I portafogli modello del secondo semestre 2020
Cinque esperti interpellati da FR espongono le asset allocation dei loro portafogli modello per i prossimi sei mesi dell’anno
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I mercati hanno scontato un recupero che non ci sarà, sostiene Maurizio Novelli, gestore del fondo Lemanik Global Strategy, che ha realizzato una crescita del 12,34% da inizio anno (dati aggiornati al 16 luglio). Il gestore, che si era già posizionato per una probabile recessione a fine 2019, mantiene posizioni lunghe su oro e titoli auriferi, short su azionario americano e al rialzo su quello emergente.
Credo che i mercati abbiano già scontato un forte recupero dell’economia che in realtà non ci sarà. L’impatto della crisi è solo nella sua fase iniziale e quello che preoccupa sono le potenziali dinamiche di default a livello corporate: tali dinamiche avrebbero un ulteriore effetto dirompente sulle possibilità di recupero dell’economia. Le aziende in default non assumono e liquidano asset accentuando il processo di contrazione dell’economia, mentre quelle che non sono a rischio di default hanno come priorità la difesa del cash flow e della solvibilità, e in tutti e due i casi l’impatto sull’economia reale è negativo. Quindi non credo nella tanto attesa “V shape recovery”, che ormai mi sembra più uno slogan pubblicitario per sostenere le aspettative che una reale possibilità.
In realtà noi eravamo posizionati per una probabile recessione già a fine 2019. Il mercato dei Repo negli Stati Uniti evidenziava già una grave crisi di liquidità nel sistema e la Fed era già impegnata in colossali operazioni di intervento per sostenere un sistema in crisi già a partire da fine settembre. Le nostre posizioni di investimento erano piuttosto sovrappesate sull’oro ed eravamo decisamente short di equity con posizioni al ribasso sui principali indici mondiali, quindi non abbiamo dovuto fare molto per fronteggiare la crisi.
Rimaniamo decisamente long su oro e settore minerario aurifero, short di equity Usa e al rialzo sull’azionario dei mercati emergenti. Siamo inoltre particolarmente negativi sul dollaro che, dopo undici anni di trend al rialzo, sembra ormai arrivato al capolinea a causa della pesante crisi da eccesso di debito che si appresta a colpire il sistema finanziario americano e per la quale la Fed può fare ben poco.
Se cede il dollaro si apre una opportunità per le asset class dei mercati emergenti e in particolare in Asia. La Cina si appresta a impostare un cambiamento nel modello di crescita, meno export e più consumi interni, che porterà ad un decoupling dell’intera Asia dagli Stati Uniti. Già oggi l’interscambio commerciale dell’Asia è al 43% dipendente dalla Cina e quindi è naturale attendersi una convergenza economica e geopolitica dell’area verso l’economia cinese.
Non siamo particolarmente bullish su mercati azionari che dipendono solo da politiche di QE e non da una crescita dell’economia e dei profitti attesi. In questi mercati non c’è valore ma solo una grande attività di trading e una minima predisposizione all’investimento. America e Europa sono chiaramente in tale categoria. I mercati azionari in Asia si trovano in un contesto completamente diverso, dove i futuri trend dipendono dalle prospettive di crescita e da valutazioni decisamente più favorevoli. Inoltre rispecchiano un’area economica con oltre 3 miliardi di persone che forniscono un potenziale di domanda decisamente più promettente rispetto a Stati Uniti ed Europa. Negli Stati Uniti l’eccesso di indebitamento del settore privato non depone a favore di una forte ripresa dei consumi. Anche il mercato obbligazionario occidentale è ormai entrato in un contesto di “Japanisation”, dove i rendimenti non sono più definiti dal libero mercato ma dalla Banca Centrale, con tutte le conseguenze che questo comporta per il ritorno sul capitale investito.