nel medio periodo. Storicamente una delle ragioni per cui il dollaro ha beneficiato dell’aumento dell’avversione al rischio è stata la disponibilità di beni rifugio molto liquidi. Gli investitori potrebbero essere meno incentivati ad acquistare dollari in futuro, visti i rendimenti reali negativi. Poiché la Fed ha promesso di mantenere bassi i tassi di interesse per un periodo di tempo prolungato, ci vorranno almeno 5 anni prima che decida di aumentare i tassi a livelli anche solo vicini all’1%. E ha già indicato che perseguirà un obiettivo di inflazione ‘simmetrica’, il che significa che non aumenterà i tassi anche se l’inflazione crescerà, perché compenserà gli ultimi dieci anni di assenza di inflazione. La conclusione è che il dollaro Usa non mostrerà a breve un vantaggio interessante in termini di tasso d’interesse”.
Naturalmente, nonostante sia debole, la moneta statunitense continua a scambiare a livelli elevati. I tassi di cambio ponderati per il commercio e i tassi di cambio effettivi reali sono scambiati ai massimi pluriennali, il che, a detta dell’esperto, dimostra come il biglietto verde sia ancora costoso, con una sopravvalutazione del 15% in base alla maggior parte delle metriche di valutazione tradizionali.
“Di solito, la valuta Usa non passa dall’essere costosa a valutazioni eque. Piuttosto, tende all’overshooting e poi a muoversi verso valutazioni più economiche”, evidenzia Kinsella, che fa riferimento alla teoria del sorriso del dollaro, in base alla quale la valuta Usa tende a rally aggressivi in due scenari: quando gli Stati Uniti godono di un premio di crescita superiore al resto del mondo (si pensi al 2014 -2019) e durante i periodi di estrema avversione al rischio (si pensi alla crisi finanziaria del 2008/9 e all’impatto iniziale del Covid). “Al contrario, quando negli Stati Uniti si registra una crescita modesta, mentre nel resto del mondo è forte, il greenback tende a sell off consistenti. Quest’ultimo è lo scenario a cui stiamo assistendo attualmente, il che significa che c’è ampio spazio per un ulteriore calo del dollaro”.
Un altro aspetto riguarda il tasso di risparmio Usa, che già prima della pandemia era notevolmente peggiorato, a causa degli enormi disavanzi di bilancio dell’amministrazione Trump. Secondo Kinsella, il tasso di risparmio delle famiglie è aumentato drasticamente negli ultimi mesi, ma è probabile che diminuisca rapidamente in assenza di una robusta crescita economica. “I deficit di bilancio degli Stati Uniti rimarranno probabilmente a livelli incredibilmente elevati nei prossimi anni e questo porterà molto probabilmente a un ampliamento del disavanzo delle partite correnti negli Stati Uniti – chiarisce -. Un deficit delle partite correnti significa che un paese deve importare capitali dall’estero e un modo per farlo in modo più efficace è quello di indebolire la valuta in modo significativo, in modo che gli investitori credano di ottenere beni a prezzi economici”.
Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, la situazione non potrebbe essere più diversa. “Anche se nei prossimi anni i Paesi dell’Eurozona registreranno probabilmente grandi disavanzi di bilancio, la regione ha un enorme surplus di partite correnti. In effetti, l’avanzo di partite correnti della zona euro è il più grande al mondo in termini assoluti. Ciò offre un supporto fondamentale all’euro. Con l’evolversi di questi fattori nei mesi e negli anni a venire, il risultato sarà un aumento delle valutazioni del cambio euro-dollaro”, assicura l’esperto.
Sotto l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno costantemente ritirato il sostegno a molte delle istituzioni multilaterali del mondo e per Kinsella, in un certo senso stiamo assistendo alla fine dell’eccezionalità americana, che ha permesso alla moneta di un paese di rappresentare oltre il 65% delle riserve valutarie globali e di avere un ruolo incredibilmente sovradimensionato nel commercio globale. “Ciò non è di buon auspicio per il dollaro nel lungo periodo – sottolinea -. Potrebbe cambiare sotto la presidenza di Biden, ma anche in questo caso bisognerà attendere”.
“Abbiamo già visto in precedenza aggiustamenti simili del dollaro che, se si dovessero ripetere, renderebbero un generale indebolimento ampio di circa il 30% del dollaro del tutto possibile. Questo porterebbe comodamente il cambio eur/usd sopra 1,50 – conclude l’esperto Ubp -. La Bce non sarebbe entusiasta, ma non è del tutto chiaro se possa fare qualcosa. Con i tassi più bassi possibili, l’unico modo per la Bce di evitare un movimento di questa portata sarebbe quello di intervenire e acquistare dollari, ma non riteniamo che questo possa accadere”.